Prospettive

Italia Digitale, Attias: “Passi avanti, ma c’è ancora molto da fare”

Il neo-direttore del Dipartimento per la Trasformazione Digitale fa il bilancio di un anno di lavoro, in un incontro esclusivo con i giornalisti del Network Digital360. “Rimangono ancora due grossi problemi: l’estrema parcellizzazione, dove spesso ogni singola amministrazione si sente monarca digitale, e le scarse risorse”

Pubblicato il 27 Nov 2019

foto Attias

È passato un anno da quando Luca Attias è stato nominato commissario straordinario dell’Agenda Digitale. “Un anno vissuto pericolosamente – sorride Attias – al ritmo di 2.000-2.500 email al giorno”.

Adesso, alla vigilia della nomina a direttore del neo dipartimento per la Trasformazione Digitale, Attias fa il punto della situazione insieme alla ministra Paola Pisano in un incontro esclusivo con i giornalisti e il management del Gruppo Digital360.

I nodi da sciogliere sono i soliti: “Per passare al digitale servono competenze, non tanto tecniche quanto progettuali” afferma Pisano. E ancora: “la trasformazione digitale non può essere attuata per silos ma bisogna procedere in modo sistemico”.

Dai silos a un progetto sistemico

Un tema che sta molto caro anche a Luca Attias che rincara la dose: “Il problema più grosso che abbiamo oggi è la parcelizzazione: abbiamo 12.000 monarchie digitali assolute, ognuna con la propria struttura e i propri obiettivi. Sia chiaro, sono stati fatti passi importanti rispetto a qualche anno fa, ma dobbiamo continuare a lavorarci sopra”.

Si pensi al discorso del budget: in questo momento le singole amministrazioni si ritrovano un budget sulla base di serie storiche. Questa cifra va per forza spesa, perché in caso contrario non viene ridata l’anno successivo. “La cosa incredibile è che si spende a prescindere dal “dove” si spende – commenta Attias – . L’obiettivo in sé è la “spesa”, con il risultato paradossale che magari si investe nel proprio cloud, nella propria infrastruttura, nel proprio core informatico, quando si hanno già a disposizione servizi e piattaforme centrali”.

Per quanto riguarda le infrastrutture, va dato atto che il tema è stato perlomeno portato sui tavoli giusti. “Prima – spiega Michele Melchionda, CIO del team per la trasformazione digitale – si assisteva quasi a una lotta religiosa: cloud sì o cloud no? Centralizzazione sì o centralizzazione no? Non si entrava nel merito, ciascuna amministrazione diceva la sua. Oggi è direttamente la Presidenza del Consiglio che entra nel merito. La stessa Consip sta facendo proprie le istanze del cloud. Il tema insomma è finalmente avviato: il piano triennale c’è, la tecnologia anche, sono stati definiti gli interlocutori tecnologici, ovvero i Cloud Service Provider. Certo, ci sono certo situazioni intermedie, come quelle dei grandi enti dove bisogna fare i conti con la situazione legacy esistente, ma il tavolo è avviato”.

Le risorse a disposizione

Il secondo tema importante è quello delle risorse: drammaticamente poche. “Il team è composto da 35 persone – continua Attias – In UK sono 820 le risorse che lavorano ai temi dell’agenda digitale”. Da dove partire quindi?

Attias ha fatto propria la parola d’ordine del predecessore Diego Piacentini: fattibilità. “La fattibilità è un tema sul quale io sono maniaco – continua Attias – . Credo che uno dei maggiori pregi di Diego sia stato proprio quello di occuparsi di temi che avevano la possibilità di poter essere affrontati e risolti”.

In effetti, quando si parla di Agenda Digitale, per molto tempo si è raccontato di imprese impossibili, di fare cose che non sarebbero mai arrivate a conclusione creando strutture con competenze (poche) e risorse (scarse) inadeguate per i compiti prefissati.

“Bisogna invece cambiare l’ottica: si individuano le cose da fare (non faccio tutto), ma queste le facciamo – commenta Attias – E cerchiamo di farle bene, dedicandoci il giusto tempo e le giuste risorse. Questo è un tema chiave”.

Ma quali cose? I 3 elementi portanti dell’Agenda Digitale sono PagoPA, Spid e l’Anpr (Anagrafe Unica Popolazione Residente). Vediamo a che punto siamo.

PagoPA

PagoPA, il sistema nazionale di pagamenti a favore della Pubblica Amministrazione, sta vivendo una nuova giovinezza. A fine 2016 il sistema era a rischio di chiusura: faceva 100.000 transazioni l’anno per un controvalore di 17 milioni di euro. Si faceva fatica a diffonderlo nelle pubbliche amministrazioni e ad avere il sostegno delle banche.

Adesso il sistema gestisce 60 milioni di transazioni l’anno (con l’obiettivo di arrivare a 100 milioni l’anno prossimo e 250 milioni nel 2022) per un controvalore di 9 miliardi di euro.

Ma quali sono le motivazioni che hanno portato a questi risultati? “Sicuramente delle innovazioni a livello tecnologico sulla piattaforma, nonché una migliore user experience– spiega Giuseppe Virgone del Team della Trasformazione Digitale –. Ma credo che l’aspetto fondamentale sia quello di aver convinto l’ecosistema di prestatori di servizi di pagamento e delle terze parti a investire sull’integrazione con la piattaforma”.

Questo ha contribuito a spiegare meglio i vantaggi di PagoPA alle pubbliche amministrazioni che hanno spesso percepito la piattaforma come un’ulteriore “regola”, un mero “adempimento normativo”, senza coglierne appieno i vantaggi. Il ruolo delle banche sarà fondamentale anche per affrontare il tema dei micropagamenti (per intenderci i biglietti del trasporto pubblico o i parcheggi). C’è un tavolo di lavoro per eliminare le commissioni, perlomeno per importi fino a 10 euro.

SPID

Oggi SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale, ha oltre 5 milioni di identità e cresce al ritmo di circa 200.000 nuove identità al mese.

Se si fa un raffronto con altri Paesi europei, l’Italia ne esce bene. “In UK – commenta Simone Piunno del Team della Trasformazione Digitale – l’analogo del nostro SPID ha circa 2 milioni di identità, pur essendo partiti prima di noi. In Francia stanno lavorando molto bene, con 10 milioni di identità. L’Italia è inoltre il secondo Paese (dopo la Germania) ad aver concluso il percorso per l’utilizzo del pin unico nell’accesso ai servizi degli altri Stati membri”.

Ma come sono stati raggiunti questi risultati? “Il tema nevralgico è stato superare il dilemma uovo-gallina: le PA erano restie a inserire SPID nei propri servizi perché non c’erano abbastanza cittadini con SPID. E i cittadini erano restii a fare lo SPID perché non c’erano abbastanza amministrazioni che lo accettavano. Per questo abbiamo lavorato con le amministrazioni per semplificare il processo di on-boarding”. Ma per fare il vero salto di qualità bisogna lavorare su fronti: coinvolgere organizzazioni che dispongono già di un database corposo di nominativi validi (si pensi alle banche) e immaginare un modello di business per i soggetti che oggi erogano SPID.

ANPR

A oggi 35 milioni di cittadini sono all’interno dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente per un totale di oltre 4.500 comuni. Tra luglio e ottobre si è assistito al maggior numero di migrazioni, in concomitanza con l’invio alle PA del questionario della Corte dei Conti per fare il punto sui progetti digitali (a cui ha risposto ben il 92% degli enti coinvolti).

“Il tema è particolarmente complesso – spiega Paolo de Rosa del Team per la Trasformazione Digitale – perché abbiamo molti stakeholder: le software house, il Ministero dell’Interno, Sogei per citarne alcuni. Il nostro compito è stato quello di orchestrare i processi mettendo a fattor comune le varie esigenze. Entro il 2020 vorremmo arrivare al 90% della popolazione”.

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