Elezioni Politiche 2018

Elezioni 2018: le richieste di CIO e opinion makers al “governo che verrà”

Continuità con il lavoro e un’Italia “digital by default”. Sono le premesse fondamentali per ridare competitività al nostro Paese e nelle quali si inseriscono i punti di attenzione che i CIO e gli opinion makers contattati da ZeroUno propongono al “governo che verrà” dopo la recente consultazione elettorale

Pubblicato il 08 Mar 2018

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Nel mese precedente le elezioni, ZeroUno, nell’ambito di un’iniziativa più ampia che ha coinvolto tutto il Gruppo Digital360, ha sollecitato CIO e opinion makers su cosa avrebbero voluto chiedere al governo che si sarebbe insediato dopo l’esito delle votazioni. Siamo consapevoli delle difficoltà di arrivare a un nuovo assetto governativo dopo i risultati elettorali. Tuttavia il digitale non può attendere e la classe politica a guida del Paese che si formerà non potrà non considerare la domanda di innovazione che emerge. Per questo crediamo che il presente servizio possa essere un utile strumento di riflessione e guida.

Prima di entrare nel dettaglio dei punti sintetizzati in questo articolo, rileviamo che il sottofondo che permea tutti gli interventi è la sottolineatura di quanto sia importante che la politica si renda realmente conto del grande momento di trasformazione che stiamo vivendo. Milo Gusmeroli – leggi l’intervento integrale – , Responsabile Servizi organizzativi sistemi informativi e sicurezza e Vicedirettore generale, Banca Popolare di Sondrio, ricorda che “globalizzazione e tecnologia non sono elementi che autonomamente e automaticamente possono determinare un sistema economico integrato ed equilibrato. Anzi, se non ci si attrezza per affrontare il cambiamento in atto, il nuovo scenario può produrre pericolose distorsioni ed è un dato di fatto che alcuni Paesi si stanno preparando meglio di altri”.

Come precisa Giancarlo Capitani – leggi l’intervento integrale – , Presidente di NetConsulting Cube: “Il digitale avanza in tutto il mondo e la sua contaminazione richiede a Paesi in ritardo come il nostro di recuperare rapidamente questa sorta di ‘debito digitale sul PIL’ e di avviare con velocità un piano di sviluppo e crescita che conferisca alla digitalizzazione del Paese un ruolo centrale”.

Scrive Alexander Stewart – leggi l’intervento integrale – , Executive Vice President Information& Communication Technology di Danieli: “Al nuovo governo, così come a quelli che verranno, chiedo: quale ruolo vuole giocare in questa fase di transizione abilitata dalla tecnologia? Vorrà essere ricordato per aver favorito questo percorso o per aver difeso il vecchio modello e aver rallentato l’evoluzione? La mancanza di vision, soprattutto in questa epoca, è pericolosa”.

Attenzione però, perché saper interpretare la trasformazione per esserne protagonisti non significa solo avere una vision, ma anche saperla attuare, come ci ricorda Debora Guma – leggi l’intervento integrale –, CIO di Carrefour Italia, con un paragone amaro: “Antonio Meucci. Se in Italia, terra di grandi artisti e scienziati, si potesse eleggere un solo personaggio come simbolo del Paese, io sceglierei sicuramente Meucci, il padre delle moderne telecomunicazioni, ma anche colui che si è fatto ‘soffiare’ il brevetto del telefono, e la conseguente fama, dall’americano Bell. La situazione attuale mi fa temere una nuova possibile beffa all’ingegno italiano, un nuovo caso Meucci-Bell: ma questa volta rischiamo di parlare di 60 milioni di Meucci e la globalizzazione (i vari Amazon e AliBaba) ci insegna che potrebbe essere troppo tardi…L’Italia ha avuto un inizio del nuovo millennio brulicante di idee avanzatissime e, sulla carta, meriterebbe il titolo di ‘best in class’ in Europa”, ma poi ci siamo persi nella concretizzazione e attuazione di tutte queste splendide idee.

Ed ecco di seguito i punti di attenzione emersi dai diversi interventi.

1) Continuità con il lavoro svolto

2) Un’Italia “digital by default”

3) Infrastrutture e regole

4) Formazione e ricerca

5) Digitalizzazione e innovazione della PA

6) Supporto alle imprese

7) Comunicazione

Conclusione

***

1) Continuità con il lavoro svolto

Dai piani di ampio respiro come Industria 4.0 ai progetti specifici, il cui impatto è, o può essere, comunque notevole, come fatturazione elettronica, SPID, pagamenti digitali ecc., la prima preoccupazione è che il nuovo governo, soprattutto se di orientamento politico diverso da quello che lo ha preceduto, non prosegua con il lavoro fatto: “Va superata la logica della contrapposizione come principio fondante della politica. Tutto ciò di cui stiamo parlando o si fa tutti insieme o non si fa, perché implica anche molte scelte impopolari, ma necessarie per salvare un Paese alla deriva e fuori controllo”, scrive infatti Luca Attias – leggi l’intervento integrale – , CIO della Corte dei Conti.

Ma non solo: l’auspicio è anche quello di recuperare alcune esperienze del passato come quella di un rinnovato Ministero dell’Innovazione (ma questa volta con portafoglio, a differenza di quello presieduto in passato da Lucio Stanca), ipotesi caldamente sostenuta sia da Capitani sia da Alfonso Fuggetta – leggi l’intervento integrale – , CEO di Cefriel, per i quali il Ministero dovrebbe farsi carico di “raccordare le attività dei diversi ministeri con capacità politica forte e forte capacità di coordinamento” dando anche “un ulteriore empowerment all’Agenzia per l’Italia Digitale come soggetto che sotto la guida del Ministero per l’Innovazione Digitale potrebbe avere il compito di creare il quadro normativo che ne supporta la realizzazione. L’Agenzia dovrebbe inoltre avviare progetti innovativi che potrebbero successivamente essere finalizzati e gestiti dalle singole amministrazioni”, precisa Capitani.

2) Un’Italia “digital by default”

Precondizione perché l’Italia sia protagonista della trasformazione all’insegna dell’innovazione, è che il digitale diventi prioritario nell’agenda politica italiana; il tema però non è stato certo al centro (ma neanche ai margini) della campagna elettorale: “Per superare i notevoli ritardi rispetto agli altri paesi europei è indispensabile creare una catena del valore in grado di trasformare l’Italia in un Paese ‘digital by default’. Ma per ottenere questo risultato si devono attuare riforme complesse, strutturali e progressive, contemporaneamente in vari campi”, scrive Attias. Muoversi in un’ottica “digital by default” significa però anche capire come sta cambiando la società in cui viviamo e quali sono opportunità e rischi che la digitalizzazione presenta.

Ecco i focus:

Big data, fake news e utilizzo consapevole della tecnologia

Il tema è ben spiegato da Massimo Rosso – leggi l’intervento integrale – , Direttore ICT, Rai: “L’estrazione, l’elaborazione, la correlazione e l’integrazione spinta della maggior quantità possibile di dati hanno dato grandi vantaggi ai cittadini, alle aziende e ai Governi…Ma accanto ai vantaggi, come la (apparente) gratuità, vi è un interesse delle aziende che necessitano dei dati personali, con uno scambio però quasi mai alla pari…Inoltre con l’arrivo dell’intelligenza artificiale e del deep learning, basati sul data intensive, è diventato chiaro che più dati si inseriscono nel sistema più il meccanismo è efficace, con la conseguenza che chi ha accumulato molti dati ha un nuovo petrolio da sfruttare: le grandi quantità di dati raccolti consentono infatti ai sistemi, che “imparano” a conoscere e sfruttare il nostro comportamento, di orientare le nostre scelte non solo economiche ma anche sociali e politiche, intaccando, in ultima analisi, la nostra stessa libertà di autodeterminazione. Eppure su temi importanti come le fake news e la sicurezza, ci si mette nelle mani dei grandi colossi, chiedendo paradossalmente proprio ai giganti del web di vigilare sulle fake e di gestire la sicurezza. I problemi andrebbero invece affrontati alla radice, visto che le fake e i rischi cyber non sono le cause, ma effetti che derivano dalla scarsa conoscenza dei rischi da parte dei cittadini che andrebbero invece informati e formati. La politica ha la grande responsabilità (anche utilizzando gli strumenti tecnologici a disposizione) di aiutare i cittadini a scegliere in modo consapevole”.

E Piera Fasoli – leggi l’intervento integrale – , da diversi anni Direttore Sistemi Informativi di importanti società italiane, ricorda come sarebbe anche “opportuno, nei confronti dei più giovani, diffondere un utilizzo consapevole della tecnologia, di Internet e dei social media”.

Sicurezza, diritto alla privacy e protezione dei dati

“Il tema della sicurezza andrebbe affrontato con un approccio più culturale che tecnologico, puntando a diffondere la consapevolezza dei rischi che possono derivare da comportamenti sbagliati”, scrive Stewart. E Rosso ricorda come, a garanzia del diritto alla privacy e della protezione dei dati personali, siano fondamentali interventi come il GDPR: “La normativa di protezione dei dati è un fondamentale presidio di garanzia, tanto in termini di diritti esercitabili dai cittadini/consumatori quanto di complessiva responsabilità dei titolari…Il tema della neutralità dell’algoritmo, dell’equità delle sue soluzioni e della sostenibilità etica e giuridica della tecnologia è una questione democratica cruciale, come ha sostenuto il garante della Privacy, Antonello Soro. In questo contesto, il diritto alla protezione dei dati non solo è una straordinaria risorsa per garantire la libertà della persona nella società digitale, ma può divenire per le stesse imprese un’opportunità di “business etico”. Non tutto quello che è tecnicamente possibile è eticamente consentito”.

Contaminazione digitale imprese-cittadini

“Spesso cittadini smart lavorano in aziende tradizionali e, viceversa, le imprese tentano di avviare un percorso digitale, ma trovano un ostacolo in lavoratori non ancora pronti a recepirlo. Per questo – scrive Fasoli – sarebbe utile aiutarsi a vicenda per avviare insieme un processo di trasformazione pervasivo e diffuso. Un esempio di contaminazione è lo smart working che mette insieme cittadini e aziende digitali e si traduce in un miglioramento non solo per qualità della vita del singolo lavoratore ma di tutti i cittadini. Per trasformazioni di questo tipo servirebbe un governo che avesse visione, desse continuità alle azioni, sapesse gestire i processi di cambiamento con incentivi e azioni mirate. Un esempio molto valido è il Piano Industria 4.0 promosso dal ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Ma queste azioni, molto faticose da avviare, servono davvero a poco, se manca la continuità”.

3) Infrastrutture e regole

Uniamo questi due temi, quello della diffusione delle infrastrutture abilitanti e quello di regole precise e certe, perché, sebbene afferiscano a due ambiti completamente diversi (tecnologico il primo e organizzativo-normativo il secondo) rappresentano il reticolo sul quale poggiare l’Italia digital by default.

Sul primo tema, prendiamo a rappresentanza dei numerosi interventi in merito quello di Luciano Guglielmi – leggi l’intervento integrale – , CIO del Gruppo Mondadori, nonché Presidente del gruppo CIO AICA Forum e membro del Board dell’European CIO Association (EuroCIO): “Per usufruire di un servizio tecnologico occorre essere connessi, sempre e dovunque, con velocità adeguate…Quello che serve – scrive – è una politica seria di copertura della connettività che vada oltre i ‘buoni propositi’ di una o l’altra azienda privata… Basta parlare di cloud: serve costruire la possibilità di usare il cloud…”. Intervento rafforzato dalle considerazioni di Paolo Sassi – leggi l’intervento integrale – , CIO di Artsana: “Quando parlo di connettività intendo infrastrutture per mettere in relazione individui, organizzazioni e fonti informative in tempo reale; solo così avremmo la possibilità di rendere effettive modalità di relazione ad oggi poco praticabili o addirittura impossibili”.

Dario Pagani – leggi l’intervento integrale – , Executive Vice President Information & Communication Technology Eni, precisa come meritocrazia e certezza delle regole siano elementi fondamentali da garantire: “La valorizzazione del merito crea contesti dove tutti noi possiamo realizzare le nostre aspettative, professionali e di vita, ed esprimere il meglio di noi stessi. Invece, nel nostro Paese, a fianco del debito pubblico, si sta sempre più evidenziando anche un ‘debito meritocratico’ che limita le nostre capacità di competere”. E riguardo la certezza delle regole, specifica che si tratta di “un elemento fondamentale per la generazione della fiducia, per attrarre e trattenere nel nostro paese risorse, siano esse finanziare (di cui si discute molto) sia di capitale umano, evitando così la fuga dei talenti e degli investitori. Servirebbe, come molti sostengono, stabilità e continuità d’azione sulle direttrici più strategiche”.

E sulle regole è importante anche la precisazione di Attias: “La riforma della giustizia dovrebbe essere finalizzata a diminuire in modo consistente il numero di norme e il contenzioso per avvicinarci a standard europei”.

A chiusura di questo tema, riportiamo anche la sollecitazione di Mario Martinelli – leggi l’intervento integrale – , CIO di Sisal: “Niente di più sbagliato che pensare che il digitale si possa diffondere naturalmente senza adeguati stimoli: un ecosistema digitale evoluto si ottiene in tempi ragionevolmente rapidi solo se si crea nel quotidiano la giusta motivazione all’uso di tecnologie e di servizi innovativi. Su questo lo Stato, con i suoi organi legislativi, deve assumere un ruolo di traino, definendo regole e norme che spingano il digitale nell’uso comune nei più svariati campi”.


4) Formazione e ricerca

La formazione è nei pensieri di tutti coloro che hanno risposto al nostro appello e si sostanzia in tre aspetti principali:

Rendere i giovani più coscienti di rischi e opportunità del digitale; formazione del corpo insegnante

“L’educazione civica al life style digitale deve diventare una materia d’obbligo nelle scuole, ma non limitarsi ai giovani. È necessario – spiega Aldo Chiaradia – leggi l’intervento integrale – , CIO di Furla – aiutare anche le persone anziane fornendo loro tutti gli strumenti per poter vivere in una società sempre più digitale, anziché utilizzarli come alibi per non attuare le trasformazioni necessarie. La formazione dei giovani dovrebbe consistere non tanto nel fornire quelle abilità che già possiedono, quanto nel metterli in guardia dai rischi e renderli consapevoli delle opportunità del digitale all’interno una convivenza civile. Per farlo si deve provvedere innanzi tutto alla formazione dei docenti, a partire da quelli più sensibili e preparati, che pure ci sono”.

Preparazione degli specialisti che il mondo digitale chiede

“La Scuola – ricorda Martinelli – deve formare le nuove generazioni negli skill più utili al mondo del lavoro; quelle specifiche competenze nelle tecnologie digitali che oggi sono così difficili da trovare sul mercato. Nuovi programmi e percorsi didattici devono attrarre e motivare gli studenti ad intraprendere scuole secondarie e università a carattere tecnologico, in grado di prepararli al mondo del lavoro con le competenze che davvero servono alle aziende e alla PA per cambiare pelle”.

Interazione scuola-impresa

“Una reale collaborazione e un dialogo sistematico e strutturato tra Stato e Aziende per definire cosa e come migliorare il sistema scolastico sarebbe un‘azione utile e concreta per dare energia fresca al sistema-paese”, scrive ancora Martinelli, appoggiato da Gusmeroli che afferma: “La formazione sia in ambito universitario sia in quello aziendale, in un’interazione università-impresa ovvero scuola-lavoro e viceversa, assume una rilevanza crescente”.

Per quanto riguarda la Ricerca, Fuggetta sottolinea l’importanza dei finanziamenti, ben distinti da quelli all’innovazione nelle imprese: “La ricerca è indispensabile per l’innovazione ma non la crea in modo automatico e diretto. Si innova infatti quando si crea valore, lo si porta sul mercato e lo si trasforma in un ritorno, tipicamente economico (ma non necessariamente). Le università e gli universitari (non solo in Italia), oltre alla formazione, hanno come obiettivo lo sviluppo di attività di ricerca, cioè la creazione di nuova conoscenza, con meccanismi, tempi e priorità completamente diversi da quelli del business. Lo sviluppo della ricerca necessita fondi competitivi nazionali assegnati con bandi pluriennali che complementino i fondi europei: così come accade negli altri Paesi, anche lo stato italiano dovrebbe investire direttamente in questa direzione”.

5) Digitalizzazione e innovazione della PA

Si apre con questo tema un capitolo molto ampio e che meriterebbe un articolo a parte, ci limiteremo quindi a un’articolazione molto sintetica consigliando vivamente di leggere i singoli contributi.

Organizzazione e governance

Su questo aspetto, la parola a Stefano Tomasini – leggi l’intervento integrale – , Direttore Centrale INAIL, Direzione Centrale per l’Organizzazione Digitale: “La governance è sicuramente un tema di valenza politica di strategia nazionale. È fondamentale definire in modo chiaro compiti, strumenti di intervento e risorse. Il tema deve essere affrontato in maniera unitaria. Serve un coordinamento che garantisca una visione di insieme, una responsabilità unica, collegata funzionalmente alla Presidenza del Consiglio, che orchestri un’organizzazione semplice e trasparente, che faccia superare la frammentazione di responsabilità e che non disperda le esperienze, valorizzando le risorse della Pubblica Amministrazione. Una responsabilità unica che, con autorità chiara e autorevolezza riconosciuta, sappia promuovere una visione strategica e progettuale in tema di organizzazione nativa digitale”.

Emilio Frezza – leggi l’intervento integrale – , manager che ha ricoperto ruoli di rilievo in importanti realtà pubbliche come Direttore dell’Area Infrastrutture del Cnipa (attuale Agid), del Dipartimento Risorse Tecnologiche del Comune di Roma e di CIO al Dipartimento del Tesoro (MEF), concordando sulla necessità di definire un reale modello di governance, aggiunge il tema della frammentazione delle società partecipate della PA (3800 partecipazioni dello Stato in oltre 400 aziende che operano nel settore ICT): “Alcune di queste Società sono già parte integrante dell’implementazione del Piano Triennale. Molte altre, soprattutto quelle presenti sul territorio, potrebbero entrare a far parte in modo strutturato e istituzionalizzato nelle fasi implementative dei piani triennali garantendo competenze e sinergia con le Amministrazioni. Il modello di governance dovrebbe tener conto di questa realtà poco nota che può rivelarsi molto utile sia nel coordinamento, sia nell’implementazione, ricercando ottimizzazioni e best practice ed evitando duplicazioni e percorsi isolati. Ma per coordinare e implementare occorre anche una PA promotrice di sviluppo e una grande rilevanza va posta nella formazione, nell’aggiornamento, nel tournover e nell’inquadramento del personale che opera nel settore ICT: circa 50mila dipendenti”.

Semplificazione o meglio semplicità

“Fate in modo di essere semplici. Semplici quando pensate, quando agite e quindi quando legiferate. Perché una vera trasformazione digitale di un Paese non passa solo tramite lo SPID: ha bisogno anche di un assetto legislativo e fiscale ‘smart’, efficace ed efficiente. La versione finale di ogni decreto o legge dovrebbe passare al vaglio di un esperto avente il compito di valutare quanto quella disposizione è in linea con un Paese che vuole essere moderno”, è l’accorato appello di Guma.

Ottimizzazione delle risorse

Anche su questo aspetto le cose da dire sono molte. Attias, per esempio, afferma: “Va attuata una vera riforma della Pubblica Amministrazione, anche nella direzione di gestire in modo sano (da letteratura) le risorse umane a partire dalla classe dirigente della PA, intesa nel modo più ampio possibile. In questi anni ci sono stati cambiamenti nel privato che non hanno avuto riscontro nella PA: la vera valutazione del personale è tuttora inesistente”.

Fuggetta (come anche altri interventi) pone l’accento sul tema “del procurement e delle risorse necessarie nel settore pubblico, tenendo conto che nulla si fa a costo zero. Per garantire l’innovazione della PA e svolgere un ruolo di stimolo per il Paese, è indispensabile che i modelli e la qualità dei processi di procurement pubblico segnalino una profonda discontinuità rispetto al passato… Il piano triennale varato dal Team Digitale offre un primo livello di coordinamento tra le amministrazioni. Ma serve operare anche sul fronte di una semplificazione delle norme di procurement e del codice degli appalti che prevede meccanismi totalmente inadeguati per il software e l’ICT in generale”.

Competenze

Tema quanto mai ostico, quello delle competenze digitali nella PA: “Il cambiamento deve essere favorito dall’alto e, al tempo stesso, spinto dal basso, con un ruolo attivo da parte di tutti. Per farlo servono, a tutti i livelli, compreso il governo, persone competenti che ‘sappiano’ di tecnologia…Vanno definiti meccanismi premiali non solo per le singole persone, ma anche per le singole strutture pubbliche”, è la richiesta di Fasoli, cui si aggiunge quella di Attias: “È urgente portare in Parlamento (e magari anche al Quirinale e a Palazzo Chigi) competenze digitali e manageriali” e di Guglielmi: “I futuri governanti non dovranno avere paura di mettere tecnici a guidare progetti tecnologici, giuristi a verificare l’attuabilità – reale – dei progetti di legge, economisti a ipotizzare e gestire l’andamento economico, esperti del turismo e dell’arte a gestire la promozione del nostro incommensurabile patrimonio naturale ed artistico; soprattutto non dovranno avere timore a far scrivere ed approvare le leggi da chi conosce la materia in oggetto”.

Standardizzazione dei servizi

“La trasformazione digitale della PA – scrive Tomasini – deve passare da una ‘effettiva’ standardizzazione dei servizi attraverso azioni che individuino una ripartizione di ruoli e responsabilità tra le amministrazioni. Il problema, di cui si dovrebbe occupare la politica, è la frammentazione puntando a economie di scala, ma soprattutto di specializzazione di ruoli. In sintesi, la strada che dobbiamo percorrere deve prevedere una visione di insieme che si muova, coniugando risparmio e servizi offerti, mediante l’individuazione di ‘poli digitali pubblici’, specializzati su aree tematiche (contabilità, gestione risorse umane, patrimonio…), posizionati a un livello di governo trasversale alle diverse amministrazioni fruitrici dei servizi offerti. Ha senso, da un lato, investire sulla riprogettazione dei processi di back-end e, dall’altro, orientare le amministrazioni pubbliche a esprimere la propria visione digitale esclusivamente rispetto alle proprie funzioni istituzionali”.

6) Supporto alle imprese

Il ministro Calenda con il suo Piano Industria 4.0 ha ottenuto il plauso di tutti, ma non basta: “Estendere il modello Industria 4.0 e Impresa 4.0 al settore dei servizi, riordinando in parallelo il sistema degli incentivi attualmente in essere e prevedere ulteriori incentivi alla creazione di competenze digitali rispetto a quanto già previsto nel Piano 2018”, è la richiesta di Capitani, che si affianca a quelle di Attias: “Andrebbe favorita la creazione di grandi aziende IT, come accade in tutti gli altri Paesi europei; andrebbero incentivate le PMI più innovative, anche con sgravi fiscali; trovati accordi con gli over the top come hanno fatto molti Paesi europei. Andrebbe inoltre incentivato, anche economicamente, l’uso delle piattaforme abilitanti da parte degli enti pubblici, delle aziende e dei singoli cittadini”.

Chiaradia punta il dito su altro aspetto, importante quanto gli incentivi allo sviluppo e all’innovazione: “È giusto rallegrarsi per il notevole incremento degli investimenti che hanno generato, ma ci si dovrebbe al tempo stesso preoccupare di come cambierà l’organizzazione delle fabbriche. Il Piano prevede detrazioni anche per la formazione in chiave 4.0 dei dipendenti: questa è una novità positiva, ma si dovrebbe anche capire come tutelare le persone che non sono riqualificabili e che comunque non saranno più utili nella nuova organizzazione aziendale. Chi, se non la politica, dovrebbe analizzare questa prospettiva e trovare soluzioni adeguate?”

Ma è anche necessario che le imprese facciano autocritica: “Non possiamo chiedere solo al governo di intervenire; anche altri attori privati – scrive Pagani – devono fare la loro parte comprendendo che la velocità di trasformazione e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie richiedono nuovi approcci e nuove idee imprenditoriali. L’imprenditore italiano invece è spesso fermo a logiche nei fatti superate”. Mentre Stewart interviene collegando questo tema con quello successivo: “Il Piano Industria 4.0, rappresenta senz’altro un esempio positivo di promozione dell’innovazione. Ma il vero punto è però un altro: è davvero chiaro come gli strumenti tecnologici possano creare valore per le aziende? Il governo che verrà dovrà avere l’obiettivo di favorire lo sviluppo e la trasformazione culturale indispensabile per sfruttare l’innovazione tecnologica subito … non fra 20 anni!”

7) Comunicazione

Fare o abilitare il fare non basta. In tutti gli interventi si sollecita un’azione organica e strutturata per diffondere la cultura del digitale e spingere la popolazione ad utilizzare la modalità digitale di fruizione dei servizi comunicando con gli adeguati linguaggi in base al target di riferimento: “Il primo passo che chiedo al Governo che verrà – scrive Fasoli – è rendere la tecnologia ‘popolare’, con un duplice significato: conosciuta e al tempo stesso accessibile a tutti. Conosciuta significa rendere noti ai più l’utilizzo, i concetti e la terminologia sulla scienza e l’innovazione, è quindi necessario che se ne parli anche sui media con incentivi e piani volti a stimolare tutti i mezzi di comunicazione alla diffusione e all’approfondimento sull’utilizzo del digitale e sulle iniziative del governo. L’obiettivo prioritario è dunque la diffusione della conoscenza, la comunicazione e la messa a disposizione di strumenti facili da usare per incentivare tutti ad accostarsi al digitale”

“Bisogna costruire fiducia nel ‘nuovo’ mezzo trasmissivo e informativo. Bisogna far comprendere ai cittadini che è più sicuro mettere i propri dati su un sito ‘sicuro’ della PA che non lasciarli in un fascicolo cartaceo all’interno di un ufficio aperto a molte persone. Bisogna infondere fiducia, non solo terrorizzare il cittadino con le possibili falle di sicurezza che possono ledere l’integrità dei loro conti bancari, infrangere i loro diritti alla privacy”, aggiunge Guglielmi.

Conclusione

Concludiamo questa lunga carrellata di focalizzazioni con la dichiarazione di Gusmeroli, sicuramente condivisa da tutti coloro che hanno partecipato a questo tavolo di confronto: “Si riparte dall’inizio per riaffermare che la globalizzazione e la rivoluzione tecnologica, con la progressiva digitalizzazione e robotizzazione dei servizi e della produzione, sono un orizzonte ormai divenuto visibile e non una previsione, e l’impatto del cambiamento presenterà sia opportunità e sia rischi; ma per cogliere le prime e minimizzare i secondi è necessario un movimento simbiotico e mutualistico nel Paese, realizzabile solo sulla spinta delle forze governative preposte”.


Commenti all’articolo

  1. JM ha detto:

    Certo che se avessimo uno come Attias Ministro dell’Innovazione potremmo veramente cambiare marcia.


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