Gli Open Data: un valore per la Pubblica Amministrazione e per le imprese

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Gli Open Data: un valore per la Pubblica Amministrazione e per le imprese

Il dibattito sugli Open Data è più aperto che mai. Da un lato, sembrano esserci grandi opportunità sia per le aziende sia per il settore pubblico; dall’altro, la consapevolezza di questo valore è ancora scarsa. L’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano ha organizzato un incontro per fare il punto sulla situazione.

Pubblicato il 23 Ott 2018

di Michele Mornese

Al convegno dedicato agli Open Data (i dati liberamente accessibili a tutti e che fanno parte anche delle strategie di open government abilitate dalle nuove tecnologie) organizzato di recente dall’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano dal titolo Open data: a che punto siamo? Conoscere i numeri, comprendere il valore, dare vita a buone pratiche, sono stati analizzati casi di studio reali) e prospettive future in questo ambito.

Si va così dal Comune di Milano, che ha appena approvato con una delibera i criteri generali per il funzionamento del sistema Open data, e ha pubblicato il Portale Open Data con l’intento di digitalizzare, innovare e creare valore per i cittadini, al tema più generale delle sfide in termini occupazionali che le nuove tecnologie impongono.

Grafico che mostra Il livello di maturità delle iniziative open data nel contesto europeo
Figura 1: Il livello di maturità delle iniziative open data nel contesto europeo secondo l’ultima rilevazione DESIFonte: Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano, settembre 2018

Questa è naturalmente una sfida importante per l’Italia ma anche per gli altri paesi, e insieme una grande opportunità, con risvolti economici interessanti: sul portale www.europeandataportal.eu si legge che “i dati aperti offrono diversi vantaggi, che vanno da una migliore efficienza delle pubbliche amministrazioni, alla crescita economica del settore privato, fino a un più diffuso benessere sociale”. Le previsioni per il 2020 parlano infatti di 1,7 miliardi di euro che verrebbero risparmiati dalla pubblica amministrazione e di 100.000 nuovi posti di lavoro creati “mediante la stimolazione dell’economia”.

Dagli USA all’Italia: come sfruttare gli Open Data

Come è possibile sfruttare al meglio gli Open data? Ci sono casi di studio a cui ispirarsi? Se si guarda Oltreoceano, tra le esperienze più significative c’è quella del Data Portal City di Chicago, il portale che promuove l’accesso di tutti i dati pubblici disponibili per favorire lo sviluppo di applicazioni innovative funzionali a migliorare le condizioni di erogazione dei servizi prestati alla collettività. Per esempio, il Dipartimento della salute pubblica ha utilizzato questi dati per migliorare le ispezioni nei ristoranti, individuando i locali più a rischio. Altra esperienza è quella di Los Angeles, che ha deciso di diventare una città “data-driven” mettendo online il portale DataLA che raccoglie i dati pubblici disponibili, il cui utilizzo, secondo le stime, consente di risparmiare 1,2 milioni di dollari all’anno abbattendo sprechi e inefficienze.

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Figura 2: le difficoltà nella pubblicazione dei dati in formato aperto (indagine condotta su 731 comuni)Fonte: Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano, settembre 2018

Per quanto riguarda l’Italia invece, l’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano ha presentato i risultati dell’indagine svolta sul tema Open data: a che punto siamo?, un’analisi che ha coinvolto i responsabili dei sistemi informativi di 731 Comuni italiani, che coprono circa il 17% della popolazione del paese. L’Osservatorio rende noto che “in Italia gli Open data stentano a decollare. Tra i Comuni (che detengono una parte consistente dei dati di interesse pubblico, come quelli su trasporto pubblico, turismo, cultura e attività produttive) solo uno su tre pubblica dati in formato open. L’80% dei Comuni non riscontra alcun impatto positivo dalla pubblicazione di Open data e il 55% li ritiene addirittura inutili o poco utili per la crescita del tessuto imprenditoriale”.

Unioncamere ha invece presentato un’indagine sugli Open data per le imprese: si tratta di una survey su 222 imprese manifatturiere tra i 10 e i 249 addetti, da cui emerge che “l’uso dei dati è considerato strategico dal 77% delle imprese, ma il campione di imprese che realmente usa gli Open data è limitato al 4% del totale; di questo, il 3% li considera importanti per la sua attività, l’1% ne fa il suo modello di business”. Il 68% delle aziende non conosce l’esistenza di figure come l’analista dei Big Data o il Data scientist.

Grafico che mostra La percezione dell'utilità di pubblicare dataset da parte dei 371 comuni rispondenti
Figura 3 – La percezione dell’utilità di pubblicare dataset da parte dei 371 comuni rispondentiFonte: Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano, settembre 2018

Secondo il Responsabile scientifico dell’Osservatorio eGovernment, Giuliano Noci, “il dato è diventato la materia prima che qualifica il valore aggiunto di qualsiasi impresa”, e ci troviamo di fronte a una sfida critica per il nostro paese: le imprese tendono ancora a dare preferenza agli asset materiali di produzione di beni e servizi, non tanto a quelli immateriali (come appunto il know how e i dati). In Italia, inoltre, rendere disponibili gli Open data è visto più come un adempimento normativo che come un’opportunità reale: se raccolti, ordinati, gestiti e pubblicati in modo efficiente possono consentire, per esempio, alle aziende di conoscere meglio il territorio nel quale operano per offrire prodotti e servizi più coerenti con le abitudini e le esigenze della popolazione.

I Comuni italiani, dai beginner ai trend setter

In base alle dimensioni utilizzate dal Desi (Digital Economic Society Index), ovvero la “portal maturity” (qualità del dato), e la “readiness” (gli impatti derivanti dalla pubblicazione dei dati), la survey dell’Osservatorio eGovernment ha provato a classificare i Comuni italiani, distinguendoli in alcune categorie: beginner (29% dei rispondenti, che hanno iniziato a pubblicare i primi dataset); follower (il 30%, che pubblica i dati anche se generano scarsi impatti sul territorio); fast-tracker (sono il 34% e hanno un’organizzazione a supporto del processo di gestione dei dati); trend setter (il 7% dei rispondenti, sono i Comuni più maturi a livello di qualità e gestione del dato). Altro dato che emerge è che i Comuni più grandi e con maggiori risorse sono quelli meglio posizionati per fare Open data, infatti il 77% conta più di 50.000 abitanti, mentre i Comuni più piccoli mancano di risorse o di personale con competenze specifiche.

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Michele Mornese

Giornalista pubblicista, svolge attività professionale da una quindicina d'anni. Ha al suo attivo collaborazioni con gruppi di rilievo nazionale e internazionale in vari settori, dall'ICT alla formazione linguistica, alla riorganizzazione aziendale, e con associazioni specializzate in ambito sportivo, per le quali ha realizzato reportage e interviste legate al mondo della montagna. Si interessa di tutto ciò che riguarda la comunicazione e l'impatto delle nuove tecnologie per il vivere connesso. Ha vissuto a Londra e a Sydney e viaggiato in diversi paesi nel mondo.

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