Process mining: i log dei sistemi informativi per capire tutto dei processi di business

Un nuovo approccio basato su dati oggettivi per disegnare i processi, controllarne la conformità, migliorarne l’efficienza e prevederne gli esiti: ne parliamo con Alessandro Sperduti, professore del Dipartimento di Matematica Pura e Applicata dell’Università di Padova e membro della ‘Ieee Task Force on Process Mining’.

Pubblicato il 04 Set 2012

Alessandro Sperduti, professore del Dipartimento di Matematica Pura e Applicata dell'Università di Padova

Da decenni le scuole di management dicono che l'organizzazione per processi è la migliore possibile in molti settori e attività, e nel tempo sono emerse numerose metodologie, spesso supportate dal software, per definire e analizzare i processi: tra queste Total Quality Management, Six Sigma, Business Process Reengineering, Business Activity Monitoring e Continuous Process Improvement. Ultimamente poi, la disponibilità di grandi volumi di dati sui processi nei sistemi informativi permette nuovi approcci in questo campo, e uno dei più interessanti è il Process Mining (d'ora in poi per comodità Pm). Collocato tra data mining e modellazione e analisi dei processi, il Pm si propone di disegnare, controllare e migliorare i processi reali estraendo conoscenza dagli 'event log' (o semplicemente log), cioè i file su cui i sistemi informativi registrano gli eventi della vita di un'organizzazione: dall'avvio di una lavorazione su una linea di produzione alla registrazione di una fattura, dalla chiamata di un cliente al call center a una transazione di e-commerce, fino alla richiesta di un certificato nel caso di un ente pubblico.

Partendo dai log, con le tecniche di Pm si può disegnare il modello di un processo (discovery mining), individuare le discrepanze tra il processo reale e quello progettato teoricamente (conformance checking), estendere un modello di processo esistente con nuove informazioni (enhancement). Dello stato dell'arte del Pm abbiamo parlato con Alessandro Sperduti, docente del Dipartimento di Matematica dell'Università di Padova, che fa parte della 'Ieee Task Force on Process Mining' (vedi sotto).

La piattaforma open e i software commerciali

“Il principio fondamentale del Pm è che lavora su dati oggettivi – i log delle attività svolte – e da questi ricostruisce cosa è davvero avvenuto e come funziona il processo reale: si può vedere come un completamento delle tecniche più tradizionali di analisi dei processi, basate su dati e documenti statici, e opinioni qualitative degli attori coinvolti nel processo”, ci spiega Sperduti. “Inoltre il Pm permette una visibilità talmente fine da poter monitorare anche la singola istanza di processo, per capire se per esempio una certa commessa riuscirà a essere conclusa entro la scadenza promessa al cliente”.

Implementare i concetti del Pm però non è semplice: “Un presupposto è che l'azienda sia 'process-aware', cioè abbia definito dei processi e li supporti con il sistema informativo, poi occorre porsi un obiettivo chiaro e preciso per uno specifico processo: per esempio capire come si svolge realmente, o se può rispettare certi livelli qualitativi”.

Le tecniche di Pm si concretizzano in specifici algoritmi integrati in appositi software: “La soluzione più completa al momento è la piattaforma open source ProM, che integra molti algoritmi sia di process mining vero e proprio sia per le fasi di pre-processing, post-processing e visualizzazione: è stata sviluppata in gran parte dalla TU/e, la Technische Universiteit di Eindhoven, sotto la guida del professor Wil Van der Aalst, che è considerato 'il padre' del Pm”. ProM, continua Sperduti, copre tutte le principali problematiche di Pm, “però ha il problema di non essere molto scalabile in termini di volumi di dati gestibili”.

Esistono poi vari pacchetti software commerciali con funzioni di process mining, “che sono piuttosto recenti, e quindi poco consolidate, e integrano meno algoritmi rispetto a ProM”. A proporli sono tra gli altri Software Ag, Fujitsu, StereoLogic, Futura Process Intelligence, Iontas/Verint, Pallas Athena, e le italiane Siav e Vecomp Software. “Vecomp è un Isv veronese specializzato soprattutto in document management, con molte installazioni nel settore pubblico: ha iniziato a lavorare sul Pm in un progetto che è stato seguito da un nostro tesista”.

Siav invece ha base presso Padova, varie sedi in Italia e all'estero, e si occupa di document e workflow management, con oltre 3000 clienti, tra cui Banca d'Italia, altre grandi banche, e nomi come Enel Gas, Erg, Granarolo, Rana, Eli Lilly Italia e Media World. “Con Siav come Università di Padova lavoriamo da anni sul Pm, e ora siamo impegnati insieme in un progetto europeo Eureka, approvato dalla Ce e chiamato Prompt, che coinvolge anche la l'Università TU/e di Eindhoven e la software house olandese Pallas Athena”. Prompt è partito il primo gennaio 2012 e dura tre anni. “La versione attuale degli algoritmi di Pm è molto 'tecnica', per addetti ai lavori, per cui l'obiettivo di Prompt è di rendere gli strumenti di Pm fruibili da normali utenti aziendali e di ampliarne l'applicabilità anche ad ambiti privi di sistemi 'process-aware'”.

“Qualcosa si muove anche da noi”

Come caso d'applicazione delle tecniche di Pm, Sperduti cita la divisione medicale di Philips: “I macchinari che fanno analisi biomediche raccolgono molti dati: Philips sta elaborando questi log, modificati ad hoc, con strumenti di process mining, per capire come migliorare i macchinari stessi”. In Italia il panorama non è ancora così avanzato, “perché il Pm è efficace quando può lavorare su sistemi 'process-aware', mentre tipicamente l'azienda italiana ha diversi sistemi informativi, spesso non ben coordinati, con le varie attività di un processo disperse tra essi: trovare i dati di una certa istanza del processo quindi non è facile, e poi di solito i log non sono configurati per le necessità informative del Pm, e vanno quindi modificati”.

Qualcosa però si sta muovendo anche da noi: “Lo dimostra per esempio l'impegno delle due società It che ho citato”, conclude Sperduti. Certamente non è un ambito in cui comprando un pacchetto software si risolve tutto: “Il Pm richiede lavoro, va integrato come concetto nel sistema informativo e configurato opportunamente, e i risultati vanno utilizzati con giudizio da chi governa il processo, ma è sempre più diffusa la convinzione che questo strumento possa dare un forte contributo per rendere più oggettive le tecniche tradizionali di analisi dei processi”.


Una task force con 4 università italiane

Per divulgare i concetti e le applicazioni pratiche del Process Mining è nata la 'Ieee Task Force on Process Mining'. Creata nel 2009, ha membri provenienti da una ventina di università (tra cui quelle italiane di Padova, Bologna, Bari e Calabria), aziende di consulenza (tra cui Gartner, Deloitte), aziende utenti e fornitori software, tra cui Software Ag, Fujitsu e l'italiana Siav. All'attivo della task force ci sono eventi, workshop e pubblicazioni – tra cui il libro 'Process Mining' di Wil van der Aalst, e il 'Process Mining Manifesto', scaricabile online (anche in italiano) dal sito web della task force -, e lo sviluppo di Xes, un formato per l'input dei log che presto sarà proposto come standard Ieee.

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