Cancun: grande successo a fronte di aspettative modeste

La conclusione della Conferenza internazionale sul clima dell’Onu, svoltasi a Cancun nello scorso dicembre, è stata salutata con un caloroso applauso per la firma degli accordi finali da parte dei delegati. Il successo infatti è da leggere principalmente alla luce della modestia delle aspettative perché in realtà si tratta di impegni non vincolanti che hanno consentito però di ottenere il consenso anche dei paesi più recalcitranti. Gli accordi rappresentano comunque un passo positivo verso la prossima Conferenza di Durban che dovrà invece raggiungere obiettivi più stringenti

Pubblicato il 24 Gen 2011

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Se le elevate aspettative della XV Conferenza delle Parti (questo il nome ufficiale della Conferenza internazionale sul clima) di Copenhagen del 2009 ne avevano decretato il fallimento, si può dire che sia stata proprio la scarsa fiducia e la sostanziale assenza di ambizioni con la quale i delegati si sono approssimati alla XVI Conferenza (COP 16) svoltasi a Cancun dal 29 novembre all’11 dicembre 2010 a consentire un inaspettato successo.
Il primo aspetto positivo è stato il salvataggio del “multilateralismo”; gli Accordi di Cancun sono infatti stati siglati da 192 paesi (unica voce dissonante la Bolivia, vedi riquadro) contro gli 80 che avevano firmato quelli di Copenhagen. La chiave di volta è stata la definizione di una lista non eccessiva di impegni non vincolanti che contiene posizioni di principio accettabili anche dai paesi più recalcitranti (come Stati Uniti e Cina).
Riduzione variabile tra il 25 e il 40% delle emissioni di CO2 entro il 2020 rispetto ai valori del 1990 per il Paesi più avanzati, seppur su base volontaria, e impegno a mantenere l’aumento delle temperature sotto i 2°C; definizione di meccanismi più stringenti per il controllo e la verifica dei risultati ottenuti; concretizzazione del Green Climate Fund (previsto a Copenhagen) per amministrare il denaro destinato dai paesi ricchi alle nazioni più colpite dai cambiamenti climatici (Ue, Giappone e Usa si sono impegnati a donare 100 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2020 – la quota per la quale l’Italia si è impegnata è di 410 milioni di euro – e 30 miliardi in aiuti urgenti per il 2011-2012); rafforzamento delle azioni di mitigazione delle emissioni derivanti da deforestazione e degrado forestale e delle azioni di conservazione delle foreste nei Paesi in via di sviluppo, con l’adeguato supporto tecnologico e finanziario; istituzione di un meccanismo per il trasferimento tecnologico a sostegno di azioni di mitigazione degli effetti del degrado ambientale, con un relativo Comitato Esecutivo, un centro ed una rete per il coordinamento.
Sono stanzialmente questi gli elementi più significativi degli Accordi siglati a Cancun e che rappresentano la base di discussione della prossima Conferenza delle Parti che si svolgerà a Durban (Sudafrica) dal 28 novembre al 9 dicembre 2011 e che dovrebbero consentire di affrontare in modo efficace i pericoli legati ai cambiamenti climatici e aiutare le comunità più deboli ad adattarsi.
Anche se la firma degli Accordi è stata salutata con un caloroso e liberatorio applauso, non sono mancati i motivi di insoddisfazione.
Primo fra tutti la mancanza di obiettivi specifici e legalmente vincolanti di riduzione delle emissioni per il 2020; secondo le analisi del Climate Action Tracker questa carenza potrebbe portare a un aumento della temperatura media del pianeta di circa 3°C, molto superiore all’obiettivo dei 2 °C. Sono poi state sollevate perplessità sulla mancata definizione di precise modalità di finanziamento del “fondo verde”.

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