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Continuous delivery: tutti i vantaggi di “aprire” al crowd

La distribuzione continua del software implica l’implementazione di processi di testing accelerati e continui, che possono essere migliorati introducendo nei cicli di continuous delivery metodologie di collaudo come il crowdtesting

Pubblicato il 24 Nov 2022

crowdtesting

L’esperto britannico di sviluppo software Martin Fowler definisce la “continuous delivery” una disciplina di sviluppo software in cui il codice viene costruito in modo tale da poter essere rilasciato in produzione in ogni momento. Grazie alla continuous delivery, ogni volta che vengono apportate modifiche al software, il team di sviluppo ottiene feedback rapidi e automatizzati sulla sua idoneità al rilascio in produzione.

La continuous delivery si realizza tramite l’integrazione continua del software sviluppato, e la successiva creazione di file eseguibili, poi sottoposti a una serie di test automatizzati e manuali, per l’individuazione di eventuali bug e difetti.

Grazie ai brevi cicli di sviluppo, la continuous delivery consente di rilasciare il codice prima e con maggior frequenza, riducendo al contempo il rischio che non sia in linea con i requisiti e le aspettative di coloro che lo useranno.

Oggi la continuous delivery è di fondamentale importanza nello sviluppo delle moderne applicazioni e servizi digitali, perché i team di sviluppo sono sotto la crescente pressione del business per eseguire rilasci veloci e frequenti, indirizzati a ridurre il time-to-market del software e a integrare tutte le funzionalità desiderate dagli utenti.

Continuous delivery e crowdtesting

Il continuous testing, per ottenere un rapido e continuo feedback sul livello di rischio di business associato al software appena sviluppato, costituisce una sfida per l’implementazione della continuous delivery. Questo perché, oltre ai test automatizzati, occorre comunque fare di continuo anche controlli manuali e test di usabilità.

A tal fine i vari tester e sviluppatori coinvolti devono lavorare in maniera sincronizzata, e i tempi di esecuzione dei test manuali devono essere accelerati.

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Per migliorare questi processi, diventa utile introdurre e adottare un metodo noto come crowdtesting. Quest’ultimo fa affidamento su una popolazione di utenti esterni che operano in scenari reali, capaci di eseguire i collaudi in tempi molto brevi con svariati device, ed evita a un’azienda di dipendere dai tester interni che lavorano nell’organizzazione IT. Il crowdtesting consente di ottenere feedback rapidi sulla qualità del software. Tuttavia, per essere amministrato richiede competenze, organizzazione e l’implementazione di una piattaforma cloud-based per la gestione del crowd, formato da tester che possono essere distribuiti a livello geografico.

Servizi e consulenza per amministrare il crowdtesting

Nel panorama italiano e internazionale dei fornitori di servizi di crowdtesting, la società UNGUESS, attraverso la propria piattaforma basata su cloud e sviluppata negli anni, ha la missione di aiutare le imprese a presidiare e migliorare tutti gli step del processo di creazione, rilascio e implementazione dei prodotti o servizi digitali, sfruttando i feedback e le risposte provenienti dai loro clienti finali.

Per semplificare l’adozione del crowdtesting, UNGUESS fornisce, oltre alla piattaforma tecnologica, know-how e competenze dedicate alla gestione del crowd, e la capacità consulenziale del Customer Success Manager (CSM).

«Funzionando da interfaccia tra la community di tester e l’utente finale – spiega Valentina Coppini, Senior Customer Success Manager di UNGUESS – il CSM fa sì che il cliente non debba preoccuparsi della gestione del crowd, che naturalmente resta a carico di UNGUESS. Inoltre, il CSM, avendo competenze di testing e di user experience, può aiutare l’impresa a capire come estrarre dal crowd più valore possibile, agevolandola nell’individuazione dei test da eseguire sul proprio prodotto, nonché nell’organizzazione della pipeline di test».

E per quanto riguarda la verifica dei risultati dei test? «I tester – precisa Coppini – una volta eseguiti i propri collaudi sul prodotto del cliente, caricano gli esiti dei test sulla piattaforma, con tutte le informazioni necessarie. Tutti gli esiti segnalati dai tester vengono verificati e già dalla prima ora di test, gli sviluppatori dell’azienda utente, attraverso opportune dashboard, possono visualizzare in real-time quali sono i bug riscontrati, e caricati sulla piattaforma di UNGUESS».

In forte armonia con la continuous delivery

Uno dei vantaggi di questo approccio è quello di fornire risultati di test reali ed efficaci fin dall’inizio del ciclo di sviluppo prodotto, operando in stretta sintonia con i moderni processi di continuous delivery del software, e con paradigmi di sviluppo e distribuzione del codice come DevOps; tutto ciò senza causare rallentamenti di sorta.

«Ci integriamo in completa armonia all’interno di queste filiere di sviluppo, siano esse di ‘continuous integration’ o ‘continuous delivery’» spiega Coppini. «Lo facciamo eseguendo cicli di test durante tutto l’anno, fine-settimana compresi, rispettando tempistiche e processi di lavoro dei nostri clienti, in modo da non alterare le loro abitudini. Più in particolare, oltre a eseguire il test del prodotto finale in fase di deployment, possiamo collaudare le funzionalità in qualsiasi altra fase intermedia: integrazione, quality assurance, pre-produzione. I test funzionali mettono alla prova la validità e le funzionalità del software, sfruttando la forza del crowd, costituito da una vasta comunità di tester distribuiti a livello globale».

Dal punto di vista dell’approccio metodologico, i tester sono “fresh eyes”, ossia controllano il prodotto software senza averlo mai visto prima, usando differenti dispositivi e sistemi operativi, e valutando il suo funzionamento anche sotto il profilo della user experience.

Punti di forza nella continuous delivery del software

Riassumendo, i punti di forza del crowd testing, nel supporto dei test di qualità all’interno dei processi di continuous delivery del software, si possono sintetizzare in alcuni principali elementi differenzianti, che UNGUESS considera un vantaggio strategico rispetto agli approcci tradizionali.

«In primo luogo, il CSM può senz’altro fare la differenza nel definire assieme al cliente come esportare valore dal crowd. Secondariamente, poter contare su una community di tester disponibile in qualsiasi giorno e ora costituisce un valore enorme per i clienti, perché non devono subire tempi di attesa per poter vedere i risultati dei propri test, grazie soprattutto alla piattaforma UNGUESS che permette ai clienti di accedere ai loro risultati in real time tramite dashboard dedicate. Un altro elemento differenziante è che, scegliendo UNGUESS, non si sottoscrive un abbonamento annuale fisso, ma si paga secondo un modello a consumo, solo per i test effettivamente eseguiti. Infine, ma non meno importante, va sottolineato l’approccio fresh eyes, che consente ai nostri tester di scoprire e individuare bug e difetti che chi ha lavorato per mesi allo sviluppo di un dato prodotto ormai non riesce più a vedere».

Obiettivo futuro, ridurre l'”empathy gap”

Quali prospettive future di evoluzione ha davanti a sé la strategia di UNGUESS? «Grazie all’utilizzo della nostra piattaforma, i nostri clienti oggi riescono a essere sempre più user e customer centric. Allo stesso modo, in UNGUESS vogliamo essere sempre più client-centric nel modo in cui sviluppiamo le nostre soluzioni. Vogliamo diventare il punto di riferimento, non solo in Italia, ma anche in Europa, nell’offerta delle soluzioni crowd-based che aiutano le aziende e i business leader nel prendere decisioni sempre migliori perché basate, fin dall’inizio, su feedback e risposte dei clienti e utilizzatori finali».

A oggi UNGUESS offre soluzioni che spaziano dalla user experience al “consumer listening”, dal controllo della qualità del software alla cybersecurity. In futuro è prevista una sempre maggiore convergenza tra queste aree, «con l’obiettivo di ridurre quello che si chiama l’“emphaty gap”, ossia il divario tra quanto le aziende credono di essere user-centric, il 75%, e quanto gli utilizzatori finali pensano che le aziende siano davvero user-centric, il 30%», conclude Coppini.

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