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Il PNRR scommette 100 milioni sulla digitalizzazione dei parchi. Si vince facendo rete

Centellinando tra tutela della biodiversità, turismo e semplificazione i 100 milioni di euro concessi dal PNRR per la loro digitalizzazione, i parchi nazionali e le aree marine protette hanno l’opportunità di evolvere diventando volano di economie territoriali sostenibili e partecipate. La loro digital transformation è possibile ed è forse già in atto, ma per portarla a compimento devono colmare due carenze: quella di competenze specifiche e quella di mindset collaborativo. È il momento per il sistema parchi di diventare sistema di fatto.

Pubblicato il 16 Feb 2022

biodiversità

Mettere al sicuro e proteggere il proprio patrimonio e poi trarne valore per il territorio e per l’intero Paese, economico e anche ambientale. Questa la logica con cui il PNRR scommette 100 milioni di euro per la digitalizzazione dei 24 parchi nazionali e delle 31 aree marine protette presenti in Italia con un intervento tripartito in ambiti strategici ben distinti, ma collegati da una logica di modernizzazione e di aumento di efficacia ed efficienza del sistema.

Prima di tutto la conservazione della biodiversità, mission principale di queste aree ma anche passaggio fondamentale per rispondere alle richieste dell’Europa e per garantire la presenza anche in futuro di specie che fanno dell’Italia uno dei Paesi più ricchi, naturalisticamente parlando, del continente.

Il secondo ambito in cui il governo ha scelto di investire è quello del turismo digitale, che si traduce in servizi per i visitatori ma anche in iniziative di sensibilizzazione e formazione, il più innovative possibili per catturare le nuove generazioni, future custodi del patrimonio naturalistico italiano. Il terzo capitolo del piano consiste nella semplificazione amministrativa, meno “affascinante” come mission rispetto alle precedenti, ma estremamente necessaria e funzionale alla loro realizzazione e all’obiettivo di dare risposte più rapide al cittadino, snellendo il lavoro del personale interno.

Dato che la roadmap ufficiale segna già marzo 2023 come limite entro cui digitalizzare almeno il 70% di parchi e aree marine e avviare un nuovo sistema di monitoraggio, gli attori coinvolti sono già al lavoro con un approccio mirato a sfruttare al meglio “un investimento modesto”, come lo ha definito il presidente di Federparchi Giampiero Sammuri, comunque ben consapevole dell’opportunità preziosa sia per innovare, sia per affrontare carenze storiche che hanno finora frenato il sistema parchi italiano dal poter esprimere tutte le sue potenzialità di conservazione, monitoraggio e turistico-formative.

Più digitale, più consapevole, più sostenibile: il turismo coi parchi al centro

Innescata da questi 100 milioni, nei prossimi mesi potrebbe avvenire una vera e propria metamorfosi dei parchi nazionali italiani da “soggetti che mettono paletti e divieti” a player fondamentali per lo sviluppo dei territori e delle società, abilitando opportunità di crescita per settori quali agricoltura, ristorazione, accoglienza, arte, cultura, artigianato, e a cascata, potenzialmente, tutti gli altri. Tutto ciò grazie al turismo, implementando servizi e piattaforme digitali dedicate ai visitatori e iniziative di educazione, formazione, informazione e sensibilizzazione per promuovere il patrimonio di biodiversità che proteggono, ma anche uno stile di turismo sostenibile.

“La consapevolezza degli impatti negativi dell’overtourism è in crescita, è il momento per i parchi di entrare in dialogo con i propri visitatori, spiegare il proprio ruolo di custodi e coinvolgerli” spiega Matteo Montebelli, responsabile dell’Area Analisi e Pubblicazioni del Centro Studi del Touring Club Italiano “Fondamentale anche il coinvolgimento dei giovani, per radicare una nuova mentalità più attenta all’ambiente nelle nuove generazioni. Un’ottima opportunità che i parchi devono saper cogliere al meglio è quella dei viaggi scolastici: causa pandemia sono una meta ottimale ed è il momento di attrezzarsi per attirare e intercettare la futura potenziale domanda”.

Un aspetto delicato è quello della ricerca del giusto equilibrio tra conservazione delle bellezze naturali ed esigenze delle comunità locali, ma Federparchi non lascia scelta: “Il turismo del futuro o è ecocompatibile o semplicemente non è” afferma il presidente, ricordando, però, che la strada giusta è già stata imboccata. L’Italia è infatti il Paese europeo con il maggior numero di aree protette con la CETS (Carta Europea del Turismo Sostenibile), 21 delle 44 certificate sono Parchi nazionali e non mancano iniziative digitali anche se, finora, “sparse per la penisola, nei parchi più all’avanguardia”.

Applicazioni per prenotare la visita del cono del Vesuvio on line, visori interattivi nei centri visita per identificare e catturare specie aliene imparandone nomi e sembianze: le idee ci sono ma, come fa notare Marco Galaverni, Species and Habitat Conservation Officer di WWF Italia, con i fondi del PNRR si dovrebbe partire dall’ABC, ovvero “dalla realizzazione di un portale moderno dedicato al sistema parchi, sulla falsa riga di quello del National Park Service americano, con informazioni, promozioni e servizi di prenotazione”.

Compiuto questo doveroso passo – dare una “casa digitale” a parchi nazionali e aree protette e un punto di riferimento efficiente e comodo per tutti i visitatori – ci si può sbizzarrire nelle più svariate iniziative, puntando soprattutto, come suggerito da Galaverni, su quelle di outdoor education, per i più giovani e di Citizen Science, per tutti.

Anche se sono attività ancora poco diffuse in Italia, esistono iniziative di gruppo, come i BioBlitz, o individuali, con app certificate e istruzioni precise, che “coinvolgono i cittadini nella raccolta di open data, utilizzabili da chiunque per monitoraggi o studi scientifici in tutto il mondo. È un modo per far sperimentare in prima persona la biodiversità e l’approccio scientifico, ma anche per spingere ad apprezzare maggiormente il ruolo dei parchi, comprendendo meglio l’importanza di alcune loro regole”.

Vivacizzato il turismo con la leva del digitale, l’attenzione torna sui dati e stavolta a essere censiti non devono essere le specie in pericolo, ma i turisti. È Pierangela Angelini, responsabile della Sezione Carta della Natura di ISPRA, a mettere in luce “la mancanza di un dato effettivo sulle presenze in parchi e aree marine, ma la strumentazione digitale prevista dal PNRR potrebbe servire per un monitoraggio diretto sull’affluenza: solo così si potrà dimostrare il reale impatto che queste realtà riescono ad avere sulle economie locali. È il solo modo per rivendicarne il ruolo di protagoniste del turismo locale”.

La tutela della biodiversità, insieme è meglio: dati real time condivisi grazie al digitale

I parchi nazionali e le aree protette hanno tutte le carte in regola per confermarsi preziosi, non solo a livello nazionale, ma anche europeo. Il sito di ISPRA spiega infatti che siamo “uno dei Paesi europei con maggior ricchezza floristica e faunistica, caratterizzata da elevatissimi tassi di endemismo” e poi ricorda che tutto ciò “comporta una grande responsabilità in termini di conservazione per l’Italia”. Per gestirla arrivano in aiuto gli euro del PNRR che, da piano, dovrebbero servire anche a introdurre un approccio sistemico e attuare azioni pilota di protezione e ripristino.

È chiaro, come ricorda Giampiero Sammuri di Federparchi, che il digitale non può sostituire totalmente alcune azioni di monitoraggio da effettuare esclusivamente sul posto. Come spiega convintamente Susanna D’Antoni, responsabile della sezione Aree protette, pianificazione e gestione del territorio e del paesaggio di ISPRA, è altrettanto evidente che la linfa innovativa introdotta dal governo “ci può far fare un salto in avanti sulla conoscenza dello stato di conservazione della biodiversità, mettendoci finalmente nelle condizioni operative di effettuare un monitoraggio coordinato e automatico di tutto il sistema dei parchi nazionali”.

Il tema torna nelle parole di Laura Casella, ricercatrice di ISPRA, che sottolinea l’importanza e la necessità urgente di “nuovi e innovativi strumenti con cui raccogliere, comunicare e condividere informazioni, scambiando una grossa mole di dati uniformi e confrontabili, raccolti contestualmente da centraline ambientali e comunicati in tempo reale, per ottenere trend sulla conservazione e sull’incidenza delle maggiori minacce ambientali che hanno effetti sulle specie importanti a livello nazionale ed europeo, o in grave pericolo a causa dell’antropizzazione”.

Uno degli obbiettivi prioritari del programma di monitoraggio proposto da ISPRA è quello di acquisire le mappature complete, recenti e aggiornabili degli habitat presenti nei Parchi Nazionali italiani: grazie al digitale e ai sistemi innovativi di processamento di immagini satellitari anche in real time, li si potrebbe infatti censire controllando come evolvono nel tempo e se restano adatti a ospitare le specie protette.

Anche il WWF, impegnato nella gestione di diverse aree naturali della penisola, saluta con entusiasmo i fondi in arrivo per questo ambito, consapevole che “quelli finora a disposizione non erano sufficienti per avere un quadro a 360 gradi in tempo reale del valore che abbiamo bisogno di conservare” spiega Galaverni. “Servono dati per poter indirizzare al meglio le scelte, una maggiore capacità di monitoraggio è fondamentale per sviluppare una gestione naturalistica, sociale ed economica sempre più adattativa. L’ideale sarebbe poi riuscire a introdurre strumenti innovativi aggiuntivi, creando programmi di ricerca estesi a tutto il sistema parchi, per esempio sull’utilizzo del DNA ambientale (eDNA) raccolto dall’aria per rilevare specie animali e monitorare la biodiversità in modo non invasivo”.

Tra praterie sommerse e monti sottomarini, l’Italia proteggerà il mare di più e meglio grazie al PNRR

Come ben spiegato dalla EU Biodiversity Strategy for 2030, ma già anticipato nell’obiettivo 14 dell’Agenda ONU 2030 che raccomanda forte attenzione nella conservazione del mare e delle risorse marine, nella “grande responsabilità italiana” di custode della biodiversità rientrano anche le zone da conoscere e proteggere al largo delle sue coste.

Questa è una mission tutt’altro che secondaria rispetto a quella sui parchi nazionali, a maggior ragione da quando sappiamo che l’estensione delle aree di cui dovremo occuparci aumenterà grazie alla pubblicazione, lo scorso giugno, della legge sulla zona economica esclusiva (ZEE) nelle acque che circondano l’Italia.

“Pur non fornendo ancora i confini definitivi della nuova ZEE, da concordare in futuro con i nostri Paesi transfrontalieri, questa legge pone le basi per stabilire la giurisdizione dell’Italia al di là delle sue acque territoriali, che prima si limitavano alle 12 miglia dalle nostre coste” spiega Leonardo Tunesi, responsabile dell’Area Tutela Biodiversità, Habitat e Specie Marine Protette di ISPRA. “In questo modo si amplia moltissimo la superficie di mare di cui siamo responsabili. Siamo infatti chiamati a proteggere anche le nuove zone, per le quali è necessario disporre di conoscenze adeguate”.

Con i 100 milioni per la digitalizzazione “in condivisione tra mare e terra” stanziati col PNRR esistono alcune idee realizzabili che potrebbero contribuire in questa sfida. Per esempio, la creazione di un’app per le acque italiane, come la francese DONIA che informa diportisti, subacquei, pescatori sul tipo di fondale su cui si trovano con la loro imbarcazione, avvisandoli della eventuale presenza di praterie di posidonia oceanica o di tratti di coralligeno in modo che evitino di ancorarvi e di danneggiarli.

“Fondamentale sarebbe anche potenziare e mettere a sistema gli strumenti di controllo digitali dotati di telecamere a infrarossi e altre apparecchiature in modo che siano più tempestivi ed efficaci” spiega Tunesi. “Prevedendo anche l’utilizzo dell’acustica passiva con strumenti che, registrando i suoni emessi dalle diverse attività umane, permettano in automatico di rilevare la presenza di attività non consentite, anche subacquee e durante la notte, indicando dove si svolgono”.

Il PNRR andrebbe valorizzato, secondo gli esperti, anche per attività di monitoraggio dei parametri ambientali per rilevare gli effetti dei cambiamenti climatici: “la componente digitale in questo ambito sarebbe molto importante per favorire la raccolta di dati, la loro centralizzazione e la loro elaborazione per estrarre insights utili”.

Per gli ambiziosi obiettivi che attendono l’Italia questi spunti, seppur utili, non bastano. Sotto il cappello del PNRR ci sono però altri progetti e altri fondi dedicati a progetti specifici. Nella sezione M2C4-3.5, alla voce “Ripristino e tutela dei fondali e degli habitat marini”, per esempio c’è MER, Marine Ecosystem Restoration, un progetto finanziato al MiTE con 400 milioni di euro e supportato da ISPRA, per aiutare l’Italia a rispondere alla EU Biodiversity Strategy for 2030 anche “in mare”.

Con questi fondi sono tre le principali azioni previste: due nuove navi per la ricerca che andranno a comporre l’ossatura della nuova flotta nazionale in questo ambito, il ripristino degli habitat, sia attivo che passivo, e nuovi studi di cartografia “per aggiornare la mappatura della distribuzione delle praterie di Posidonia oceanica e di altre fanerogame marine, e per la cartografia nelle nuove acque italiane, acquisite grazie alla dichiarazione della ZEE, dei monti sottomarini, veri hotspot di biodiversità”.

Problemi “analogici” mettono a rischio il sogno della digital transformation dei parchi

A dispetto del titolo, “Digitalizzazione dei parchi nazionali”, le vere sfide contenute in questo intervento del PNRR sono ben poco 2.0, 3.0 o 4.0. Le si potrebbe piuttosto definire analogiche o, più esplicitamente e come gli stessi attori direttamente coinvolti nel sistema parchi si permettono di fare, “carenze storiche rimaste tuttora irrisolte”.

Implementare il digitale non sarà certo banale, in primis per via di un problema di copertura di rete, un ostacolo infrastrutturale quindi, ma che sempre il PNRR dovrebbe aiutare a risolvere. A oggi, ricorda ISPRA, “le reti sono state sviluppate in base al livello di antropizzazione e non servono bene le aree remote in cui quasi tutti i parchi si trovano, restano così isolate importanti centraline di monitoraggio e i visitatori del parco stessi, senza poter usufruire sul posto di servizi digitali on line”.

I veri fattori bloccanti che rischiano di ridurre se non di annullare totalmente l’iniezione di fondi e di innovazione prevista dal PNRR, sono però due problemi che ricorsivamente si presentano in diversi ambiti. Se parchi e aree marine possono dirsi “protetti”, non lo sono però da due “patologie” molto particolari: la mancanza di tutte le competenze specifiche necessarie e l’assenza della capacità (o volontà) di fare sistema.

Il tema delle competenze è pervasivo e mostra mille sfaccettature. La parte più visibile (e forse più ovvia) è quella riguardante il digitale. Federparchi la spiega con l’età dei dipendenti e il loro esiguo numero, ricordando che c’è per risolvere questo problema serve un cambio di gestione: “per la digitalizzazione assumere dei giovani ci farebbe comodo, ma noi oggi non possiamo portarli a bordo. Vorremmo la libertà di investire parte di questi fondi in nuove risorse, la loro mancanza rischia di non permetterci di spendere bene le risorse a disposizione, come spesso già è successo”.

Servono giovani, ma servono anche esperti per mettere a terra il programma del governo: facendo il “Check up dei Parchi Nazionali e delle Aree Marine Protette” il WWF ha scoperto che “8 su 10 sono senza geologo o veterinario, più del 20% senza un singolo biologo o naturalista. “Mancano le competenze proprio sui temi legati alla mission dei parchi, la conservazione della biodiversità – spiega Galaverni – senza conoscenze specifiche sulla gestione della natura e dei suoi ecosistemi, senza queste figure chiave, nessuno può interpretare i dati e mettere in campo le soluzioni tecnologiche che consentono di valorizzare le informazioni in nostro possesso”.

Consapevole della situazione, anche Barbara Franzetti della sezione Aree Protette di ISPRA conta “su un lavoro di formazione all’interno del parchi, ma soprattutto ci auguriamo che l’arrivo di nuovi strumenti e la necessità di doverli utilizzare per i monitoraggi previsti, apra alla possibilità di avere nuove figure professionali in pianta stabile, personale formato che acquisisca conoscenza locale e territoriale su tutti aspetti legati allo specifico parco”.

Digitali, scientifiche ma anche di marketing e comunicazione sono le competenze richieste dal settore: secondo Montebelli del Touring Club Italiano, infatti, “è il momento di dare una nuova dignità a questa attività spesso trascurata all’interno dei parchi ma essenziale per la loro valorizzazione. Non si può però pretendere che dei naturalisti siano anche dei comunicatori capaci e coinvolgenti. Servirebbe esplorare nuove strade, per esempio una collaborazione con le guide ambientali che potrebbero diventare degli ambassador dei parchi”.

Oltre che “Paese dei tanti comuni”, l’Italia si potrebbe definire anche “Paese dei tanti parchi”: numerosi e anch’essi che si muovono in autonomia con iniziative spesso ammirevoli ma disconnesse, un atteggiamento che non appare come una buona premessa per l’attuazione del piano del PNRR. Mal digerita l’esclusione dei parchi regionali dal finanziamento – che secondo Federparchi “aggrava il gap di fondi già presente creando squilibri e danni per tutti e in primis per gli utenti”. Secondo l’associazione il sistema parchi è chiamato a guardare avanti e a fare rete, iniziando dai 24 nazionali, con la condivisione di buone pratiche ma prima ancora di dati e informazioni, senza la quale l’obiettivo indicato nel PNRR per il 2023 sarebbe solo parzialmente raggiunto.

Pur contando su una presa di coscienza dei singoli, come spiega Galaverni del WWF e conferma ISPRA, serve una struttura di coordinamento forte dotata di capacità tecnico scientifiche per cogliere due opportunità uniche: quella del PNRR e quella di risanare una carenza storica che affligge il sistema parchi come molti altri contesti italiani.

La speranza è che, lavorando a contatto con la natura, si tragga spunto dagli ecosistemi che si ha l’obiettivo di proteggere, per definire “insiemi di elementi che interagiscono in un determinato ambiente, costituendo un sistema autosufficiente e in equilibrio dinamico.”

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