Executive Dinner

La governance multicloud sempre più centrale a una business experience di qualità

La capacità di controllo sugli ambienti IT ibridi e i cloud multipli è vitale per permettere all’IT di riprendere il proprio un ruolo guida nell’innovazione e dare al business i servizi che occorrono alla competitività aziendale. Note a margine dell’Executive Dinner organizzato da ZeroUno in collaborazione con Dedagroup

Pubblicato il 08 Mag 2018

executive dinner cloud

Il business che si va oggi digitalizzando chiede risposte sempre più rapide all’IT. “In gioco c’è la soddisfazione dei clienti e degli utenti aziendali, ma anche il ruolo dei sistemi informativi (SI)”.

Questo è il pensiero di Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno nell’introduzione dell’Executive Dinner dello scorso 10 aprile a Milano, dedicato alle tematiche della migrazione al cloud e dell’evoluzione della governance. “Governance che oggi deve essere esercitata su ambienti ibridi, on-premise e multicloud, che richiede all’IT nuove competenze e capacità nel destreggiarsi con più provider di servizi/fornitori nella scelta delle soluzioni più efficaci per gli obiettivi del business aziendale”.

relatori executive dinner cloud
Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, Stefano Mainetti, responsabile scientifico dell’Osservatorio Cloud e ICT as-a-service del Politecnico di Milano, e Alberto Da Pra, service design director business technology & Data di Dedagroup

Secondo una recente ricerca IDC, l’85% delle aziende affronterà quest’anno dei progetti in cui entrano in gioco più di un fornitore di servizi cloud: in media 5, tra pubblici, privati e Saas, stando ai dati di Rightscale. “Un contesto che richiede all’IT di abbattere le barriere alla collaborazione con sempre nuovi partner evitando il rischio del lock-in dei fornitori – precisa Uberti Foppa -. Questo ridisegnando in modo coerente i SI, mettendo al centro le esigenze dell’utente, la ‘customer semplicity’, eliminando le rigidità a livello infrastrutturale, applicativo e organizzativo”. Il concetto di cloud è sulla bocca dei decisori aziendali quando si parla di sperimentazioni o di contenimento dei costi IT. “Purtroppo accompagnato da banalizzazioni che l’IT deve contrastare”, ammonisce Stefano Mainetti, responsabile scientifico dell’Osservatorio Cloud e ICT as-a-service del Politecnico di Milano.

L’impiego del cloud è infatti utile solo se è ben governato, aspetto che le imprese più mature nell’adozione hanno capito, “anche in Italia – continua Mainetti -, dove dopo il ritardo iniziale la crescita del cloud si è attestata al 30%, come a livello internazionale, per una spesa di un miliardo di euro nel cloud pubblico e ibrido, più un altro miliardo investito dalle aziende per evolvere le infrastrutture interne, renderle flessibili, permettere lo spostamento dei workload per governarle in modo più automatico”.

La roadmap di un processo virtuoso d’evoluzione dei SI

Il percorso seguito dalle aziende italiane per l’evoluzione dei SI è fotografato nei 7 anni di ricerca fatti dall’Osservatorio Cloud e ICT as-a-service. “Prima c’è stato il passaggio dai server fisici a quelli virtuali, quindi il consolidamento e l’automazione del data center”, precisa Mainetti. Le aziende hanno iniziato a sperimentare cloud pubblico di tipo Iaas negli ambienti di test e dove c’era necessità di supporto a carichi estemporanei. Sono quindi passate all’utilizzo in ambiti maturi e standardizzati: come l’office automation, l’e-mail, l’e-learning, la gestione HR/payroll e altre attività dove era importante il contenimento dei costi. “Il successo delle sperimentazioni ha convinto i direttori SI della bontà del cloud – continua Mainetti -, visto non solo come servizio, ma come modo innovativo per migliorare la gestione interna dei SI e avere flessibilità dal data center”. Il cloud insomma si è integrato nell’IT ibrido, modello che promette di unire le capacità del data center interno con quanto di meglio è disponibile all’esterno per accogliere nel modo più efficace l’innovazione. Sul campione di 163 grandi imprese italiane studiato dall’Osservatorio, 4 su 10 hanno accesso a infrastrutture cloud, 7 su 10 hanno investito sui sistemi convergenti e iperconvergenti per l’automazione del data center interno, 5 su 10 hanno scelto di utilizzare modelli evoluti di outsourcing. “I dati mostrano come l’evoluzione dei SI segua percorsi multipli”, commenta Mainetti. C’è quindi l’esigenza di gestire più soluzioni, più servizi cloud per avvalersi dei provider più innovativi, spostando i workload laddove è conveniente. Allo stesso modo è importante l’edging, ossia disporre di servizi IT che per ragioni di latenza (per esempio nell’IoT, ndr) è meglio avere localmente.

“Multicloud ed edging permettono di servire al meglio il business dando all’IT più capacità d’innovazione – prosegue Mainetti -. Per questo serve fare investimenti nell’integrazione, nella scelta degli standard architetturali (come i container, ndr) e nella riprogettazione delle applicazioni in microservizi, laddove realmente servano. Servono competenze da ‘cloud system integrator’ e di gestione di ambienti multiprovider. L’adozione del cloud aumenta la complessità, occorre tenerne conto per disegnare correttamente il percorso di migrazione adatto per ogni specifica azienda”.

Il cambiamento culturale della migrazione al cloud

Alberto Da Pra, service design director business technology & Data di Dedagroup, porta la propria esperienza nei progetti cloud: “Siamo una realtà con 1700 dipendenti, tra cui 1000 sviluppatori, che usa internamente e offre sul mercato servizi gestiti sulle diverse piattaforme cloud pubbliche oltre che sul data center di proprietà – spiega il manager -. La nostra esperienza ci dice che la prerogativa ‘pay per use’ non è davvero oggi la più significativa [non è l’aspetto costo quello principalmente considerato, ndr.]”.

Se da una parte il cloud evita di dover spendere tempo nel capacity planning o nella predisposizione di infrastrutture IT a sostegno del rapido sviluppo aziendale o dell’apertura di filiali all’estero, dall’altra aiuta l’IT a compiere passi avanti. “Una delle doti più importanti riguarda le risorse umane – afferma Da Pra -, con la capacità di far crescere le persone. Abbiamo esperienza di persone che operavano in ambienti legacy AS/400 e che oggi gestiscono le strategie d’impiego del cloud”. Con gli attuali organici ridotti dei reparti IT e poche persone oberate di lavoro, “il cloud libera dai task più banali e permette di riportare l’attenzione sui problemi del business – precisa Da Pra -. Le persone IT devono accettare la sfida, e l’opportunità, di fare un lavoro diverso dal passato, collaborare con le line of business, parlare con i dirigenti, capire le esigenze del mercato dove opera la loro azienda. Il cloud si accompagna con un raddoppio, in media, del numero dei fornitori; questo vuol dire che non solo gli IT manager ma anche i loro diretti riporti devono essere capaci di gestirne le relazioni”.

Le scelte importanti per affrontare il mondo multicloud

La migrazione al cloud dev’essere accompagnata dalla consapevolezza che per avere reali vantaggi è necessario ripensare l’architettura delle applicazioni. “Il cloud non è una commodity che si acquista per ridurre i costi, ma un processo di trasformazione che ha successo solo applicando le practice adatte alle particolarità dell’azienda”, spiega Da Pra. Questo ha dei costi che sono alti nei primi due anni e poi si riducono man mano che il software viene riscritto con le componenti native delle piattaforme e quindi sono realizzate le necessarie ottimizzazioni sistemistiche e architetturali. Per gestire l’offerta dei servizi propri e gestiti per conto dei clienti, Dedagroup ha acquisito negli anni grande esperienza nelle principali piattaforme Cloud sul mercato. A cominciare da AWS: “Che si distingue per i volumi gestiti, doppi rispetto al più vicino concorrente, oltre che per il livello d’innovazione – spiega Da Pra -. AWS è un cloud omnicomprensivo, supportato da SAP, VMware e da tutti i vendor di applicazioni. Unico aspetto criticabile è la struttura costi, che è complessa da gestire, anche per noi che offriamo questo servizio ai nostri clienti. Senza un periodo iniziale di analisi di come il cliente usa i servizi ci è impossibile fare previsioni”. Secondo il manager, il cloud di Microsoft Azure, migliorato negli anni, è quello che oggi mostra più aggressività sul mercato. “Sfrutta bene l’integrazione con gli ambienti di sviluppo, rendendo facili i rilasci software – precisa Da Pra -. L’Azure Stack, quando sarà messo a punto, permetterà di avere nel proprio data center un’isola privata in cloud collegata con l’infrastruttura Azure”. La Google Cloud Platform è per Dedagroup un po’ più distanziata ma interessante: “Offre alte prestazioni ed è per questo apprezzata dagli sviluppatori che operano con ambienti open – prosegue Da Pra -. Ha funzioni interessanti, a cominciare dalla ricerca e non è stata interessata dalle vulnerabilità di sicurezza recentemente scoperte a livello dei processori che, per qualche tempo, hanno esposto (senza danni noti, ndr) le infrastrutture di altri provider”. Dedagroup ha esperienza anche sul cloud di IBM Bluemix: “IBM non ha inizialmente creduto al cloud, è entrata tardi sul mercato comprando realtà esistenti che ora fatica a integrare in un disegno strategico unitario – spiega Da Pra -. Chi usa piattaforme IBM è però molto facilitato a entrare nel loro cloud”. Nella scelta delle piattaforme cloud Dedagroup ha un approccio agnostico: “Abbiamo persone capaci di gestire tutte le piattaforme, in più abbiamo un cloud nostro dal quale eroghiamo i servizi private cloud ai clienti con un approccio molto flessibile, simile ai provider pubblici”. Dedagroup ha basato il proprio data center in Italia, in una struttura condivisa dove, dal 2019, saranno presenti anche i sistemi dei provider pubblici: “Questo ci permetterà di poter offrire ai nostri clienti soluzioni di cloud ibrido nello stesso data center, far parlare AWS o Azure con il cloud privato senza mettere in mezzo chilometri di cavi internet. Il tutto è funzionale alla nostra capacità di offrire servizi gestiti che prescindono dalla piattaforma, con il monitoraggio e la garanzia delle performance a livello dell’utente finale, supporto alla migrazione dei carichi applicativi e di sviluppo del software”, conclude Da Pra.

Idee, practice e situazioni a confronto

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Un momento della tavola rotonda

Un momento importante dell’Executive Dinner di ZeroUno è la tavola rotonda in cui CIO e responsabili innovazione di importanti aziende hanno potuto scambiare esperienze, confrontarsi con i relatori e ottenere indicazioni utili per i propri progetti.

L’aspetto culturale della trasformazione IT è un tema che appassiona Daniel Levasseur, CIO di Laboratoires Boiron (azienda che produce e commercializza medicinali omeopatici): “Per avviare cambiamenti importanti serve il sostegno del consiglio di amministrazione, ma per averlo, l’IT deve imparare a comunicare: cosa che spesso CIO e i profili tecnici non sanno ancora fare. Noi lo abbiamo fatto mettendo in chiaro in azienda cosa l’IT avrebbe dato a fronte di ciò che veniva chiesto, come in una sorta di contratto con fornitori e ha funzionato. L’evoluzione dell’IT verso nuovi paradigmi rassicura le persone che ci lavorano, nella maggior parte dei casi, felici di fare passi avanti nelle conoscenze”.

Per Orietta Campironi, CIO del Gruppo Messina (navigazione) è importante la roadmap con cui inserire la gestione multicloud in un contesto IT tradizionale, caratterizzato da soluzioni verticali sviluppate dallo stesso dipartimento. “Abbiamo già messo in cloud le applicazioni di produttività da ufficio, stiamo studiando quali altre possiamo mettere nella nuvola, quali dismettere o riacquistare sul mercato – spiega la manager -. Il nostro compito è oggi fare dell’ICT il motore d’innovazione per l’azienda, rispondere alle richieste delle line of business guadagnando sponsorizzazione e consenso”.

Sul tema della governabilità delle architetture ibride, Fabrizio Pizzo, responsabile SI della Fondazione Don Carlo Gnocchi (sanità) porta la propria esperienza: “Abbiamo già infrastrutture in outsourcing, Office 365 in cloud, dobbiamo fare i conti con 60 centri connessi sul territorio nazionale – spiega il manager – con problemi che riguardano la disponibilità di banda di rete (l’uso di immagini e video è in crescita nel settore, ndr) e l’integrazione della gestione delle identità”. Gli fa eco Roberto Carnevale, global contract development coordinator and SAP development manager di Solvay, che sfrutta governance e processi di change per rispondere rapidamente alle esigenze del business. “La nostra azienda è cambiata completamente negli ultimi anni; l’IT è diventata IS, acquisendo anche nel nome la parola ‘servizio’. Il business ci richiede di connettere o staccare parti d’azienda come se si trattasse di chiavette USB. Riusciamo a farlo grazie all’adozione di rigidi processi di change: per esempio, sappiamo fare il carve-out di SAP (ritaglio di un sottoinsieme completo dell’ambiente gestionale, ndr) in soli 15 giorni”.

La governance di ambienti IT complessi per garantire la customer experience è importante per Matteo Pizzicoli, responsabile direzione organizzazione ed enterprise architecture di Credito Valtellinese: “I clienti non ci chiedono su cosa girano le applicazioni ma vogliono servizi efficaci su ogni dispositivo. Per questo serve fare analisi dei processi e capire come le applicazioni vi rispondono”, spiega il manager. Non ci sono sostituzioni architetturali definitive: “Serve poter orchestrare insieme sia applicazioni vecchie sia nuove, staccare i frontend dai backend per facilitare il rinnovamento applicativo, distinguendo tra ciò che è fondamentale per il core business e ciò che non lo è”.

Gli strumenti di governance sono fondamentali per il time to market, per la scalabilità e reazione agli attacchi di sicurezza secondo Luca Magnoni, head of digital & life apps di Aviva (assicurazioni). “Abbiamo sposato da anni il cloud e le relative logiche di servizio – spiega il manager – e produciamo periodicamente un set consolidato di KPI che permettono un confronto costruttivo con il board e con le altre country con cui condividiamo anche le best-practice”.

Per Silvio Sorrentino, responsabile SI di Consorzio Corepla (riciclo imballaggi), il passaggio al cloud è stato recente ed è foriero di future innovazioni. “Dal novembre scorso abbiamo chiuso le sale macchine e siamo passati al cloud – spiega il manager -; non tutto è perfetto oggi, ma il clima interno con le persone è positivo, l’adozione del cloud ci aiuta collaborare e concentrarci davvero sull’innovazione”. Da maggio parte in Corepla l’implementazione sperimentale del machine learning, “Un progetto che abbiamo potuto realizzare solo grazie al cloud”.

In conclusione, l’adozione del cloud consente alle organizzazioni IT di far crescere le persone all’interno e ritrovare il proprio fondamentale ruolo nell’innovazione. “L’IT è sempre più componente del prodotto e non solo il motore che fa andare i processi aziendali – spiega Mainetti -. Occorre affrontare le sfide complesse della governance e dell’automazione, facendo in modo che i vantaggi siano compresi in azienda e riconosciuto il ruolo fondamentale dell’IT”.

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