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IBM e CERN assieme per formare giovani quantum friendly e spiegare la dark matter

Con l’accelerazione in corso nello sviluppo dei quantum computer che presto potrebbe far decretare il quantum advantage, per lo meno in alcuni campi, e il possibile raggiungimento del fault-tolerant quantum computing entro 4 o 5 anni, sembrano sempre più realizzabili alcuni “sogni” come quello del nuovo Quantum Hub di IBM, il CERN, di spiegare la dark matter. Allo stesso tempo diventa più che mai urgente formare una nuova generazione con le competenze adatte per cogliere le opportunità offerte da questa tecnologia appena sarà pronta. Da quanto emerso nella tavola rotonda con IBM e CERN dedicata al “Quantum Computing da una prospettiva europea”, sembra non manchi molto.

Pubblicato il 28 Lug 2021

IBM e CERN

Anche prima del fault-tolerant quantum computing, in arrivo non prima di 4 o 5 anni (secondo il teorema della tolleranza ai guasti quantistica un computer quantistico con un tasso di errore fisico inferiore a una certa soglia può, attraverso l’applicazione di schemi di correzione dell’errore quantistico, sopprimere il tasso di errore logico a livelli arbitrariamente bassi), si potrebbe raggiungere il quantum advantage (la dimostrazione che un dispositivo quantistico può risolvere un problema che nessun computer classico può risolvere in un tempo possibile) soprattutto per problemi di machine learning, struttura elettronica e finanza perché, anche se l’errore non viene corretto ma solo mitigato, si otterrebbero risultati non accessibili con computer classici.

Appare così sempre più imminente, dopo questa previsione di IBM, il momento in cui tale nuova tecnologia verrà integrata in modo concreto nella ricerca e nell’industria e c’è chi, come il CERN, sognando di scoprire di cosa è fatta la materia oscura, si assicura una posizione di privilegio diventando ufficialmente un IBM Quantum Hub. Nella tavola rotonda “Il Quantum Computing da una prospettiva europeache li ha visti entrambi protagonisti, alla chiara convinzione che si vedranno presto dei grandi passi avanti nel quantum computing, si è affiancata l’amara consapevolezza della forte mancanza di esperti in grado di tradurre i passi avanti fatti dalla tecnologia, in applicazioni utili. Il tema non è solo di competenze, è necessario un cambio radicale di approccio e, come spiegato da Federico Mattei, IBM Quantum Ambassador, “sarà necessario rispolverare algoritmi che avevamo chiuso nel cassetto perché computazionalmente troppo demanding. Fra poco potrebbero essere accessibili”.

Oltre la soglia dei 1000 qubit, IBM mira al quantum advantage

Rimanendo indietro nella conoscenza della quantum technology, si arriverebbe al paradosso di avere gli strumenti pronti ma non sapere per quali problemi utilizzarli perché, fino ad oggi, nessuno se li è posti o li ha ignorati pensandoli inaffrontabili. Se prima si potevano dividere tra risolvibile o irrisolvibile da un computer classico, oggi si deve infatti iniziare a considerare una nuova categoria di complessità dei problemi, quella affrontabile dal quantum computing come l’equazione di Schrodinger che trova finalmente soluzione in modo esatto e non solo approssimato.

Proprio tentando di risolvere questa equazione con cui si determina l’evoluzione temporale dello stato di particelle, atomi o molecole, ci si imbatte nelle barriere esponenziali del calcolo tradizionale e dei bit iniziando ad apprezzare i qubit. “Già nel solo numero di due comportano 512 bit di informazioni rappresentabili, se poi se ne considerano 280 si ottengono risultati inimmaginabili con un computer classico” ha affermato Ivano Tavernelli, IBM Research Zurich, ricordando che nella roadmap dell’azienda nel 2022 con Osprey è previsto un balzo in un anno da 127 a 433 qubit per poi superare la soglia dei 1000, 1121 qubit per la precisione, con Condor, nel 2023. A questo punto si avrà un sistema già abbastanza complesso da poter raggiungere il quantum advantage e “la nuova sfida sarà quella dei quantum link per collegare i quantum chip da 1000 qubit e mantenere l’informazione quantistica inalterata” ha affermato Tavernelli spiegando che “l’idea è quella di creare unità replicabili e collegabili per raggiungere la scalabilità e nel frattempo, come stiamo facendo, costruire enormi criostati per ospitare il numero di qubit necessario”.

Tutto ciò non segnerà la scomparsa dei computer classici che, ha assicurato Mattei, “continueranno a fare la maggior parte dei calcoli prendendo anche in carico i risultati del quantum computer da considerare come un top performer su alcune tecnologie di calcolo che stiamo cercando di ampliare in tempi ridotti”. È infatti un computer classico che si occupa dell’elettronica e dell’invio di impulsi verso il criostato nei quantum computer a superconduttori che IBM stessa mette a disposizione degli utenti assieme, a partire dal 2023, ad una serie di “pacchetti”, ovvero moduli con algoritmi per la risoluzione di problemi di chimica, biologia, medicina, scienze dei materiali ma anche finanza e machine learning mostrando come il quantum computing sia pronto per risolvere problemi di interesse sia commerciale che accademico.

Qiskit e IBM Quantum Network per un quantum computing sempre più open

Per chi oggi volesse già costruire applicazioni ed esperimenti quantistici c’è il Quantum Lab che offre Qiskit, un framework open-source pensato in ottica frictionless che permette, anche a chi è abituato a protocolli classici, di preparare senza alcun ostacolo algoritmi quantistici tramite un’interfaccia grafica o un linguaggio di programmazione come Python, per poi eseguirli su simulatori o sul computer quantistico stesso. Quello che IBM chiama un approccio frictionless al quantum computing, significa infatti che gli sviluppatori vengono messi in grado di esplorare i modelli di calcolo quantistico da soli senza dover pensare alla fisica quantistica e senza doversi preoccupare di quale computer quantistico stanno utilizzando o, addirittura, se un programma viene in parte eseguito su un computer quantistico e in parte su uno classico: “Bastano poche righe di codice per invocare moduli e trasmettere i dati necessari per fare calcoli quantistici” ha confermato Tavernelli lasciando a Carmen Recio e Fabio Scafirimuto, IBM Research, Zurich Lab, raccontare le tante iniziative ideate per la diffusione di questo strumento come il Qiskit Textbook, un libro aperto con contenuti anche di base, letto oggi da 25.000 persone al mese, e la Qiskit Global Summer School di cui è appena terminata la seconda edizione con circa 5000 partecipanti provenienti da oltre 100 Paesi.

Per far progredire in modo collaborativo e individuale il campo dell’informatica quantistica e guidarne l’adozione è stato anche creato nel 2017 l‘IBM Quantum Network per forgiare collettivamente il percorso verso il quantum advantage accelerando la ricerca e sviluppando applicazioni commerciali. Fino ad oggi oltre 300.000 utenti hanno fatto girare 700 milioni di circuiti quantistici su 34 computer quantistici IBM e si contano 148 membri tra cui 20 hub “che giocano un ruolo fondamentale, perché diversamente dagli altri membri – ha spiegato Scafirimuto – possono fornire i quantum services IBM presenti nel cloud a tutti i partner”. Dopo aver accolto di recente il tedesco Fraunhofer-Gesellschaft, IBM ha confermato il suo interesse ad espandere il suo presidio nel campo del quantum computing nel continente europeo annunciando il CERN come nuovo IBM Quantum Hub.

CERN diventa IBM Quantum Hub per spiegare il restante 95% dell’universo

Nato come un forte punto di aggregazione e promozione della collaborazione internazionale per l’avanzamento collettivo della scienza e dell’innovazione, il CERN diventando Hub dell’IBM Quantum Network conferma la sua mission e ha annunciato di avere “diversi progetti in via di definizione anche con i rappresentanti italiani della fisica delle alte energie e con l’IIT, da avviare dopo l’estate”. Lo ha spiegato Alberto Di Meglio, scienziato della European Organization for Nuclear Research del CERN confessando di non vedere l’ora “di avere, grazie al quantum computing, la possibilità di gestire grandi quantità di dati per entrare nella parte della fisica delle energie che oggi è inaccessibile”.

La Worldwide Lhc Computing Grid creata 20 anni fa sta raggiungendo livelli “extra scale”: la scoperta del Bosone di Higgs ha completato il modello standard spiegando il 5% dell’universo, ora ne resta un 95% che richiede calcoli, simulazioni e analisi ben al di là di ciò che si può eseguire con modelli computazionali classici. Evolvendo verso il quantum computing, ha spiegato Di Meglio, si potrà con la simulazione a grande scala “capire cosa succede a livello di particelle all’interno dell’acceleratore” e, con l’analisi e la ricostruzione dei dati, “accelerare e rendere più accurato il calcolo e l’identificazione delle cascate di particelle create nelle collisioni”.

Il sogno che ora appare più raggiungibile è quello di “andare oltre al modello standard e capire le interazioni fondamentali all’interno delle particelle ma anche come la teoria delle stringhe si adatta a ciò che vediamo – ha raccontato Di Meglio – anche se la vera sfida è l’arrivare a capire cos’è la dark matter”.

Dietro ad obiettivi così ambiziosi e affascinanti c’è un interesse per il calcolo quantistico che già era stato esplicitato attraverso la CERN Quantum Technology Initiative creata a fine 2020 con due principali obiettivi: investigare l’impatto di questa tecnologia sulla ricerca fondamentale e realizzare applicazioni concrete per identificare le aree di interesse maggiori per il quantum advantage. Sono stati coinvolti fin da subito giovani ricercatori con lo scopo di “costruire le capacità e le conoscenze del futuro per quando saranno pronti i fault-tolerant quantum computer– ha spiegato Di Meglio – cosi sapremo come applicarli nel modo migliore”.

All’Italia servono giovani competenti, per arrivare pronti al quantum advantage

Prima separatamente e ora assieme, sia IBM che CERN si preoccupano dell’attuale mancanza di preparazione sulla quantum technology che costituisce un problema grave a livello globale. Numerose sono le iniziative in atto di training e di diffusione di conoscenze, con il Qiskit, sempre più ricco di contenuti e accessibile, e l’impegno a far scalare le opportunità che si offrono ai giovani ricercatori interessati.

Lavorando con le università l’idea è perfino quella di iniziare a cambiare i curricula e ciò che viene insegnato per formare una nuova generazione più avvezza al quantum computing e, allo stesso tempo, innescare un circolo virtuoso di trasferimento di conoscenza anche nel mondo dell’industria dove la priorità è fare business e non investire in tecnologie inesplorate. Per questo, come ha spiegato Di Meglio, è necessario mostrare cosa è possibile fare già oggi, trasmettere competenze e conoscenze e aiutarli a sviluppare applicazioni industriali con ciclo rapido. Diverse aziende sono coinvolte anche nell’IBM Quantum Network e possono lì sperimentare le potenzialità della quantum technology, come anche lo possono fare le università, ma zero sono in entrambi i casi le realtà italiane coinvolte.

Mattei ha imputato tale assenza alla “frammentazione delle competenze”, sparse in tanti luoghi diversi, e alla “mancanza di luoghi di aggregazione come il CERN” ma c’è anche un tema di investimenti, evidente soprattutto guardando a quelli fatti da UK e Germania e annunciati dalla Francia con il suo piano quantistico da 1,8 miliardi di euro.

“La tecnologia quantistica è citata nel PNRR e io credo sia importante non solo per la tecnologia ma anche per le professionalità: non abbiamo raggiunto ancora il quantum advantage e non possiamo usare i quantum computer per fare business oggi ma abbiamo visto quanto velocemente evolve la roadmap e crescono le tecnologie – ha concluso Mattei – è fondamentale far crescere ora le competenze di programmatori, ingegneri e persone poi in grado di scrivere algoritmi adeguati che ci consentiranno di essere tra i primi che utilizzeranno la tecnologia che presto arriverà”.

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