Cio: alla guida della trasformazione o a rischio di estinzione

Una tre giorni a Taormina di confronto e dibattito tra 90 Cio delle principali aziende e organizzazioni della Pa italiane e 81 vendor Ict per sviscerare punti di forza, timori e opportunità dei Cio nel complesso momento di transizione che stiamo vivendo

Pubblicato il 06 Set 2011

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Sette workshop che hanno coinvolto 174 top manager (90 Cio di aziende utenti e 81 vendor Ict) e due sessioni plenarie, una per inquadrare il contesto e una per riassumere e condividere i risultati dei lavori. L’11° appuntamento annuale dei Cio italiani, organizzato da Finaki alla fine dello scorso giugno a Taormina è stato una tre giorni di brain storming dalla quale sono emersi importanti spunti di riflessione che, guidati dal tema di riferimento “Il Cio tra le nuvole: la nuova mediazione fra domanda e offerta”, si sono focalizzati sul percorso che una figura cruciale per l’azienda, il Cio appunto sta compiendo e su quali sono i tasselli indispensabili per assumere quel ruolo ideale di top manager che comprenda e interpreti al meglio la tecnologia e i suoi modelli di utilizzo in rapporto alla crescita del business aziendale.
La presenza di ZeroUno all’evento, unico media autorizzato a partecipare ai lavori (anticipati dalla Storia di Copertina del numero di giugno con le interviste a 9 Cio di primarie realtà italiane), ci consente di riassumere le principali evidenze emerse nel corso degli incontri che si sono caratterizzati per l’estrema concretezza del dibattito e la messa a nudo, insieme all’evidenziazione delle opportunità, dei punti di debolezza e dei timori che accompagnano i Cio in questo percorso.
Il direttore di ZeroUno, Stefano Uberti Foppa, ha fornito una prima analisi dei risultati dei lavori nell’editoriale del numero scorso focalizzandosi su come rispondere a una domanda interna sempre più diversificata e crescente a fronte di un costante contenimento del budget. “La ‘stella polare’ – scrive il direttore – è la qualità del servizio, che significa soddisfare la richiesta degli utenti attraverso un atteggiamento serio, chiarendo bene cosa si promette (…) e avendo ben chiara una cosa: la qualità dell’analisi preliminare (…) è quanto mai in stretta relazione con il successo del progetto”. E quindi, come erogare al meglio e più rapidamente (non dimentichiamo che la velocità è una caratteristica imprescindibile del contesto attuale nel quale le aziende si muovono) i servizi e i progetti richiesti? Le risposte a questa domanda, che possono essere sia di natura tecnologica sia di tipo organizzativo e di processo, partono comunque dall’assunto che il Cio e la funzione sistemi informativi rappresentano il ponte indispensabile per condurre l’azienda sulla sponda dell’innovazione e della competitività nel tempestoso mare di incertezza, contrasti, contraddizioni, complessità dell’attuale contesto economico mondiale.
Rendere diffuso e accettato in azienda questo ruolo di innovazione dei sistemi informativi, rappresenta l’unica strada per garantire un futuro a questa funzione.

Data governance e broker di informazioni
Semplice “gestore” della moltitudine (per quantità e tipologia) di dati presenti in azienda o “broker” di informazioni? Quello della gestione e di un utilizzo efficace ed efficiente delle informazioni è un tema risultato trasversale a molti workshop seppur analizzato con sfaccettature differenti. Punto di partenza importante è la considerazione che il Cio ha la governance tecnologica del dato e questo rappresenta un elemento di forza nei confronti dell’organizzazione aziendale in quanto consente al Cio di presidiare uno degli asset a maggior valore dell’azienda.
Il tema della gestione del dato ne introduce però subito un altro, ad esso strettamente collegato: quello della qualità del dato stesso e della relazione tra dati e processi aziendali. Da diverse considerazioni emerse nel corso dei workshop si conferma il fatto che il valore che i sistemi informativi danno al business è direttamente connesso con la qualità dei dati e le modalità di delivery e utilizzo degli stessi. Ma non è sufficiente affrontare il tema con un approccio esclusivamente tecnologico: l’adozione di soluzioni per la pulizia dei dati o di potenti data warehouse non risolve il problema perché il nocciolo della questione, quello che consente di trasformare il capitale rappresentato dai dati aziendali in fattore di riduzione di rischio e in supporto alla competitività dell’impresa è che esso sia convenientemente, efficacemente e correttamente sfruttato nei processi aziendali.
Un workshop in particolare, più attento alle tematiche riguardanti la Pubblica Amministrazione, si è poi soffermato sul ruolo e le opportunità offerte dagli open data (ossia informazioni rese disponibili in formati aperti sulle tematiche più disparate: dalle bioscienze ai dati anagrafici, dai dati medici a quelli governativi ecc.). Il tema non è nuovo e riguarda il più ampio dibattito dell’apertura della PA sia in termini di trasparenza sia di partecipazione dei cittadini (vedi anche "Pubblica amministrazione: digitalizzazione e semplificazione"), ma la tematica ha avuto un’accelerazione con la diffusione di Internet come propagatore di informazioni e non riguarda più solo la Pubblica Amministrazione. Gli open data hanno forti oppositori all’interno delle aziende e delle organizzazioni private che sono resistenti a diffondere, anche parzialmente, il proprio patrimonio informativo, mentre ne è riconosciuto il valore per le Pubbliche Amministrazioni, e i loro Cio, in termini di possibilità di erogazione di nuovi servizi. Questo implica un ampliamento delle competenze del Cio stesso, che deve, per esempio, approfondire e presidiare nella sua globalità il tema della privacy, nonché l’esplorazione di tecnologie abilitanti per superare i vincoli posti dalle vecchie applicazioni in termini di trasformazione dei dati in formato aperto. Il workshop che ha analizzato nel dettaglio questo argomento prefigura uno scenario futuro dove possono aprirsi nuovi mercati (e nuovi clienti, anche per le aziende private, oltre che nuovi utenti per la PA) proprio grazie all’abilità nell’assemblare dati aperti e a quella di sviluppare nuove modalità di mediazione tra produzione interna di dati e possibili utilizzi futuri di linked open data: la disponibilità di dati in formati aperti consente di combinare e collegare tra loro i dati, creando link diretti che danno vita a informazioni diverse rispetto ai dati iniziali, informazioni che riscuotono l’interesse di utenti diversi da quelli dei dati di partenza e quindi possono anche rappresentare un nuovo business.

Skill e competenze
Uno degli elementi emerso in differenti workshop relativamente al tema degli skill e delle competenze è il riconoscimento di un errore commesso da molte organizzazioni It negli anni passati: la diffusione di progetti di outsourcing (nella maggior parte dei casi determinati più dall’esigenza di riduzione di costi che non da una migliore governance dell’It) e la “commoditizzazione” dell’It hanno portato a una graduale perdita di competenze all’interno delle aziende; si rileva quindi la necessità di riportare all’interno delle organizzazioni It gli skill di analisi di processo (quindi business analyst sempre più qualificati e crescente importanza del ruolo del demand manager) e di mantenere saldamente all’interno la capacità di saper scegliere tra le diverse tecnologie (indispensabile quindi il presidio della conoscenza tecnologica).
Sul primo aspetto si è soffermato il direttore di ZeroUno nell’editoriale del numero di luglio per aggiungere che il “ricorso ad azioni di cross fertilization, cioè alla possibilità di garantire percorsi professionali che prevedano scambi di ruoli tra It e business, è visto positivamente e da applicarsi non solo ai livelli più bassi dell’organizzazione”. Ne è un esempio la necessità di disporre di competenze finanziarie da parte dei Cio. Se è vero che l’Ict ha un ruolo primario nell’innovazione e per la competitività dell’impresa è ovvio che i progetti It devono essere misurabili con precisione dal punto di vista finanziario, con una attribuzione rigorosa dei costi e un altrettanto verificabile Roi. Il Cio si è sempre misurato con questi aspetti, ma un suo ruolo sempre più di primo piano nonché le nuove forme di fruizione dei servizi It, come il cloud, impongono al Cio la familiarità con un mondo, quello finanziario, che è stato spesso visto più in termini di “giustificazione dei conti” che non come opportunità per trarre maggior vantaggio economico da determinate scelte.
Uno dei temi trasversali ai diversi workshop è quello al gap generazionale tra “nativi digitali” (o comunque ad essi anagraficamente molto vicini) e la generazione precedente (che forma oggi la maggior parte del top management, soprattutto in ambito It). In particolare è stata sottolineata l’importanza di considerare tutto ciò che ruota intorno al web 2.0 (social network, collaboration, wiki, linked open data ecc.) come indicatore di valore, aprendo le porte alle opportunità che esso offre; il tutto senza dimenticare che progetti innovativi e fantasiosi basati sull”insostenibile leggerezza del web 2.0” (parafrasando un autore, Milan Kundera, caro alla “vecchia” generazione) devono comunque fare i conti con la “sostenibile robustezza delle righe di codice”, con la sicurezza dei sistemi e degli applicativi. Quindi: largo ai giovani, porte (semi) aperte al web 2.0 ma continui investimenti sulle competenze necessarie a garantire i “fondamentali” dell’Ict (disponibilità, robustezza, sicurezza ecc.).
In ogni caso bisogna acquisire la capacità di lavorare in un’organizzazione non gerarchica, ma a rete, diventando anche agente, il Cio, attivo nella rete di innovazione esterna all’azienda. Una impostazione di questo tipo, ovviamente, non può riguardare solo il top management ma deve essere pervasiva in tutta la funzione sistemi informativi e, più in generale, nell’azienda. Uno dei timori manifestati: il personale (in particolare quello che non appartiene alla generazione digitale) It e non, è pronto ad affrontare questo cambiamento?

Open source: modelli di riferimento
Uno dei workshop ha concentrato la propria attenzione sui modelli di riferimento nella conduzione di progetti open source evidenziando come il Cio sia spesso portato a dover decidere fra modello cattedrale (top down), in cui le applicazioni vengono realizzate in modo monolitico con tecnologie omogenee, e modello bazar (bottom up), in cui le applicazioni vengono sviluppate assemblando componenti, in molti casi già disponibili sulla rete con codice open source, con tecnologie differenti.
Ict governance ed enterprise architecure sono le aree chiave emerse dal dibattito: si riconosce che l’open source è uno dei trend tecnologici imprescindibili, con il quale il Cio deve necessariamente misurarsi, ma è indispensabile definire policy di selezione, gestione, governance che allinei il software open source con la buona pratica. In sostanza, bisogna acquisire la capacità di “frequentare il bazar” per prendere ciò che serve definendo però con attenzione criteri di adozione che facilitino il processo di integrazione dei diversi componenti.

La relazione con i vendor
Trasversale nel dibattito all’interno dei diversi workshop è il “mea culpa” onestamente espresso, con maggiore o minore intensità, da numerosi Cio: si è abusato della delega ai vendor nei progetti di outsourcing con il risultato che, come scritto poco sopra, si è avuta una graduale perdita di competenze tecnologiche all’interno della funzione sistemi informativi, ma soprattutto ci si è legati in modo a volte indissolubile con l’outsourcer (ricordiamo che all’evento Finaki il target di riferimento sono Cio di grandi aziende o grandi amministrazioni pubbliche dove la pratica dell’outsourcing è un modello abbastanza diffuso). Correre ai ripari, oggi, non è semplice ma è un impegno che tutti i Cio ritengono di dover sostenere, nel contempo questa esperienza mette un po’ il freno agli entusiasmi nei confronti del cloud computing: pur trattandosi di un modello completamente differente dall’outsourcing, l’ancora relativa competenza sul modello cloud fa scattare un allarme; non si vuole rischiare di commettere gli stessi errori del passato.
Ecco quindi che la governance torna in primo piano con un Cio che deve sviluppare un piano strategico, condividerlo, comunicarlo e seguirlo, presidiando l’offerta di tecnologia per identificare situazioni di disruptive technology e attuando, nel caso, piani conseguenti.
In questa attività il ruolo del vendor è comunque cruciale: diventando partner del Cio nella relazione con il business può sostenere e supportare la visione strategica da questi definita.

I Workshop di Finaki 2011
Tra cattedrale e bazar: il Cio e il dilemma silos-componenti
Coordinatori
(da sinistra a destra): Aldo Chiaradia, Cio di Benetton Group – Daniele Rizzo, Cio di Autogrilll
Tra baratto e remix: il Cio come broker di informazioni
Coordinatori:
Emilio Frezza, direttore dipartimento Innovazione e Sviluppo Ict, Tlc e servizi del Comune di Roma – Elio Gullo, direttore Sistemi Informativi di Enpals
Tra stabilità e cambiamento: il Cio fra linee di business e vendor
Coordinatori:
Pierluigi De Marinis, direttore Sistemi Informativi e Impianti Anas – Mauro Minenna, direttore Sistemi Informativi di Api Anonima Petroli Italiana
Tra domanda e servizi: il Cio, le aspettative e le risposte
Coordinatori:
Giuseppe Angioli, head of Ict Strategy & Resource Plannig del Gruppo Eni – Massimo Milanta, Cio di UnicreditGroup e amministratore delegato di Ugis
Tra player e buyer: il Cio e una nuova governance
Coordinatori:
Federico Alker, direttore Finanza Pubblica di Consip – Dario Scrosoppi, Ciso Chief Ict Sourcing Officer di Assicurazioni Generali
Tra ambizioni e diffidenza: iI ruolo del Cio fra innovazione, valore e costi
Coordinatori:
Pietro Berrettoni, Global Demand manager di Acraf-Gruppo Angelini – Giuseppe Pavone, responsabile Sviluppo Sistemi Informativi di Poste Italiane
Tra cambiamento e tradizione: il Cio fra resilienza e resistenza
Coordinatori:
Domenico Cipollone, Svp & Cio di Cnh – Massimo Messina, responsabile Infrastructure Management & Architectures

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