Forrester: ecco il marketing ‘timido’ e ‘contestuale’

ZeroUno intervista Luca Paderni, Vp Research director serving marketing leadership professionals di Forrester, il quale offre il punto di vista del Cmo sul ‘marketing nel contesto del cliente’. Ecco le nuove modalità di ingaggio, vendita, relazione e fidelizzazione che, grazie ai dispositivi mobili e smart, offrono nuove importanti opportunità per i brand aziendali. Ancora aperte, però, le sfide culturali e tecnologiche come quella che l’azienda richiede al Cio nell’evoluzione del proprio ruolo.

Pubblicato il 29 Apr 2014

Il marketing digitalizzato aggiunge alla gestione della relazione con il cliente quella della sua esperienza digitale con il brand. Il ‘real time customer value’ che il marketing digitalizzato, e come vedremo anche contestuale e investigativo, è in grado di offrire rappresenta il tema centrale del Marketing Leaders Forum, l’evento organizzato dalla società di analisi americana Forrester (che si terrà a Londra, il prossimo 13-14 maggio) la quale, sul fronte marketing, osserva e analizza fenomeni e tecnologie da una duplice prospettiva di utilizzo/mercato: quella del consumatore tout court (B2C) e quella del business decision maker (B2B). “Entrambi gli utenti passano sempre più tempo su dispositivi digitali mobili, smart, connessi o collegabili, a portata se non addirittura indossati”, commenta Luca Paderni, Vp Research Director serving marketing leadership professionals di Forrester. “Ciò dà adito ad una molteplicità di fonti di informazione che genera una serie di cambiamenti nel consumo di tali informazioni e nelle aspettative del consumatore. Il nuovo ‘valore del contesto’ deriva dall’apprezzamento generale della potenza dei dispositivi mobili e smart e dalla crescente consapevolezza di che cosa ci si può fare come individui”.

Da qui derivano una serie di sfide e barriere tecnologiche per i brand delle aziende. “Il consumatore dà per scontato che questi (il brand, quindi l’azienda) sia consapevole di dove lui si trovi, di che cosa stia cercando di fare e di quale contesto lo circondi”, afferma Paderni. “Il brand deve sfruttare il potenziale delle piattaforme mobili e smart, estrarne informazioni utili rispetto al contesto del consumatore per derivarne decisioni efficaci. Non sarà sufficiente dunque ‘tradurre’ un sito web su iPad o smartphone, servirà introdurre funzionalità che sfruttino le informazioni utilizzabili da un App ‘consapevole’ di girare su un dispositivo mobile smart, connesso o collegabile”.

Luca Paderni, Vp Research Director serving marketing leadership professionals di Forrester

La seconda sfida per il brand è legata al cambio di mentalità: “passare da campagne push generiche (che ‘sparano nel mucchio’ per una piccola percentuale di rendering positivo) a campagne che usino informazioni di contesto del consumatore per generargli un’esperienza ‘Vid’ – Value in design – che generi valore evidente per l’utente sin dalla proposta/offerta”, spiega in dettaglio l’analista. “Tecnicamente, l’App del brand non deve offrire al consumatore tutto quanto il brand/azienda potrebbe fare per lui, ma solo quel paio di servizi pertinenti al momento, rispetto cioè a dov’è il cliente e a cosa ha fatto prima o sta facendo al momento dell’interazione con l’App”.

Sono proprio questi i temi principali che al Marketing Leaders Forum di Londra Paderni affronterà in due differenti presentazioni: ‘Need based Marketing’ e ‘Power of the context’. “Discipline sulle quali Amazon ha fatto scuola”, ricorda Paderni. “Monocanale sul web con l’ossessione dell’analisi dei dati dei consumatori, Amazon fa cultura su temi quali la gestione del dato e l’estrazione del valore. L’azienda ha inventato il ‘marketing timido’ con il mantra ‘less is more’ e la strategia di raggiungere il consumatore solo se si pensa di avere da comunicargli qualcosa per lui di valore e di offrirgliela ‘in contesto’ e in tempo reale”.

Un marketing timido ma efficace: “risponde alla domanda latente dell’end user, non esplicitata ma decifrata con l’analisi dei dati”, spiega l’analista. “Le campagne modellate sulla base della domanda latente spingono ancora alla vendita di un tal libro, per esempio, ma solo a quei 7 clienti su 1000 dai dati dei quali si desume l’interesse dell’utente. Così la funzionalità ‘libri che potrebbero interessarti’ di Kindle sfrutta domande ricevute, visite a siti pertinenti a un determinato tema, libri simili già ordinati per ‘suggerire’ all’utente un nuovo acquisto, in linea con i propri gusti. Il marketing timido, infatti, è anche ‘investigativo’ di interessi e gusti del cliente. Lo è in particolare nelle fasi di ‘discover’ e di ‘explore’, nel ciclo di vita delle interazioni tra consumatore e brand (figura 1)”.

Ad ogni interazione il consumatore è profilato in modo sempre più accurato, sicché, rispetto alla campagna monolitica, il marketing timido è in grado di proporre offerte di sempre maggior ‘real time customer value’. “In modo onesto, stante lo scopo ultimo di capitalizzare sulla credibilità acquisita, acquisto dopo acquisto, e fidelizzare la relazione”, commenta Paderni. Ed è qui che si trova la terza barriera all’adozione e pratica di questa disciplina, quella culturale, stavolta dal lato dei consumatori. “È la paura che il marketing contestuale (e investigativo) leda la privacy”, spiega l’analista.

C’è un limite entro il quale il marketing contestuale non viene percepito come invasivo della privacy? Dipende dalle diverse geografie? Le indagini Forrester dicono di si (vedi riquadro in basso): “per la maggioranza degli utenti la percezione di beneficio tangibile (da un marketing contestuale che anche usi dati di loro proprietà) ‘relativizza’ le preoccupazioni sulla privacy. È in netta minoranza chi assume la privacy a principio assoluto”, commenta Paderni.

Il ‘punto di vista’ dei Cmo e il nuovo modo di essere Cio

Figura 1: Motore del Marketing contestuale Fonte: Forrester 2014

L’esercizio del Cmo è definire il ‘life cycle delle interazioni con il consumatore’ e i momenti di attivazione per intervenire sulla base di quanto succede ‘in contesto’. Proprio di questo e del nuovo ruolo e punto di vista del Cmo parleranno a Londra alcune aziende presentando i propri casi studio. Francesca Nieddu, managing director, Crm & Sales planning di Intesa San Paolo spiegherà come l’istituto punti “a un salto qualitativo nell’interazione cliente-banca, centrandola su una vista globale sul cliente e una intelligenza olistica”, ci anticipa Paderni. “L’idea è riorientare a ‘customer centrici’ i sistemi di rapporto e analisi dei dati dei consumatori, dall’attuale piattaforma per silos/prodotto, per riuscir a sapere di un cliente di cui si vede l’uso di carte di credito, per esempio, anche se ha un mutuo e di che tipo. Una transizione strategica per processi, mentalità, ruoli e tecnologia, di cui Banca Intesa vede un percorso a 18-24 mesi”.

A Londra ci sarà anche l’opportunità di sentire il punto di vista dei Cmo rispetto alla funzione Ict. “Per i Cio”, osserva Paderni, “la vista del Cmo si riassume nell’esigenza di una forte funzione tecnologica embedded, senza cui la Lob non può affrontare la sfida di costruire il motore del marketing contestuale attorno al consumatore, gestire i dati sia qualitativi sia quantitativi e i trigger per interventi di valore: il Cio, insomma, deve far funzionare gli ‘engagement system’, l’infrastruttura che occorre al marketing contestuale per ingaggiare il consumatore”.

Un primo messaggio, da parte della società di analisi americana, è che il Cmo sa che “deve educare il suo Cio e deve far capire al suo Ceo che la Lob non può farcela senza il forte supporto interno dei colleghi Business Technology (Bt)”, puntualizza Paderni ricordando come da anni Forrester produca fior di ricerche sullo shift epocale dall’It alla Bt per una Lob digitalizzata. “È venuto il momento di investire in Bt sugli engagement system, risposta epocale che durerà 10-15 anni”.

Un secondo messaggio è che il Cmo e i Business Leader riconoscono la grande complessità delle disparate tecnologie da federare negli engagement system. “Al Cio che assuma la responsabilità della Bt, si chiede di uscire dal back-office, orchestrare risorse interne ed esterne all’azienda (gestendo molti più partner di prima), federare tecnologie disparate con una nuova governance più agile e a largo raggio, rispondere della gestione aziendale del dato customer centrico”, conclude Paderni.


L’equilibrio tra Marketing contestuale (e investigativo) e la Privacy

Il conflitto privacy-marketing contestuale è solo un raffinamento del più generale braccio di ferro fra privacy e brand. Ne è convinto Luca Paderni, Vp Research Director serving marketing leadership professionals di Forrester, secondo il quale “esiste un punto di equilibrio, oltre il quale però è evidente che si debba ‘fare i conti’ con la paura per la privacy”.

Secondo diverse indagini condotte da Forrester, “i consumatori riconoscono nella maggioranza dei casi un valore funzionale ai brand aziendali, quello di semplificare loro le decisioni d’acquisto”, spiega Paderni. “Evitano loro ogni volta una ricerca su quanto esiste sul mercato e un’analisi comparativa il cui costo in tempo supera il beneficio ottenibile. Questo per lo meno per acquisti di medio o basso livello; il discorso cambia se l’utente deve effettuare acquisti importanti come la casa o l’auto”.

Con l’avvento del marketing contestuale il confronto brand-privacy si aggiorna. “Ma per la maggioranza (assoluta) dei clienti, le indagini Forrester vedono il limite laddove e finché il consumatore riscontra un beneficio tangibile che gli fa apprezzare il marketing contestuale, che anche usi dati di sua proprietà”, spiega l’analista. “La maggioranza apprezza offerte personalizzate, reagisce male semmai ad e-mail generalizzate. È in netta minoranza chi obietta e assume la privacy a principio assoluto (il dato è mio e lo gestisco solo io)”.

Viene in mente Richard Stallman, fondatore della Free Software Foundation che teorizza la necessità di proteggersi da ogni discovery interattiva, “a priori invasiva in quanto software che non controlliamo”. Sulla consistenza della “minoranza massimalista”, Paderni fornisce un dato indiretto, ma oggettivo: “quanti sanno cosa siano i cookies e quanti (meno ancora) gestiscono in modo proattivo le permission sui loro browser, una tecnologia né facile né integrata: sono tra il 4 e il 6%, a seconda delle geografie. Sono meno ancora quanti lo fanno perché obiettori tipo Stallman e non semplicemente perché ‘techie’ (technical interested or expert)”.

In conclusione, dalla maggioranza dei consumatori il servizio alle decisioni d’acquisto svolto dai brand è giudicato, più o meno consapevolmente, utile. E il marketing contestuale è visto come suo raffinamento investigativo.

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