Prospettive

Oltre 600 milioni per le grandi PA: il PNRR sfida la burocrazia puntando sull’interoperabilità

Tanti dati e tante competenze interne ma troppe regole e troppi leader: per le grandi PA centrali l’intervento di digitalizzazione su cui il PNRR scommette oltre 600 milioni di euro rappresenta una sfida ambiziosa. Se dal punto di vista tecnologico la parola d’ordine è interoperabilità, dal punto di vista socioeconomico è percezione. Perché i benefici derivanti dai significativi step previsti entro il 2026 saranno difficili da avvertire per cittadini e aziende, per lo meno nell’immediato. Ecco perché è necessario strutturarsi a livello di strumenti, tecnologie e risorse umane, affinché anche nel post PNRR la digitalizzazione prosegua efficacemente.

Pubblicato il 10 Mar 2022

PNRR e pubblica amministrazione

Due ministeri – Interno e Difesa -, due Istituti Nazionali – INAIL e INPS -, la Guardia di Finanza e il Sistema Giudiziario: sono 6 le PA centrali sulla cui digitalizzazione il PNRR scommette 611,2 milioni di euro per semplificare l’erogazione dei servizi al cittadino migliorando la pubblica amministrazione in termini di efficienza, fruibilità e flessibilità. All’interno del “capitolo” dedicato convivono interventi di svariata natura, accomunati da questo obiettivo che ogni grande amministrazione è chiamata a declinare a seconda del proprio ruolo e del proprio punto di partenza, quanto a digital transformation.

Per il Ministero della Difesa il focus è sulla sicurezza, che dovrà però sposarsi con l’adozione del paradigma open source per tutti i sistemi e le applicazioni, mentre il Viminale si doterà di un sistema interno centralizzato per consentire la verifica a distanza in tempo reale dell’identità fisica e digitale a tutti i funzionari pubblici. Questo ambizioso progetto si unisce a interventi di digitalizzazione sia del personale, sia dei servizi per i cittadini.

Un tema su cui accelereranno, grazie agli investimenti in arrivo, anche i due grandi istituti: INAIL e INPS. Nella loro somiglianza e con le loro diversità, entrambi gli enti sono chiamati a efficientare sistemi e procedure interne e rendere i punti di contatto con cittadini, imprese e PA in chiave più fruibili, più digitali e omnicanale. Per un corpo speciale di Polizia come Guardia di Finanza, l’obiettivo è quello di offrire un servizio sempre più efficace e tempestivo al Paese e ai suoi cittadini, il suo raggiungimento passa per una forte valorizzazione delle banche dati disponibili, anche attraverso le nuove tecnologie come intelligenza artificiale e machine learning.

Con il PNRR aprono la porta ad entrambe anche i tribunali con il progetto di efficientamento del sistema giudiziario, una impresa impegnativa a partire dai 10 milioni di atti archiviati da digitalizzare, fino alla messa a terra di soluzioni di advanced data analytics per la loro consultazione e il loro utilizzo.

Perché e come investire sulle grandi amministrazioni centrali

Come dimostrano soprattutto gli ultimi due interventi illustrati, i dati sono i protagonisti di questo capitolo del PNRR, analogamente a quello dedicato alla pubblica amministrazione locale. Come spiega il direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano e membro della regia tecnica che coordina le spese del PNRR presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri Luca Gastaldi, tutte e sei le realtà coinvolte rappresentano “delle basi dati nevralgiche per tutto il sistema, essenziali per accelerare la trasformazione digitale della PA e del Paese. Per questo è fondamentale renderle disponibili e interoperabili”. Basta pensare a tutte le informazioni in mano all’INPS sul lavoro, e ai tribunali, sulla posizione penale di cittadini e imprese: proprio dalla consapevolezza della mole di dati non ancora ben utilizzati nemmeno dalle grandi PA nasce questo sostanzioso investimento. Una scommessa forse meno rischiosa di quella sulla realtà locali, però, perché in questo caso “ci sono le necessarie competenze in grado di moltiplicare e mettere a terra le risorse del PNRR”.

“Il PNRR è paglia, se non vogliamo che diventi un fuoco di paglia è necessario aggiungere legname che produca benefici duraturi – aggiunge Gastaldi – noi contiamo che le PA centrali anche dopo il 2026 continueranno a far fruttare questo intervento, hanno il physique du rôle per farlo”. Ai tanti dati preziosi e alle competenze adeguate, si aggiunge un terzo motivo molto più banale per cui scommettere oltre 600 milioni di euro su 6 soggetti nazionali pubblici: i target stabiliti dall’Unione Europea per l’erogazione delle risorse. Alcuni, come la digitalizzazione dei fascicoli giudiziari entro 2024, li riguardano strettamente e li vedono giocare un ruolo cruciale nell’ottenimento dei fondi da parte del Paese.

Se le loro grandi dimensioni regalano una significativa quantità di dati, esse comportano anche delle problematiche di governance e di complessità operativa. Le prime fanno sorgere la necessità di “allineare e raccordare le figure che hanno voce nel determinare l’indirizzo di trasformazione digitale perché a oggi le responsabilità su questo tema ricadono su molte teste e su tante divisioni, quasi mai allineate sulla strategia da adottare – spiega Gastaldi – c’è poi il problema della burocrazia interna che rallenta e rende tutto complicato, questa è la più grossa minaccia che rischia di vanificare la capacità di mettere a terra il valore di PNRR”.

Più competenze, ma anche più complessità e troppi capi al posto della leadership vacante: sono quasi opposte le sfide assegnate alle PA centrali rispetto a quelle riguardanti le realtà locali, ma anche in questo caso l’investimento e le linee guida sono accompagnate da una serie di iniziative di supporto per i soggetti protagonisti. “Con una sessantina di riforme si cercherà di semplificare le regole del gioco, per esempio rendendo più meritocratici e agili gli scatti di carriera dei dirigenti pubblici oggi gestiti in modo confuso” aggiunge Gastaldi. “Entro fine anno ci sarà poi una NewCo dedicata alla digitalizzazione di questi enti, che li aiuterà nella progettazione e nella stesura di capitolati di gara o nella scelta degli indirizzi, affiancandole anche dopo il 2026 per continuare a ridurre la complessità e accelerare i processi evolutivi”.

IT e processi organizzativi uniti nella digital transformation per un’INAIL customer centric e omnicanale

Questa mission assume diverse forme e livelli di difficoltà all’interno di ogni ente, nel caso dell’INAIL, la complessità si traduce nel dover “gestire molti stakeholder e canalizzare consistenti risorse rispettando vincoli, strumenti e regole della finanza pubblica, garantendone la misurazione di quanto speso” racconta Mariano Michele Bonaccorso, Dirigente dell’Ufficio strategie e portfolio progetti della Direzione Centrale per l’Organizzazione Digitale INAIL. E aggiunge: “serve un approccio strutturato di governance che spesso non è patrimonio della PA e, consapevoli di questo, abbiamo da sempre investito molto per cercare di introdurre modelli innovativi ed efficienti”.

La burocrazia e i suoi intricati meccanismi non hanno impedito però a INAIL negli anni di iniziare, a partire dal 2015, un’imponente opera di trasformazione digitale mirata all’evoluzione dei servizi agli utenti sia interni che esterni, in ottica full digital, customer centric e di omnicanalità. Nel metterla a terra, l’ente ha realizzato investimenti infrastrutturali e architetturali, in primis su data center e cloud, accompagnati da una evoluzione strategica per la cloud migration e l’introduzione della metodologia DevOps. Contemporaneamente, l’ente ha avviato una coraggiosa reingegnerizzazione dei processi di lavoro interni ispirata al framework ITIL, spingendo verso un modello di lavoro ibrido con uno speciale progetto dedicato al digital workplace.

Già in epoca pre-PNRR, quindi, sono stati compiuti passi importanti, una base per quelli previsti per la pubblica amministrazione con l’iniezione di risorse in arrivo.

“Il piano del governo farà da acceleratore del percorso intrapreso, in cui il nostro principale obiettivo è traghettare processi interni e servizi agli utenti verso un modello full digital, con l’approccio che abbiamo da subito scelto – spiega Bonaccorso – integrando quindi nell’evoluzione dell’IT anche una forte componente organizzativa e di change management, Tutte componenti necessarie per il concreto raggiungimento degli obiettivi prefissati”.

Già tutti accessibili dal portale istituzionale dell’INAIL, i servizi ai cittadini e i touchpoint possono e devono diventare di più semplice utilizzo e omnicanale. Con il PNRR, sarà anche ulteriormente evoluta la app studiata “per favorire le fasi tipiche del processo amministrativo, come l’apertura di pratiche o la gestione dei feedback, ma l’idea è soprattutto di potenziare la parte di assistenza omnicanale con chatbot e altri strumenti che possano rendere possibile un’interazione con gli operatori di sede. Non solo attraverso lo sportello fisico, ma anche tramite strumenti evoluti di collaboration: sarà un bel salto di qualità” afferma Bonaccorso.

C’è poi un’altra sfida che lo occuperà nei prossimi mesi, quella dell’interoperabilità e dell’integrazione con le altre PA e con le iniziative previste in ambito nazionale ed europeo, “come per esempio il Single Digital Gateway, ma anche la piattaforma nazionale dei dati e lo sviluppo di nuovi servizi connessi all’appIO, a partiredal suo utilizzo per l’invio degli avvisi e il pagamento dell’Assicurazione infortuni domestici”.

Mentre cerca di minimizzare l’impatto della burocrazia sul proprio percorso di digital transformation e di continuare a innovare l’IT “tenendo sempre il business a bordo”, l’INAIL sta investendo tempo e risorse anche sulla digital dexterity, favorendo quindi la crescita delle competenze digitali dei propri dipendenti attraverso corsi e attività formative specifiche, workshop e progetti di formazione basati sulla gamification. “Le significative uscite di personale dalla PA, a causa della elevata età media dei dipendenti, possono essere un’occasione da cogliere per favorire l’inserimento di nuove figure professionali che agevolino il passaggio verso una PA digitale, più vicina alle reali esigenze dei cittadini e delle imprese, garantendo un ricambio generazionale con personale dotato delle competenze digitali necessarie per la realizzazione della trasformazione digitale”.

Bonaccorso non fa che dar voce a quello che è un fenomeno trasversale e preoccupante: “in alcuni casi mancano persone con competenze digitali anche minime, in altre invece le competenze ci sono, ma servono quelle per i prossimi passi, ovvero specializzate in intelligenza artificiale e machine learning per estrarre efficacemente conoscenza e valore dai dati” spiega Gastaldi, secondo cui è impossibile trascurare questo tema. “Pensando in modo strategico e lungimirante anche per gli anni successivi alle scadenza del PNRR – aggiunge – è fondamentale lavorare fin da subito per mettersi nelle condizioni di essere pronti non solo a livello di strumenti ma anche come persone, per continuare a sfruttare al meglio i dati della pubblica amministrazione a beneficio dei cittadini e delle imprese”.

Spunta quindi il tema della talent attraction e Gastaldi spiega: “oggi i giovani vedono la PA come un sistema elefantiaco, ostile a ogni tipo di innovazione. Se vuole essere appealing e affascinarli non solo deve semplificare le regole di ingresso nel settore pubblico, ma anche sviluppare collaborazioni con le università, stage e iniziative flessibili più adatte al mindset delle nuove generazioni. Insomma: far loro percepire una carriera nella PA come un trampolino di lancio e l’occasione unica per scatenare le proprie competenze su una grande e preziosa quantità di dati, per trarne il meglio. In UK con il CDS hanno fatto un ottimo lavoro, basta copiare”.

La Data Science entra nella Guardia di Finanza, indagini più tempestive mirate ed efficaci

Una delle amministrazioni centrali che finora è riuscita a gestire tutto con competenze interne e solo per i progetti futuri legati alle risorse del PNRR ne avrà bisogno di altre, è la Guardia di Finanza. Con le proprie forze, in meno di tre anniha reso tutte le oltre 150 banche dati a sua disposizione interoperabili, affinché ogni utente interno possa accedere tramite un unico portale in modo puntuale a tutte le informazioni contenute nei data set a cui è abilitato, riguardanti il target che sta investigando.

Da integrare c’erano le banche dati proprietarie GdF, quelle di altre PA disponibili tramite concessioni e quelle di privati. Ciascuna con una propria struttura, ma soprattutto con un proprio “linguaggio”. La soluzione introdotta dai militari è stata “la creazione di una backbone, una dorsale informatica in cui si innestano tutte le banche dati, che permette di interrogare ogni loro singolo servizio web utilizzando la semantica di volta in volta opportuna per interloquire efficacemente. Una sorta di traduttore simultaneo” spiega il Colonnello Cesare Forte, Direttore della Direzione Telematica del Comando Generale della Guardia di Finanza, sottolineando la grande complessità del lavoro fatto e ricordando che “se si prevedesse una semantica comune in tutte le banche dati, sarebbe tutto molto più semplice”.

Con l’interoperabilità, ottenuta senza calpestare alcuna norma sulla privacy e sul trattamento dei dati a partire dal GDPR, la Guardia di Finanza ha guadagnato tempo, passando da 2 ore a 35 secondi per una interrogazione completa alla banca dati. A migliorare è stata anche la qualità investigativa, grazie alla omogeneità dei dati a disposizione per ogni militare a parità di abilitazioni e target, senza alcuna differenza legata alla posizione geografica da cui li chiede. Le risorse del PNRR possono quindi essere utilizzate per compiere un ulteriore passo avanti, un vero e proprio scatto nel processo di digitalizzazione del settore della pubblica amministrazione che prevede l’introduzione della data science per “strutturare la grande quantità di dati a disposizione per definire target connotati da altissima pericolosità economica e finanziaria” spiega il Colonnello Forte. “Si tratta di affidarsi all’analisi avanzata delle informazioni contenute nelle banche dati per centrare i target da investigare e così massimizzare l’azione preventiva e repressiva”.

Intelligenza artificiale e machine learning diventano quindi dei “moltiplicatori delle forze investigative dei militari che, grazie alla loro conoscenza di un particolare fenomeno criminale, sono in grado di individuare quei determinati comportamenti specifici che risultano minimi comuni denominatori essenziali per indirizzare le tecnologie di analisi avanzata verso l’identificazione di un target di soggetti ‘sospetti’ all’interno dei database, restringendo così il campo di indagine – prosegue Forte. “Grazie a questa innovazione, la Guardia di Finanza potrà intervenire solo per fatti effettivamente pericolosi dal punto di vista economico e finanziario”.

Più efficacia e più efficienza, ma anche un forte effettuo dissuasivo a fronte di una maggiore precisione e tempestività nel riconoscere e intervenire in tempi brevi solo e soltanto su chi ha effettivamente compiuto un reato. Per proseguire la sua metamorfosi digitale, la Guardia di Finanza utilizzerà i fondi del PNRR per arricchire le proprie competenze interne, affiancando agli esperti di crimini e di IT dei data scientist in grado di mettere a terra quanto immaginato. Dal punto di vista tecnologico e infrastrutturale non manca nulla: il colonnello Forte spiega che “si tratta solo di individuare dal punto di vista concettuale la migliore infrastruttura in grado di supportare i nostri processi decisionali per i prossimi 5 anni almeno. Per il resto costruiremo la capacità di analisi della Guardia di Finanza attorno a tre paletti: il GDPR, le direttive sulla privacy e la deadline del PNRR, di cui dobbiamo rispettare tutte le milestone per ottenere puntualmente le risorse”.

Percezione dei benefici: in arrivo indicatori anti-miopia di cittadini e imprese

La sfida dell’interoperabilità, già vinta dalla Guardia di Finanza, resta comunque cruciale nell’intervento sulle grandi PA previsto dal PNRR e, a fianco di questa partita dalle regole chiare e trasparenti dettate dall’Unione Europea, ce n’è un’altra altrettanto delicata ma dai meccanismi molto più complessi da comprendere e gestire. È quella “del percepito dei cittadini”.

Sfogliando le varie mission di questo specifico intervento, ente per ente, Gastaldi indica infatti come particolarmente critiche quelle che hanno un impatto immediato, diretto ed evidente sui singoli individui, come le modalità di accesso o l’assistenza ai servizi.

“Il vero beneficio sarebbe la scomparsa della PA dalla vita di cittadini e aziende, meno richieste e meno interazioni, processi semplici e fluidi che non richiedono troppi passaggi, soprattutto per ottenere dati che già sono in suo possesso” spiega Gastaldi, citando come esempio lo snellimento delle procedure per le gare di appalto, oggi lunghe, complesse e dispendiose sia in termini di tempo che di risorse, e la digitalizzazione dei fascicoli giudiziari che, semplificando e favorendo le decisioni, migliorerebbe le performance dell’intero sistema giudiziario.

Tanti altri interventi tra quelli previsti, però, non sono così “alla luce del sole” e non ci si accorgerà nell’immediato dei passi avanti anche consistenti fatti dalle grandi PA. Per arginare il rischio di diventare miopi di fronte all’efficacia degli investimenti del PNRR nella pubblica amministrazione, la segreteria tecnica di cui Gastaldi è membro sta studiando degli indicatori che ne misurino l’impatto positivo sulle PA centrali, perché sia oggettivamente registrato e comunicabile a cittadini e imprese. “E’ un aspetto molto delicato – spiega – perché anche un solo caso di fallimento o di mancata percezione dei benefici può essere generalizzato, compromettendo il giudizio generale delle persone su questo intervento che è invece fondamentale per il futuro del Paese”.

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