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Virtual Cloud Provider: ecco la strategia contro la disintermediazione

Disintermediazione e lockdown minacciano il business di system integrator e MSP ma possono diventare la molla per un cambiamento di modello di business verso una soluzione in white label che li rende virtual cloud provider e interlocutori unici dei clienti per l’innovazione digitale

Pubblicato il 05 Ott 2020

concept virtual cloud provider

Se i big player hanno già da tempo iniziato a rivolgersi direttamente al cliente finale, il lockdown legato al Covid19 non ha che accelerato il forte cambiamento già in atto nel mondo del cloud e che deve essere affrontato in modo strategico da system integrator e MSP. Il rischio è non solo la disintermediazione ma anche il restare indietro e, alla lunga, tagliati fuori. È adesso il momento per prendere atto della situazione ed equipaggiarsi adeguatamente per affrontare un mondo in continuo cambiamento, ad esempio adottando delle soluzioni white label per diventare un virtual cloud provider e restare il punto di riferimento del cliente per tutto ciò che riguarda l’innovazione digitale.

Le 3D del cambiamento: quali sono le forze trasformative

Ciò a cui oggi stiamo assistendo può essere visto come il preambolo a una tempesta perfetta dove tre sono le forze trasformative che convergono e assieme stravolgono le logiche non solo del mondo del cloud. La disintermediazione, la democratizzazione e la disruption.

Con la disintermediazione in un processo ad esempio di vendita, di prodotti o di servizi, l’intermediario viene rimosso e il gap tra domanda e offerta si chiude grazie alla tecnologia. È accaduto con Uber e Airbnb e, per restare nel settore cloud, Amazon che vende direttamente i propri prodotti al cliente finale con l’offerta Prime o Basic. La disintermediazione non è un fenomeno nuovo ma è in ascesa, l’atteggiamento dei big player sul mercato è sempre più aggressivo e mette pesantemente in discussione il ruolo dei system integration e degli MSP.

Questa forza trasformativa favorisce inoltre la democratizzazione, ovvero la possibilità per ogni elemento della catena del valore di interpretare il ruolo di qualsiasi altra parte. Ciò significa essere circondati da potenziali competitor e sentirsi minacciati da Netflix che, potendo contare su infrastruttura, competenza IT, ampia base clienti e budget, sembra voglia diventare un fornitore di servizi SaaS (nello specifico di Desktop as a Service).

In questo contesto l’elemento di disruption non fa che accelerare il cambiamento. Nel mondo IT ad esempio il lockdown ha mostrato come le aziende che avevano già migrato in cloud tutti o parte dei servizi si sono trovate avvantaggiate nello smart working. Continuare a vivere “alla giornata” in questa situazione, guardando al cambiamento come ad una minaccia davanti a cui si resta immobili pur di non sbagliare mossa, è un atteggiamento pericoloso.

Il rischio dell’inazione

Quando si valuta il rischio di un investimento, ad esempio quello di attrezzarsi per diventare un virtual cloud provider, è necessario tenere conto anche del rischio di inazione, ovvero quel restare immobili nonostante ci siano tutti i segnali di allarme per innescare un processo di evoluzione del business. Possono non essere sempre evidenti, le conseguenze della nostra inazione, ma sono reali e nel tempo emergono, a volte quando non c’è più spazio di manovra per salvarsi.

Dietro alla paura di agire si nasconde spesso l’idea di poter evitare le insidie andando avanti con il pilota automatico illudendosi che “giocando sul sicuro” si rischi meno. In parte è comprensibile perché le piccole imprese con risorse limitate sanno che, imboccata una strada, potrebbero non avere una seconda possibilità. Non è però procrastinando la scelta che il pericolo legato alla disintermediazione svanisca, anzi, si sottrae solo tempo alla soluzione dei problemi rischiando di rimanere indietro rispetto ai competitor.

Oggi il 90% di system integrator e MSP non ha messo in atto alcuna strategia, i pochi che lo hanno fatto hanno optato per una partnership con i big player, accontentandosi di un margine del 4-5%, con la quasi certezza di una futura disintermediazione. C’è anche chi ha potuto permettersi una infrastruttura propria di private cloud, andando incontro a possibili problemi di scalabilità, sicurezza e qualità di prestazione.

Esiste una terza via finora poco presa in considerazione ma che ha tutta l’aria di essere “una disruption in risposta alla disruption”: diventare un virtual cloud provider. Se si supera la propensione all’inazione lasciandosi alle spalle il rischio di disintermediazione ma anche di essere lasciati indietro, ci si accorge che un atteggiamento proattivo serve non solo a risolvere i problemi attuali, ma anche ad anticipare quelli futuri.

Come diventare proattivi e cambiare il business

C’è una interessante teoria del cambiamento che in questa situazione di stallo suggerisce a system integrator e MSP di diventare come mulini a vento con quattro lame ben funzionanti che consentano di cogliere l’occasione per riaffermare la propria posizione sul mercato. Le quattro “lame” si identificano con scopo, persone, prodotto e processo.

Il primo step è quello di identificare lo scopo comprendendo “cosa” fa un’azienda a permettendole di farlo in modi nuovi, dettati dai trend e dalle circostanze finora osservate. In secondo luogo arrivano le persone che devono mostrare una mentalità flessibile e aperta al cambiamento e chiedersi, leader in primis, cosa oggi potrebbe sconvolgere il business in termini sia di concorrenza che di cambiamento di contesto, per aggiustare la propria strategia di avanzamento.

Se il processo non è altro che la “lama” che fa sì che tutto proceda fluidamente, quella del prodotto è la più importante per tutti i system integrator e MSP. Diventare virtual cloud provider comporta infatti un vero e proprio cambio di modello di business. È necessario trovare il coraggio di compiere questo passo ma il bello è che non lo si fa del tutto alla cieca bensì con davanti agli occhi l’esempio di alcuni player delle telco che, scegliendo di essere operatori telefonici virtuali, hanno fatto i soldi, senza spendere un centesimo in infrastrutture. Oggi, quindi, System Integrator e MSP non devono far altro che trasporre questo modello di business nel proprio settore tenendo anche conto che con il cloud questa possibilità vale molto di più e rispetto alla vendita di connettività internet o servizio voce perché è possibile arricchire le proprie offerte aggiungendo servizi per personalizzarle e aumentarne il valore.

Il nuovo paradigma del Virtual Cloud Provider con Coretech

Se la decisione non è semplice da prendere, può aiutare il fatto che esiste già una soluzione in whitelabel che Coretech offre a tutti i system integrator e gli MSP che scelgono la terza via, quella del virtual cloud provider, rifiutandosi di diventare meri rivenditori dei servizi dei big player e anche di investire in una propria infrastruttura privata, con annessi problemi già citati.

Questo è anche il modo per offrire servizi cloud alle aziende direttamente, senza alcun “big partner” e arricchendo la propria offerta grazie ai servizi che Coretech stessa associa alla propria piattaforma white label quali ad esempio, quelli infrastrutturali, come il Cloud Server Enterprise Class Stellar, e quelli Saas come backup, posta elettronica e archiviazione.

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Marta Abba'
Marta Abba'

Laureata in Fisica e giornalista, per scrivere di tecnologia, ambiente e innovazione, applica il metodo scientifico. Dopo una gavetta realizzata spaziando tra cronaca politica e nera, si è appassionata alle startup realizzando uno speciale mensile per una agenzia di stampa. Da questa esperienza è passata a occuparsi di tematiche legate a innovazione, sostenibilità, nuove tecnologie e fintech con la stessa appassionata e genuina curiosità con cui, nei laboratori universitari, ha affrontato gli esperimenti scientifici.

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