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NetOps: cos’è e come aiuta a garantire l’agilità della rete

Per trasferire l’approccio DevOps nella progettazione delle reti, un esperto Gartner suggerisce di copiare i modelli architetturali di data center adottati dai grandi cloud provider

Pubblicato il 03 Mag 2019

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Dal Software Defined Networking (SDN) all’utilizzo sempre più spinto del machine learning nella gestione e manutenzione fino alle SD-WAN, il mondo delle reti aziendali è profondamente cambiato. Non si può quindi pensare che si possano progettare con gli stessi approcci e impostazioni degli anni passati. Nasce da queste considerazioni il concetto di NetOps.

Cos’è il NetOps

Il cosiddetto NetOps (denominato anche NetOps 2.0) è un approccio allo sviluppo e alla gestione delle reti aziendali volto a promuove i vantaggi tipici del DevOps (automazione, collaborazione, programmabilità e virtualizzazione) nella realizzazione di infrastrutture flessibili e scalabili in grado di adattarsi alle esigenze mutevoli del business. Secondo i fautori del modello, per una transizione di successo al NetOps, i network manager dovrebbero agire su più fronti, apportando cambiamenti a strumenti, tecnologie, persone e processi.

Sebbene NetOps si riferisca tradizionalmente a operazioni di rete di qualsiasi tipo o epoca (come in un Network Operations Center, ad esempio), NetOps 2.0 viene spesso utilizzato per descrivere una rete che è stata progettata per essere più reattiva alle esigenze e ai requisiti di un’azienda . Altri termini per descrivere questo approccio includono NetDevOps, DevNetOps e Super-NetOps.

Perché nasce il NetOps

Storicamente, i team che si occupano di networking hanno predisposto, distribuito e gestito l’infrastruttura manualmente utilizzando l’interfaccia a riga di comando (CLI), risolvendo i problemi e installando i dispositivi secondo necessità, senza preoccuparsi della coerenza. Di conseguenza, molte reti sono eccessivamente fragili e complesse e richiedono interventi specifici quando interviene un malfunzionamento. Poiché ogni componente richiede un alto grado di attenzione e input umano, la scalabilità è intrinsecamente limitata.

NetOps mira a risolvere i limiti delle reti legacy rendendoli più reattivi e scalabili. Utilizzando l’automazione e altri progressi tecnologici, NetOps può consentire a un’azienda di rispondere rapidamente a nuove richieste ed eventi, riducendo al minimo l’intervento manuale.

I tool per il NetOps

Gli strumenti NetOps utilizzano tecniche di virtualizzazione, automazione, orchestrazione e API per consentire ai team di astrarre e automatizzare le modifiche di rete ripetitive e di routine e collegarle direttamente ai flussi di lavoro di distribuzione delle applicazioni. L’automazione del riutilizzo dei criteri di provisioning, configurazione e implementazione consolidati rende la gestione dell’infrastruttura di rete più coerente, migliorando sia le prestazioni sia la sicurezza.

NetOps include anche l’integrazione di strumenti di analisi della rete progettati per segnalare potenziali problemi di prestazioni, raccogliere e presentare dati rilevanti e avviare processi di riparazione automatica. Il Intent based networking (IBN), un’iniziativa di rete separata che fa molto affidamento sull’automazione, è un componente aggiuntivo di NetOps.

L’evoluzione di NetOps sta rendendo più importante per i professionisti della rete disporre delle competenze di base per l’automazione e la programmazione, nonché delle competenze trasversali necessarie per collaborare in modo proattivo con altri team e utenti.

NetOps richiederà un significativo cambiamento culturale, con i team di networking aziendali che imparano ad abbracciare il cambiamento e gestire i rischi, piuttosto che evitarli.

Come progettare la rete con l’approccio NetOps

Tra i primi sostenitori di NetOps, l’analista di Gartner Andrew Lerner suggerisce alle aziende di affrontare il passaggio emulando i modelli di progettazione DevOps adottati negli hyperscale data center dei cloud provider. Anziché concepire e amministrare il data center come un’unica enorme entità, costruita in una sola volta e aggiornata periodicamente con upgrade estesi a tutta l’infrastruttura, il consiglio è di procedere con l’implementazione incrementale di pod più piccoli. Un pod o zona rappresenta un’unità autonoma con almeno due switch di rete e preferibilmente un numero totale di porte da 100 a 400, come sostiene Lerner. Una dorsale centrale collega i pod del data center, eseguendo solo le funzioni di trasporto basilari.

Data center network tradizionale vs pod – Fonte TechTarget

Come fare update scaglionati e in sicurezza

Il design modulare rende il network più agile e ricettivo all’innovazione, garantendo l’aggiunta di risorse su richiesta, semplicemente implementando pod aggiuntivi per supportare i nuovi carichi di lavoro. Consente inoltre di progettare zone con finalità e parametri specifici, in grado di supportare determinati carichi di lavoro.

Inoltre i pod consentono aggiornamenti scaglionati, limitando le modifiche hardware e software a un’area circoscritta, con il vantaggio di contenere la propagazione di eventuali interruzioni. Così anche la resilienza e la disponibilità complessive del data center migliorano, poiché un bug di configurazione in un pod non dovrebbe influenzare i vicini.

NetOps abilita il continous improvement

Infine, bisogna sottolineare che l’architettura modulare supporta il principio DevOps dei processi continui, facilitando l’iterative development (con cicli ripetitivi di sviluppo e test che permettono l’aggiunta incrementale di funzionalità), nonché il blue/green deployment (che prevede il ricorso a due ambienti di produzione identici, uno attivo e l’altro inattivo per la progettazione). Anziché attendere anni per l’implementazione di un importante aggiornamento del data center, i pod possono essere costantemente migliorati, singolarmente e in gruppo. “Ogni generazione di pod – ha affermato Learner – può copiare le caratteristiche di successo dei pod precedenti” in un ciclo virtuoso di continous improvement.

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