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Application Performance Management: una gestione business oriented delle performance applicative

In un contesto dove le relazioni tra l’azienda e il suo ecosistema sono sempre più fluide, guidate da nuovi modelli di business, abilitati soprattutto da cloud, hybrid IT e mobile, la relazione con il cliente è completamente cambiata. E le soluzioni di Application Performance Management devono saper correlare tutte le interazioni tra applicazioni nonché il complesso mondo delle IT operation. Non più quindi solo dashboard di indicatori tecnologici, ma soluzioni fruibili anche dai business owner che vogliono capire se il servizio erogato è all’altezza delle aspettative, e dagli sviluppatori, per scrivere fin da subito applicazioni performanti.
Perché, alla fine, l’obiettivo è uno solo: fidelizzare i clienti acquisiti e attrarne di nuovi

Pubblicato il 17 Apr 2018

Application Performance Management

3,5 miliardi di dollari il fatturato mondiale del mercato delle soluzioni di Application Performance Management (APM) nel 2016 (rilevazione IDC di agosto 2017), con una crescita del 12,7% sul 2015 e un tasso di crescita annuo composto del 13,2% stimato per il periodo 2016-2021. Un mercato più che fiorente, dunque. Crescita ancor più interessante se si tiene conto che il periodo 2000-2014 è considerato una vera e propria età dell’oro di queste soluzioni (vedi articolo APM, automazione e AI gli elementi chiave per monitorare miliardi di interrelazioni) nel quale si sono avuti importanti investimenti.

Perché quindi, a distanza di pochi anni, questo mercato si sta aprendo a nuova vita e aziende che si erano dotate di soluzioni APM di 1° (monitoraggio e gestione dei livelli di servizio) e 2° generazione (ampliamento delle metriche al mondo mobile) hanno oggi la necessità di implementarne di nuove?

La risposta è semplice quanto banale. Ed è che in questi pochi anni, il mondo è completamente cambiato e quelle soluzioni sono solo parzialmente in grado di rispondere alle nuove sfide che possiamo sintetizzare in due grandi fronti:

  • da un lato, una fruizione di servizi e prodotti da parte dei clienti finali sempre più multicanale dove l’experience non può mai decadere di qualità e dove questa fruizione viene anche mediata da oggetti che erogano direttamente il servizio (IoT);
  • dall’altro, un’infrastruttura tecnologica nella quale “transitano” le applicazioni sempre più complessa e fluida, e quindi difficile da monitorare.

“Senz’altro la customer experience – dice Daniela Rao, Senior Director Research & Consulting di IDC Italia, intervistata da ZeroUno (vedi articolo APM, le caratteristiche di un mercato in forte crescita) – è un fronte che in questo momento è sotto i riflettori di tutti, soprattutto nel mondo retail e nelle grandi organizzazioni che hanno una base di clienti molto ampia, come banche, assicurazioni, telco ecc. Per il semplice fatto che tenere sotto controllo l’esperienza del cliente o del consumatore nel momento in cui questo entra in contatto con l’azienda venditrice è diventato un vero e proprio vantaggio competitivo, un asset strategico. Di fatto è l’unico elemento che un’azienda deve tenere sotto controllo per capire se effettivamente sta facendo le cose bene per continuare a crescere, ad avere profitti, guadagnare quote di mercato sui competitor oppure se sta percorrendo una strada che deve essere corretta. Ma – sottolinea Rao – rimane l’altro fronte, che potremmo definire più tradizionale: quello interno, legato allo strato infrastrutturale dei sistemi informativi, al funzionamento delle reti e di tutte le componenti del data center che garantiscono la solidità dei sistemi sia verso l’esterno sia verso l’interno. Oggi più complesso, data la diffusione del cloud, degli ambienti ibridi, del multicloud, del mobile e dell’IoT. Un’infrastruttura che oltre richiedere il monitoraggio, di tradizionali server, storage, reti ecc., deve anche abilitare una manutenzione predittiva con la capacità di capire quali sono le aree critiche, dato che c’è tutto un mondo di oggetti che iniziano a parlarsi tra di loro per garantire la fruizione di determinati servizi”.

Application Performance Management
IDC prevede per il periodo 2016-2021 un CAGR del 13,2%, crescita guidata dalle soluzioni fruite in modalità Saas rispetto a quelle on premise. La figura mostra la previsione di crescita nei quattro ambiti funzionali modellati dall’IDC Software Tracker [l’indice IDC che monitora oltre 1.000 software vendor su 80 segmenti di mercato ndr]. Tutti i segmenti risultano in crescita, con una maggiore incidenza della gestione degli eventi IT e dei log che registra una CAGR quinquennale del 17,2%Fonte: IDC, agosto 2017

Capire il cliente per capire le performance

“Il primo fronte – prosegue Rao – si è aperto in modo dirompente negli ultimi due-tre anni ed è anche il più complicato perché è sempre più importante proprio in quei mercati dove le barriere tra settori sono crollate, la competizione è sempre maggiore ed è strettamente correlato con una cultura digitale degli individui in continua evoluzione. E che nei prossimi anni farà grandi passi avanti grazie alla realtà aumentata che rappresenterà un’altra modalità di comunicazione con il cliente che avrà forti impatti. Tutto ciò significa, a maggior ragione, che i sistemi di controllo applicativo che possono garantire una visione end to end delle prestazioni, saranno sempre più strategici da utilizzare, aumentando le opportunità di creazione di vantaggio competitivo”.

“Negli ultimi anni – ribadisce Claudio Canevazzi, Executive IT Specialist IBM Cloud Italy (vedi articolo Customer experience all’altezza delle aspettative grazie al “nuovo” APM) – la modalità di interazione tra le aziende e i propri clienti ha subìto cambiamenti tali che potremmo paragonarli a una vera e propria rivoluzione. Fino a un decennio fa, normalmente il cliente interagiva con l’azienda tramite un intermediario, che poteva essere un dipendente o un partner o un rivenditore, che poi, a sua volta, interagiva con i sistemi aziendali, il tutto durante le normali ore lavorative. Oggi ci troviamo in un contesto completamente diverso: grazie all’evoluzione di Internet e, soprattutto, dei dispositivi e delle architetture mobile, il cliente finale interagisce direttamente con le aziende utilizzando i canali e le modalità più disparati; questo cambiamento si affianca a quelli relativi all’orizzonte temporale, che non è più limitato al normale orario di lavoro ma traguarda tutta la giornata, e alle geografie, perché la comunicazione è oggi globale”.

E Forrester, nello studio Take Application Performance To The Next Level With Digital Performance Management, specifica che le performance applicative vanno gestite nel contesto di business e di aspettative del cliente: non ci sono prestazioni buone o cattive “a prescindere”, il livello di qualità è strettamente correlato alle aspettative del cliente, quindi bisogna capire il cliente per capire le prestazioni.

E infatti David Rossi, Presales Manager South Emea di Micro Focus, riferendosi al confine sempre più labile tra l’azienda e il suo ecosistema, afferma (vedi articolo APM: monitorare tutto, dall’infrastruttura all’ultimo miglio): “Il confine diventa sempre più fluido, andando quasi ad assumere la forma dell’acqua che cambia e si modella sulla base delle esperienze multicanale degli utenti finali. Le aziende si trovano a dover affrontare una numerosità di clienti molto più elevata che in passato, la cui esperienza deve essere monitorata non solo dal punto di vista del tempo di risposta e della disponibilità dell’applicazione, ma anche del gradimento nell’interazione con le applicazioni”.

Una visione incentrata sull’utente

E se bisogna garantire al cliente la stessa elevata esperienza in tutti i canali utilizzati, il tema della sua identità è basilare: “La trasformazione digitale impatta fortemente su molte aree e così come per la sicurezza, per esempio, dove siamo passati da una sicurezza perimetrale alla gestione sicura delle identità e degli accessi – afferma infatti Luca Mascelloni, Senior Director di CA Technologies Italia (vedi articolo APM, analisi differenti per diverse prospettive)– anche nel caso dell’Application Performance Management siamo passati dal dover monitorare e gestire qualsiasi sistema in dettaglio, alla necessità di avere una visione incentrata sull’utente; in un mondo che è cambiato profondamente perché l’esperienza multicanale ha trasformato completamente il nostro modo, come consumatori, di accedere ai servizi. È quindi indispensabile per le aziende capire come gli utenti stanno vivendo queste nuove modalità di accesso e se i sistemi sono adeguati nel rispondere alle aspettative. Un trend importante è dunque quello di un mondo incentrato sulle identità degli utenti”. Dove la mobility gioca un ruolo primario: “La diffusione del mobile e le stesse iniziative Byod per quanto riguarda gli utenti interni – ricorda Rossi – comportano una maggiore complessità delle piattaforme, con differenti device e diversi sistemi operativi che evolvono molto rapidamente. Per poter identificare eventuali problemi o colli di bottiglia sono dunque necessarie soluzioni di monitoraggio e gestione che consentano di attraversare i diversi layer applicativi in maniera veloce, in modo da disporre rapidamente di informazioni chiare e fruibili dai diversi ruoli che andranno poi a gestire le eventuali problematiche”.

Al centro dell’attenzione del C-level

Tutte queste dichiarazioni concorrono a rispondere alla domanda iniziale sul perché della “nuova vita” delle APM, risposta rafforzata da quanto dichiarato da Emanuele Cagnola, Italy Director di Dynatrace (vedi articolo APM: innovarsi ai ritmi della trasformazione digitale): “Il tema delle performance è sempre più sulla scrivania del CEO, il quale ingaggia il CIO perché abiliti un monitoraggio dal punto di vista del business, oltre che tecnologico come è sempre stato. La spinta continua verso l’innovazione, con modelli di erogazione dei servizi IT che stanno travolgendo le infrastrutture tradizionali (verso sistemi ibridi, al cloud, ad approcci multicloud); la pervasività del mondo IoT, dove nell’erogazione del servizio la relazione non è più cliente-azienda, ma è mediata dalle ‘cose’; la multicanalità, impongono una misurazione delle performance completamente diversa dal passato, molto più business oriented e anch’essa in continua trasformazione. È evidente che – prosegue Cagnola – in un contesto così complesso e articolato, dove le applicazioni hanno milioni di interdipendenze, un’esigenza fondamentale è la capacità delle soluzioni Application Performance Management di navigare questa enorme mole di dati, correlare queste interdipendenze e, in modo automatico, fornire la risposta alle problematiche che emergono; e questo è possibile solo integrando in queste soluzioni un motore di intelligenza artificiale”.

E Mauro Sagratella, Digital Advisor di Microsoft Italia, aggiunge (vedi articolo Un’unica piattaforma di monitoraggio delle applicazioni per misurare le diverse customer experience): “Per garantire questa user experience, le piattaforme di monitoraggio delle performance devono non solo essere in grado di misurarla nei diversi contesti, ma creare dei pattern in differenti scenari in modo che, confrontando i comportamenti reali degli utenti con questi modelli di riferimento, sia possibile intervenire rapidamente, se non addirittura in modo proattivo, al verificarsi di un’anomalia”, e tutto ciò è possibile solo grazie ad automazione dei processi e intelligenza artificiale che, come vedremo nell’articolo a pag. 26, rappresentano infatti due caratteristiche essenziali per una soluzione di Application Performance Management moderna.

Monitorare l’applicazione in un’infrastruttura fluida

Per sviscerare le sfide della complessità infrastrutturale partiamo da alcuni dati di EMA (Enterprise Management Associates, società di analisi specializzata su tematiche ICT), derivanti da una survey realizzata in Nord Amrica su 260 aziende con più di 500 dipendenti, l’87% delle quali utilizza servizi in public e/o private cloud. Da questa survey risulta che l’integrazione di strumenti di gestione e monitoraggio delle performance applicative è considerata la seconda più importante priorità nel percorso di adozione di hybrid cloud e che per il 31% delle aziende l’adozione di soluzioni di questo tipo è addirittura una pre-condizione per sviluppare progetti di hybrid cloud. Il 32% sostiene sia cruciale poter effettuare analisi delle performance business driven e sta sostituendo soluzioni tradizionali di IT management con quelle che consentono una visibilità dell’applicazione end to end che comprenda tutti gli ambienti, dai bare metal, alle applicazioni serverless, ai container.

A proposito di questi ultimi, il 37% delle aziende rileva che la rapida crescita nell’adozione di container (il 68% di quelle intervistate li ha adottati o ne sta valutando l’adozione) complica notevolmente la relazione tra infrastruttura e misurazione delle performance applicative. Ricordiamo che i container sono un tipo di virtualizzazione che opera a livello del sistema operativo incapsulando un intero ambiente runtime, cioè l’applicazione, le binary libraries che traducono il sorgente in linguaggio macchina e i configuration files, in un pacchetto che il kernel Os considera in modo isolato da ogni altro processo; questi software contengono numerosi microservizi (nella maggior parte dei casi condivisi da più applicazioni) che per essere correttamente monitorati richiedono nuove funzionalità da parte dei sistemi di monitoraggio: con ogni nuovo codice sviluppato, i container vengono distrutti e ricreati, potenzialmente in locazioni differenti e spesso sono basati su un nuovo ambiente operativo. Questa loro natura fluida richiede strumenti di monitoring che siano in grado di tracciare questi cambiamenti continui dei componenti applicativi (microservizi appunto) prevedendo dinamicamente l’impatto sulle infrastrutture.

In conclusione di questo scenario introduttivo, Bruno Teuber, Senior Vice President, EMEA Enterprise Sales di New Relic (meno conosciuta nel mercato italiano, ricordiamo che l’azienda, nata nel 2008 con un’offerta esclusivamente in SaaS, è inserita tra i Leader delle soluzioni APM da Gartner e Forrester), afferma quindi che (vedi articolo APM: il valore di business sta nell’analisi olistica delle performance applicative): “L’imperativo chiave per l’Application Performance Management oggi è quello di aiutare le organizzazioni a muoversi più velocemente avendo fiducia nelle performance delle proprie applicazioni. E mantenere questa promessa richiede almeno tre capacità chiave: in primo luogo rendere osservabile ogni aspetto del software e dell’infrastruttura in modo da poter trovare e risolvere i problemi più rapidamente, per fornire (e questa è la seconda capacità) un feedback rapido che consenta ai team di adattare in modo intelligente la tecnologia e le attività alle esigenze del cliente e, infine, terzo aspetto, abilitare azioni in modo agile grazie a insight condivisi”.

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