Per il nuovo edificio che ospiterà il quartier generale Apple ha speso 5miliardi di dollari. È questo il primo esempio portato dal consulente e saggista internazionale Idriss Aberkane, specializzato in neuroscienze, per dimostrare che la conoscenza paga. L’investimento infatti rappresenta appena il 2% del fatturato dell’azienda.
“Eppure non vendono idrocarburi: anche la conoscenza può far diventare ricchi, come dimostrano oggi molti colossi che basano il proprio business sulle informazioni e i dati”, commenta Aberkane che, con un salto a ritroso di oltre mille anni, torna alla Bagdad del IX secolo. Era una città in tutto simile come forma alla nuova sede di Apple e ha contribuito, fra l’altro, a diffondere nel mondo la parola algoritmo, nata in India: “Bagdad, prima di scoprire il petrolio nel sottosuolo, era più ricca e influente di oggi, grazie a conoscenze avanzate di matematica e astronomia. Era la Silicon Valley dell’epoca. Aveva infatti inventato l’astrolabio per osservare il cielo che, a differenza della terra, ha una profondità infinita, come la conoscenza”, aggiunge.
Insomma, l’economia della conoscenza non nasce nel XXI secolo, ma oggi ci sono le condizioni per trarne le più estreme conseguenze anche grazie alla tecnologia dell’informazione.
L’economia della conoscenza ha però sue proprie regole che Aberkane enumera:
- gli scambi sono a somma positiva, a differenza degli scambi materiali;
- gli scambi non sono istantanei; la conoscenza, a differenza degli scambi materiali, richiede tempo e, se si riuscisse a trasferirla più rapidamente, si avrebbero grandi vantaggi;
- le combinazioni della conoscenza non sono lineari; la conoscenza sviluppata da più persone insieme è superiore della combinazione di quella sviluppata dai singoli. Lo dimostrano nel passato la biblioteca di Alessandria e, oggi, la Silicon Valley.
Le uniche risorse che l’economia della conoscenza richiede sono il tempo e l’attenzione: entrambi devono essere diversi da zero. “Se fate le cose senza passione sarete improduttivi, mentre se amate il vostro lavoro sarete più competitivi”, è l’esortazione, alla platea di CIO , di Aberkane che avverte: “Oltre l’amore c’è però la dipendenza, come accade talvolta con i video game”. Ma il gioco svolge al tempo stesso un ruolo fondamentale per l’apprendimento: “Giocando si ha un feedback immediato; vedere i risultati di quanto si fa è indispensabile per apprendere”. Sembra, ad esempio, che i chirurghi che giocano ai video game siano 35 volte più efficienti della media.
In una società basata sull’economia della conoscenza dovrebbe essere possibile per ciascun individuo mettere in pratica il concetto giapponese di Ikigai, la ragione per vivere o per alzarsi la mattina (vedi figura) che mette insieme le diverse spinte.
Si tratta di un esercizio da cominciare subito e che le organizzazioni dovrebbero favorire: “Solo le persone soddisfatte della propria attività sono produttive”, ribadisce Aberkane, ricordando: “L’uomo è come un frutto: lo puoi spremere o lo puoi piantare”. E in questo bisogna imparare dalla natura. Applicando i principi dell’economia della conoscenza alla natura, Aberkane ricorda che la natura andrebbe trattata come una biblioteca: “Se estrai conoscenza da un libro non lo distruggi, nello stesso modo la natura va letta senza bruciarla, ma restituendo quando offre”.
È breve il salto alla Blue Economy, proposta da Gunter Pauli, che propone di fare di più con quello che si ha, generando più valore, offrendo grandi opportunità alle PMI che avendo maggior gradi di libertà delle grandi imprese, possono trarne vantaggio grazie a uno sguardo nuovo sulla realtà.