Aruba Networks: una rete intelligente… che “fa le preferenze”

Sempre più utenti connessi, sempre più diversificati per il ruolo che ricoprono, per le azioni che svolgono e per i device che utilizzano: con l’avanzare della mobility, il traffico sul network diventa complesso ed è quindi necessario che la rete sappia riconoscere quali utenti e quali applicazioni trattare in modo preferenziale. Se ne è discusso all’evento per la stampa organizzato a Londra da Aruba Networks, dove c’è stato spazio anche per toccare il tema del mobile engagement

Pubblicato il 06 Nov 2015

LONDRA – L’incontro per la stampa organizzato da Aruba Networks (acquisita nel marzo di quest’anno da Hp e oggi appartenente a Hewlett Packard Enterprise, la società che, dal 1° novembre, si occupa delle attività infrastrutturali, software e di servizi della “vecchia” Hp) è stata l’occasione per approfondire, oltre alla strategia dell’azienda nel campo delle reti mobili e wireless, anche alcune peculiarità di utilizzo.

Dominic Orr, Ceo di Aruba Networks

Come ricorda il Ceo Dominic Orr, la domanda di mobility è in crescita esponenziale e si presenta in combinazione al fenomeno del Byod e, più in generale, della progressiva fusione del mondo enterprise con quello consumer: “Vita privata e lavorativa non sono più segregati in due mondi – ricorda il Ceo – Con l’avanzare della nuova generazione di utenti, la ‘GenMobile’, i due ambienti diventano inseparabili: lo stesso device ospita sia app business che personali e spesso si fruisce di applicazioni enterprise attraverso tecnologia di derivazione consumer”. Salta il concetto di perimetro aziendale e uno stesso network si trova a dover orchestrare l’accesso simultaneo di un  numero sempre maggiore di utenti, sempre più diversificati per il ruolo aziendale che ricoprono, per le azioni che svolgono e per i device che utilizzano: “Per gestire questa complessità serve una intelligenza in grado di capire quale traffico è urgente e quale può aspettare”, dice Orr, che prosegue: “La rete non può soddisfare tutti, o, per cercare di farlo, non soddisferà nessuno; per questo l’infrastruttura meglio disegnata è quella che ‘delude in modo preferenziale’”. Secondo il Ceo, la rete deve scegliere a chi e a quali applicazioni dare priorità e fare una valutazione che non si limiti a gerarchizzare i ruoli aziendali degli utenti da cui proviene la richiesta di accesso, ma consideri di volta in volta diversi parametri; “Puoi essere un ‘semplice’ impiegato – spiega il Ceo con un esempio – ma se stai partecipando a una call aziendale molto sensibile alla latenza, magari devo incrementare la tua priorità [privilegiandoti sulla rete rispetto ai tuoi colleghi e responsabili – ndr]”.

Orr ricorda che l’IoT contribuisce fortemente all’aumento del traffico dati da gestire e crea un fattore di complessità rilevante sul piano della sicurezza: le “smart things” sono sempre di più, e spesso uno stesso utente sfrutta device diversi per accedere alla rete: “La nostra soluzione Clear Pass, per esempio, è un repository dinamico di tutti i device e di tutti gli utenti presenti in un certo ambiente che costantemente definisce l’identità di chi accede”, spiega Orr, che quindi sottolinea come la soluzione, fatto questo, vada poi oltre, determinando i parametri di sicurezza da concedere all’utente in base alle diverse “modalità” con cui la stessa persona si può presentare alla rete: “Un dipendente – chiarisce il Ceo – che usa un laptop aziendale protetto con molti antivirus, è effettivamente molto affidabile. Ma se la stessa persona quel giorno prende in prestito l’I-pad del figlio per lavorare, diventa più corretto permettergli di accedere solo ad alcune informazioni, ma non ad altre”. Si tratta, in sintesi, di costruire un network “intelligente” perché in grado non solo di definire delle priorità variabili in termini di utilizzo della banda, ma di abilitare quella che Aruba definisce “Adaptive Trust”, ovvero un sistema di sicurezza dinamico, che sulla base di più fattori (identità dell’utente, device utilizzato, ora e luogo da cui avviene l’accesso ecc.) determina ogni volta il giusto grado di accesso ai dati sensibili aziendali da concedere a chi richiede la connessione. Ed è proprio la capacità di conciliare mobilità e sicurezza ciò che, secondo il Ceo, intervistato da ZeroUno a chiusura dell’incontro, distingue Aruba dagli altri competitor: “Molti sanno fare sicurezza, ma non abilitare la mobilità; altri sono in grado di costruire una rete wireless, ma non di gestire in modo ottimale la sicurezza, che è invece una componente irrinunciabile. La nostra forza è combinare i due elementi”.

Mobile engagement: alla base il potere della geolocalizzazione

L’intervista a Orr è stata anche l’occasione per focalizzare meglio quali sono le realtà che potrebbero trarre maggiore vantaggio dall’offerta Aruba: “Le nostre reti sono preziose in tutti i contesti pubblici ad alta densità, come stadi o aeroporti”, dice il Ceo, che quindi, pensando in particolare alle tecnologie che abilitano la geolocalizzazione degli utenti, aggiunge: “Sono molto interessanti per noi anche gli ospedali, che hanno la necessità di tracciare i pazienti, i medicinali, l’attrezzatura e il settore del retail, interessato a capire come si muovono i clienti nei negozi”.

Álvaro Garcia-Hoz, Direttore Generale di Mobile Experience

Ha sfruttato le potenzialità della geolocalizzazione per l’engagement anche il museo della Real Academia de Bellas Artes di San Fernando: attraverso la piattafroma Aruba Meridian, gli Aruba Beacons (segnalatori Bluetooth Low-Energy per la localizzazione indoor) e un’applicazione sviluppata da Mobile Experience, società partner di Aruba nel progetto, i visitatori hanno oggi a disposizione uno strumento che rende il tour nel museo una esperienza nuova: “L’applicazione guida ‘metro per metro’ il visitatore lungo percorsi personalizzati: la scelta dei quadri varia in base alle ore che si hanno a disposizione e le informazioni sulle opere in base all’età del visitatore o ai suoi interessi”, ha raccontato Álvaro Garcia-Hoz, Direttore Generale di Mobile Experience a ZeroUno, che sottolinea l’utilità della geolocalizzazione anche per il management del museo: “Integrando sistemi di analisi dei dati, è possibile capire come si muovono i flussi di persone, quali sono le opere di fronte alle quali si sosta di più e registrare situazioni anomale, per esempio la presenza di un numero troppo alto di persone per un tempo prolungato in una stessa sala”. Un progetto che deve il suo successo, spiega Garcia-Hoz, alla precisione degli strumenti di localizzazione, senza cui sarebbe impossibile guidare bene il visitatore, compromettendo il valore dell’”experience”.

L’evento è stato anche l’occasione per annunciare il lancio di una community per lo sviluppo di OpenSwitch, un sistema operativo di rete open source: la piattaforma messa a disposizione sarà una “virtual innovation zone” in cui, seguendo il modello dello sviluppo collaborativo, chiunque potrà contribuire all’avanzamento del progetto. Un’iniziativa a cui partecipano anche Accton Technology Corporation, Arista, Broadcom, Intel, e VMWare.

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