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La modernizzazione applicativa tra ostacoli e opportunità

Il tema della modern application oggi è strettamente connesso a quello della trasformazione digitale che ha assunto un ruolo chiave nel business delle aziende. Nicola Buonanno, Senior Regional Director SEMEA di VMware, spiega in che modo le organizzazioni debbano affrontare il cambiamento, sfruttando ad esempio le risorse del PNRR e utilizzando uno strumento come Tanzu, un insieme di tool, prodotti e soluzioni con al centro Kubernetes

Pubblicato il 01 Dic 2021

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“Prima della pandemia, in tempi non sospetti, abbiamo fatto un’analisi da cui emergeva che l’88% dei C-level di tutte le aziende riconosceva nella modernizzazione applicativa e nella trasformazione verso il digitale un elemento fondamentale di competitività”. Nicola Buonanno, Senior Regional Director SEMEA di VMware, è convinto che la pandemia non abbia fatto altro che anticipare qualcosa che era già nell’aria, un cambiamento destinato a realizzarsi in ogni caso.

“Credo sia evidente a tutti – aggiunge infatti – che ogni organizzazione diventerà un’azienda di software, indipendentemente da quale sia il suo ambito di business. E questo andrà a trasformare radicalmente i modelli di business, i modelli organizzativi e le logiche sottostanti al modo in cui le aziende sono presenti sul mercato”. Si tratta di un percorso ricco di opportunità, ma non privo di ostacoli, che le aziende ormai non possono più rimandare.

Nicola Buonanno, Senior Regional Director SEMEA di VMware
Nicola Buonanno, Senior Regional Director SEMEA di VMware

Gli ostacoli sulla strada della modernizzazione applicativa

Per quanto riguarda gli ostacoli, Buonanno ricorda anzitutto che “in questi anni le aziende hanno accumulato deficit tecnologici, investendo in soluzioni legacy che oggigiorno non sono più rispondenti alle opportunità offerte da innovazioni come il cloud, il machine learning, l’IoT e tutto quello che le nuove tecnologie mettono a disposizione. Questo problema si associa al fatto che mancano competenze all’interno delle organizzazioni, poiché si è passati da un modello di qualche anno fa in cui l’IT era qualcosa di avulso dal core business a un modello in cui la tecnologia è il cuore della competitività”.

Quello della competenza è un aspetto talmente cruciale da aver assunto nel mondo contemporaneo i tratti di una vera e propria “guerra dei talenti”, ingaggiata a livello globale per procacciarsi i profili che conoscono le metodologie moderne di sviluppo software. Non che le aziende siano rimaste ferme. Anzi, dovendo fare di necessità virtù, hanno cercato di procedere in maniera spedita, seppur in rincorsa continua, sul versante digitale dando vita a una proliferazione di software e tecnologie che le espone a dei rischi. “Uno su tutti è il rischio della complessità – sottolinea Buonanno – perché bisogna far combaciare piattaforme, infrastrutture e logiche di sviluppo. Con il risultato che il digitale diventa un problema invece che un’opportunità”.

Quella strategia “strabica” che può servire per innovare

In un tale scenario, il contesto italiano e quello europeo non fanno eccezione. Le specificità, semmai, si riferiscono al tessuto economico tipico del vecchio continente rispetto ad esempio agli Usa. Negli Stati Uniti tra le prime 10 aziende, quelle che occupano i posti più alti della classifica appartengono all’ambito tecnologico. Il nostro Paese, come noto, è al secondo posto in Europa per il manifatturiero e annovera tra le imprese più rilevanti per capitalizzazione ex aziende statali e gruppi assicurativi e bancari.

“In Italia c’è anche un tema di età delle aziende – aggiunge il Regional Director di VMware -. È semplice essere innovativi quando si hanno 5-6 anni di storia, molto più complicato quando se ne hanno 50, 60 o 100. Quindi la stratificazione di software che sono stati aggiunti negli anni rende complicati i cambiamenti, tanto da giustificare un tipo di strategia che potremmo definire ‘strabica’: gestire il presente guardando già al futuro, così da creare un ponte tra quelle che sono le esigenze di oggi e quelle che potrebbero essere le opportunità di domani”. Di certo lo “shock esogeno” del Covid-19, al netto dei suoi enormi danni collaterali, ha accelerato di circa sei anni la velocità della transizione al digitale, secondo le analisi condotte da VMware.

Il PNRR e il ruolo di VMware in un mondo che cambia

Anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza è figlio della crisi pandemica. “Sono convinto – dice ancora Buonanno – che Il PNRR porterà i frutti sperati perché si incanala in un percorso di nuova consapevolezza e di focalizzazione sul tema del digitale togliendo quel vincolo, che talvolta è una foglia di fico e talaltra un problema reale, che è la mancanza di risorse. Se utilizzeremo il PNRR nel modo corretto, anche per formare le nuove competenze di domani, sicuramente sarà un’opportunità che cambierà i prossimi decenni in Italia”.

Decenni che è assai probabile saranno all’insegna dell’hybrid e del multi cloud, come si ricava da diverse indagini, compresa quella dell’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano. “Non ci sarà un solo vendor, e quindi sarà importante avere soluzioni basate su standard aperti per consentire ai clienti di spostarsi da una parte all’altra, ma soprattutto di ridurre la complessità dei vari servizi migliorando la sicurezza. VMware sta proprio investendo nella capacità di disintermediare l’infrastruttura o un servizio da quella che è l’intelligenza e la logica applicativa. Dalla sua storia, che viene dal software-defined data center, deriva l’evoluzione dell’offering di VMware, oltre all’esperienza e alla credibilità necessarie in questo mercato”.

Come VMware Tanzu contribuisce alla modern application

Al centro dell’offering attuale di VMware si pone Tanzu, l’ultima business unit nata poco meno di due anni fa. “Tanzu mira a modernizzare l’infrastruttura – spiega Nicola Buonanno – per renderla pronta come piattaforma abilitante per quello che verrà. Con l’introduzione di Kubernetes e il footprint di VMware si riduce la complessità in un unico control panel, con la possibilità di avere un approccio multi cloud”. Va detto per inciso che Joe Beda e Craig McLuckie, due dei co-fondatori di Kubernetes, oggi lavorano per VMware Tanzu. “Tanzu porta innovazione anche nello sviluppo delle applicazioni fino ad arrivare alla parte infrastrutturale, dove il punto di contatto è sempre Kubernetes. In questo senso, si posiziona in maniera unica sul mercato, perché può fare leva sulla competenza di VMware da un lato e sulla community di Spring dall’altro, il framework più utilizzato per lo sviluppo di applicazioni moderne. Inoltre, Tanzu offre non solo tool, prodotti e soluzioni, ma anche metodologie attraverso i Tanzu Labs. Questi ultimi affiancano i clienti nel loro percorso di trasformazione fungendo da acceleratore della trasformazione, anche attraverso processi di knowledge transfer, per il raggiungimento di obiettivi di business attraverso la tecnologia nel tempo minore possibile ed in massima sicurezza”.

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