Cio Transformation

Percorsi di cambiamento di una figura, il Cio, e di un’area, i sistemi informativi, a un bivio: saper rispondere alla sfida competitiva del business, garantendo servizi a valore, oppure rischiare il ridimensionamento strategico. ZeroUno ha partecipato all’evento Finaki 2011, in preparazione del quale ha intervistato 9 Cio di primarie aziende italiane: Eni, Benetton, Ferrovie dello Stato, Autogrill, UniCredit, Api, Acraf Angelini, Poste Italiane e Anas.

Pubblicato il 29 Giu 2011

È con piacere e soddisfazione che partecipiamo, attivamente ai lavori e come unico soggetto editoriale invitato, all’esclusivo circuito di Cio organizzato da 11 anni a questa parte da Finaki.
È un evento fino ad oggi volutamente tenuto off-limits ai media (e quindi, per scelta, circoscritto alla dimensione di circuito riservato) per consentire a questa figura, in profonda trasformazione professionale, il responsabile dei sistemi informativi aziendali, di poter fare “brain storming” con i colleghi, di confrontarsi nel merito dei problemi e dei complessi rapporti aziendali che oggi stanno guidando la ricerca del Cio verso un suo rinnovato ruolo. A questo appuntamento ZeroUno è stato presente per portare il proprio contributo di valore alla discussione e di amplificazione dei lavori a valle dell’evento, che si è tenuto quest’anno nella cornice di Giardini Naxos, vicino a Taormina, dal 23 al 26 giugno e durante il quale si sono incontrati 174 top manager (90 Cio di aziende utenti e 81 vendor Ict).
In questa Storia di Copertina abbiamo intervistato alcuni Cio del Comitato di Programma, allo scopo di andare “al nocciolo delle questioni”. Perché siamo tutti “un po’ stufi” di parlare del “nuovo ruolo del Cio” mentre sotto sta franando il terreno, i budget vengono ridotti, il pericolo di perdere competenze, persone e governo dei processi è alto, così come è elevato il rischio di disintermediazione mentre genericamente ci si interroga su come apportare valore al business ma è sempre più complesso riuscire a realizzarlo. Queste interviste hanno invece lo scopo, oltre che di offrire una panoramica globale sulla difficile professione del Cio, di capire come fare, come intervenire, come colloquiare e meglio relazionarsi con le controparti, utenti sia aziendali sia sul mercato finale, che stanno “comsumerizzando l’It”. Stanno guidando, cioè, una rivoluzione nemmeno troppo silenziosa, utilizzando e “consumando informatica” dentro e fuori l’azienda, nella vita professionale ma anche attraverso un processo di formazione e di acculturamento digitale che prosegue e anzi viene ad essere predominante nella sfera privata e sociale, riversandosi poi nella dimensione lavorativa. Sono utenti che affermano sempre più il bisogno di poter usufruire di tecnologie con pochi vincoli di utilizzo e di funzionalità, adottando proprie modalità per essere più produttivi, più rapidi, più informati, più collaborativi e collegati con il mondo esterno e tutte le communities con cui serve relazionarsi.
In questo processo di rapidissimo “acculturamento digitale” era inevitabile che il rischio di vedere l’It e nello specifico la figura del Cio come “il freno al cambiamento”, il legacy, quello che è rimasto ancora nella glass house, fosse dietro l’angolo. È per questo che, fatte salve competenze di integrazione architetturale, governance e conoscenze tecnologiche up to date, oggi il Cio sta profondamente cambiando sia la propria mentalità, sia l’organizzazione, sia la propria “value proposition”. Come? Ponendosi nei confronti degli utenti aziendali in una dimensione consulenziale e interpretativa dei bisogni e dei progetti di questi ultimi, dimensione che deve essere percepita in tutto il suo valore, per avere “a fianco” (e non a freno) la tecnologia e le persone che la governano in una modalità collaborativa, di supporto e di spinta rispetto alle loro esigenze operative; e certamente rispettosa della loro “libertà digitale”.
Da queste interviste con alcune tra le più interessanti figure di Cio all’interno di importanti imprese italiane, sono emersi elementi davvero interessanti e tutta la consapevolezza della necessità di gestire, affrontare e proporre il cambiamento. Contro tutti i freni, i lacci e le preclusioni culturali che ogni percorso di trasformazione porta con sé.
Possiamo senz’altro dire che, finalmente, la coscienza che non si possa più guardare “al cortile di casa propria”, sperando che lo tsunami passi, è un elemento ormai acquisito (almeno dai più). Non vedere l’entità del cambiamento in corso, d’altro canto, è impossibile. Coesistono infatti oggi in azienda e sul mercato forze, spesso antitetiche, che investono pienamente la figura del Cio; forze che devono in qualche misura essere governate, meglio ancora sfruttate. Ci riferiamo, ad esempio, a quella che è diventata una condizione operativa ormai naturale: l’esigenza di conciliare un rigoroso controllo dei costi con l’obbligo di creare maggiore efficienza e valore. Serve però saper guardare al contempo a un mercato in rapidissima e tumultuosa trasformazione dove l’utilizzo della tecnologia è ormai estremamente diffuso e la cultura digitale va estendendosi con velocità a fasce di mercato sempre più ampie attraverso modalità innovative di fruizione, accesso, confronto, scambio informativo e giudizio su ogni tipo di proposta che arriverà dalle aziende. Come non tenerne conto? L’azienda stessa sta vivendo un processo di svecchiamento delle proprie persone: i dipendenti con meno di 30 anni passeranno, secondo un recente studio Forrester, da una media del 25% attuale al 45% dell’intera forza lavoro entro il 2020. E allora, le modalità di “It consumerization” saranno la normalità, con scaricamenti di applicazioni dal Web da parte dei business manager con o senza approvazione del dipartimento It.
Ecco allora la necessità di gettare le basi per il futuro a partire dalla trasformazione del dipartimento It nelle competenze delle sue persone, funzioni, processi e organizzazione, finalizzandolo alla dimensione di centro erogatore di servizi “business value”. Come? Ascoltando i Cio che abbiamo intervistato, le strade possibili da percorrere sono differenti per cultura, tipologia di settore, diversi livelli di percezione dell’It all’interno dell’azienda. Tuttavia vi sono alcuni punti fermi comuni a tutti. Ad esempio la capacità, da “Giano bifronte”, di governare in modo rigoroso, da un lato, il sistema e la sua complessità; ma dall’altro lato saper anche mettere in campo quegli “extra” rappresentati dalla dimensione intangibile della capacità relazionale con le persone; dal saper tracciare adeguatamente le richieste del business, mapparle all’interno di un’organizzazione It flessibile che sappia dare risposte convincenti sul piano dell’efficacia; dall’essere in grado di sviluppare differenti competenze sul business rapportandole a competenze architetturali che non devono essere perse. È questo un altro dei punti fermi nella cultura dei nostri Cio. D’accordo comprendere i processi e saper dare risposte d’innovazione al business, ma resta fondamentale saper modellare adeguatamente le soluzioni tecnologiche in funzione della “personalità” aziendale (organizzazione, tipologie di utenti, modelli di utilizzo, tipo di business). Pur con tutte le opportunità di fruizione tecnologica as-a-service, pur con la necessità di aprirsi, come Cio, all’interazione e alla relazione, il “ritorno di fiamma” di alcuni progetti di insourcing ribadisce la necessità di non perdere ulteriori competenze su aree applicative strategiche, riducendo la dipendenza dai fornitori e per poter seguire davvero la variabilità competitiva aziendale. Ecco cosa è emerso da questi incontri: la consapevolezza di dover costruire una figura di Cio e un dipartimento che assommino soft skill con conoscenze architetturali e di integrazione elevate, sapendo governare la domanda interna, guardando ai mercati esterni continuamente in fase di innovazione, gestendo in una dimensione di business e di valore la relazione con i vendor. Senza dimenticare di agire, al contempo, sul proprio team per stimolare un gruppo competente e che sappia muoversi all’interno di dinamiche di cambiamento continuo. Non è facile? Se fosse facile non sarebbe…”roba da Cio”.

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