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PNRR e interoperabilità dei dati nella PA, la strada verso il modello “once only”

Uno degli obiettivi che intende raggiungere il Piano nazionale di ripresa e resilienza è quello di accelerare la piena interoperabilità tra enti pubblici e le loro basi informative per rendere possibile a cittadini e imprese di fornire “una sola volta” le loro informazioni alle autorità e alle amministrazioni. Gianni Dominici, Direttore Generale FPA, spiega a che punto è questo obiettivo e quali sono i principali ostacoli alla sua realizzazione

Pubblicato il 24 Feb 2022

PNRR e transizione digitale PA

Dei 40,32 miliardi destinati alla Missione 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo) del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), 9,75 si riferiscono alla Componente 1: Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA, ovvero la sua transizione digitale. Di questi, 0,65 miliardi andranno a coprire gli investimenti riguardanti i dati e l’interoperabilità nella pubblica amministrazione. “Il gap digitale della PA italiana – si legge sul PNRR – si traduce oggi in ridotta produttività e spesso in un peso non sopportabile per cittadini, residenti e imprese, che debbono accedere alle diverse amministrazioni come silos verticali, non interconnessi tra loro. La trasformazione digitale della PA si prefigge quindi di cambiare l’architettura e le modalità di interconnessione tra le basi dati delle amministrazioni affinché l’accesso ai servizi sia trasversalmente e universalmente basato sul principio ‘once only’, facendo sì che le informazioni sui cittadini siano a disposizione ‘una volta per tutte’ per le amministrazioni in modo immediato, semplice ed efficace, alleggerendo tempi e costi legati alle richieste di informazioni oggi frammentate tra molteplici enti”.

Per capire a che punto siamo lungo il tragitto su questo particolare versante, abbiamo interpellato Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA, società che da oltre 30 anni lavora per favorire l’incontro e la collaborazione tra pubblica amministrazione, imprese, mondo della ricerca e società civile.

Dall’ANPR verso l’interoperabilità dei dati nella PA

Quello dell’interoperabilità, insieme a diversi altri obiettivi inerenti alla digitalizzazione della PA, è uno dei 47 tra milestone (obiettivi intermedi) e target che l’Italia deve conseguire entro il primo semestre di quest’anno. Ne rimangono poi ulteriori 55 da raggiungere prima della fine del 2022. “L’interoperabilità – spiega Dominici – è la logica conseguenza dell’adesione dei Comuni all’ANPR, cioè all’Anagrafe nazionale della popolazione residente. Fino adesso succedeva che ciascun Comune gestiva in autonomia la propria anagrafe e per ogni operazione, come ad esempio la richiesta di un cambio di residenza, era necessario che le due anagrafi si sentissero, trasmettessero i dati ecc. Oggi, con l’ANPR, il database sta sul cloud ed è centralizzato. Ai fini dell’attuazione del principio dell‘once only l’ANPR è stato un passaggio fondamentale”.

L’interoperabilità, perciò, non dovrebbe trovare particolari ostacoli lungo il cammino. Altro discorso, invece, va fatto sul fronte dei servizi che i Comuni e gli enti locali offrono al cittadino. “Pur essendo aumentato tantissimo l’utilizzo dello SPID e del PagoPA – continua Dominici -, i servizi che i Comuni hanno reso accessibili tramite l’app IO sono ancora pochi. È necessario rivedere completamente i workflow al loro interno e questo è sicuramente un processo più lungo. Se l’interoperabilità ormai è un dato di fatto, l’offerta dei servizi online da parte delle pubbliche amministrazioni locali presuppone un passaggio attivo dei Comuni con una riprogettazione degli attuali processi”.

Il PIAO, uno strumento per le pubbliche amministrazioni

A supporto di questa riprogettazione esiste dall’anno scorso uno strumento di natura “cultural-organizzativa”, il PIAO (Piano integrato di attività e organizzazione). Introdotto all’articolo 6 del decreto legge n. 80/2021, il cosiddetto “Decreto Reclutamento” convertito nella legge 113 del 6 agosto 2021, prevede che le amministrazioni con più di 50 dipendenti debbano riunire in un unico atto tutta la programmazione relativa alla gestione delle risorse umane, all’organizzazione dei dipendenti nei vari uffici, alla formazione e alla prevenzione dalla corruzione. “Poiché il PIAO va a toccare un po’ tutto il workflow delle pubbliche amministrazioni – sottolinea Dominici – come strumento unico di progettazione e di semplificazione, contestualmente consente di introdurre un nuovo modo di gestire i servizi digitali”.

Il PIAO potrebbe mettere in condizione la PA locale di governare progetti complessi come quelli che derivano dalla gestione dei fondi del PNRR. “La nostra preoccupazione, condivisa dall’ANCI, è che in questo momento siamo in grande ritardo e c’è il rischio che le amministrazioni locali, destinatarie del 30-40% delle risorse del PNRR, non abbiano le capacità e le competenze sufficienti per gestire questi processi: di trasformare gli obiettivi in gare, le gare in affidamenti e questi ultimi in soluzioni nuove”. Non che manchino le best practice, come testimonia anche la ricerca realizzata l’anno scorso da FPA per Dedagroup Public Services sulla maturità digitale dei Comuni capoluogo, “ma il problema è che non siamo eccellenza a livello di sistema e le eccellenze da sole possono fare ben poco”.

Non bastano le killer application se non c’è semplificazione

L’interoperabilità dei dati e la possibilità di attingervi tramite il meccanismo dell’once only possono contare sulle “killer application”, quelle stesse che, come nel caso dell’app IO, sono state scaricate da milioni di italiani per avere ad esempio il Green Pass sul proprio smartphone. “La stessa cosa accaduta per le famiglie – dice ancora Dominici – potrebbe riguardare le imprese, visto che c’è un bisogno assoluto di semplificazione e di sburocratizzazione della macchina organizzativa. Le imprese, per poter reagire alla crisi, hanno necessità di accorciare i tempi in termini di permessi, informazioni ecc. Mi auguro che il prossimo step venga dal Governo, il quale si deve rendere conto che se intende trasferire queste risorse sui territori alle imprese e alle pubbliche amministrazioni deve assolutamente velocizzare dal punto di vista della semplificazione del procurement e delle gare”.

I precedenti, purtroppo, non invitano all’ottimismo. Nel periodo 2014-2020 l’Italia ha ricevuto, tramite i fondi strutturali europei, all’incirca 44,8 miliardi di euro. Di questi è riuscita a spendere un ammontare di poco superiore al 40%, a fronte di una media degli altri Paesi Ue che si aggira attorno al 54%. Se si pensa che i fondi del PNRR per la transizione digitale ammontano a 191,5 miliardi di euro suddivisi tra sovvenzioni (68,9 miliardi) e prestiti (122,6 miliardi), la preoccupazione è legittima. Tanto più che, senza scomodare l’Europa, basta ricordare l’effetto imbuto generato dalle pratiche del 110% sul bonus facciate, a causa del quale gli uffici tecnici dei Comuni sono rimasti intasati per il numero eccessivo di domande pervenute.

E se cominciassimo a parlare del progetto-Paese del futuro?

In teoria, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza l’esigenza dell’accelerazione è ben presente: “È necessario accelerare la piena interoperabilità tra enti pubblici e le loro basi informative – evidenzia infatti il documento -, che consenta di snellire le procedure pubbliche grazie alla piena realizzazione del principio del ‘once only’, un concetto di e-government per cui cittadini e imprese debbano poter fornire ‘una sola volta’ le loro informazioni ad autorità e amministrazioni. Per consentire un’efficace interazione tra cittadini e PA intendiamo rafforzare l’identità digitale, a partire da quelle esistenti (SPID e CIE), migliorare i servizi offerti ai cittadini, tra cui i pagamenti (PagoPA) e le comunicazioni con la PA (Domicilio Digitale e Piattaforma di Notifica), e fare leva sull’app IO come principale punto di contatto digitale con la PA”.

A queste premesse ciò che al momento manca probabilmente è una effettiva visione di futuro diffusa tra tutti gli stakeholder, istituzioni in primis. “Siamo appiattiti da due anni sul tema dell’emergenza – afferma in conclusione Gianni Dominici – e non su quello del futuro. Vogliamo parlare di un progetto-Paese? Vogliamo parlare del fatto che questi soldi ci dovrebbero traghettare a essere finalmente un Paese basato sull’inclusione e verso un’economia fondata sulla sostenibilità e sul digitale? È una responsabilità di tutti, tenuto conto che il progetto europeo si chiama Next Generation EU. Bisogna uscire al più presto dal dibattito sul Green Pass sì o Green Pass no, per definire un’agenda condivisa tra istituzioni, società, media che parli finalmente di futuro e degli strumenti che occorrono per raggiungere questo futuro”.

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