Prospettive

La Nuova Via della Seta, tra infrastrutture fisiche e abilitatori digitali

Un progetto che coinvolge il 70% della popolazione mondiale distribuita su un’area che comprende
il 75% delle riserve energetiche conosciute e rappresenta il 55% del Pil mondiale: è One Belt, One Road (OBOR) che, attraverso la realizzazione di imponenti infrastrutture terrestri e marittime, nel giro di 20 anni ridefinirà il mercato euro-afro-asiatico. Enormi le opportunità che si aprono, con un’innovazione digitale da considerare tra gli elementi primari di questo storico progetto. L’Europa saprà giocare un ruolo di primo piano?

Pubblicato il 30 Mar 2017

10901 Progetti previsti Obor

Creare un ipermercato di dimensioni pari a 10 volte quelle del mercato Usa nel giro di una ventina d’anni: è la One Belt, One Road (Obor) Initiative, nome ufficiale del progetto di integrazione infrastrutturale lanciato dalla Cina nel 2013 per collegare (fisicamente) in modo più efficiente tre continenti (Asia, Africa ed Europa), meglio conosciuto con l’evocativo nome di Nuova Via della Seta.

In sintesi si tratta di costruire le infrastrutture necessarie (strade, porti, centri di deposito e smistamento) lungo due direttrici, una marittima (Msr – Maritime Silk Road) e una terrestre (Sreb -Silk Road Economic Belt) integrate da vari “corridoi” (Cina-Mongolia-Russia; Cina-Pakistan ecc.), per creare un’unica gigantesca “piazza” nella quale scambiare le merci in modo più rapido, efficiente e meno costoso (figura).

Il progetto nasce dalla cosiddetta Go Global Policy, la strategia di internazionalizzazione delle aziende cinesi varata qualche anno fa da Pechino che, dopo anni di chiusura al mondo esterno, invitava le aziende cinesi a investire all’estero in modo da acquisire quelle competenze tecniche/tecnologiche, finanziarie, gestionali che avrebbero permesso al paese del Dragone di accrescerne la competitività internazionale.

Fonte: Merics – Mercator Institute for China Studies

Indice dei contenuti:

Aiib: un nuovo soggetto finanziario mondiale

Indispensabile sostegno finanziario dell’Obor è l’Asian Infrastructure Investment Bank, la nuova istituzione finanziaria nata per “promuovere l’interconnessione economica nella regione asiatica” divenuta operativa dal 2016 e che, anche se il suo presidente, il cinese Jin Liqun, ha dichiarato essere intenzione di Aiib la cooperazione con le banche di sviluppo multilaterali già esistenti, viene di fatto considerata una possibile antagonista della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (istituzioni nate dagli accordi di Bretton Woods nel 1944, inizialmente per sostenere la ricostruzione post bellica e successivamente impegnate a finanziare progetti di sviluppo nel mondo e nelle quali gli Usa hanno sempre avuto una posizione egemone). Siglato da tutti i paesi asiatici (tranne Giappone e Corea del Nord), dalla Russia e dai principali paesi europei (l’Italia si è impegnata a sottoscrivere una quota di 2,5 miliardi di dollari), l’accordo che ha fondato l’Aiib ha un grande assente: gli Stati Uniti, che vivono come un pericolo la crescita di influenza della Cina.

Tra i tanti documenti disponibili (se si effettua su Google la ricerca di “One Belt, One Road” sono oltre 557.000 i risultati che derivano), il Report Investimenti lungo One Belt One Road. Ruolo dell’Italia e opportunità per le aziende italiane (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie – Isag di Roma, ottobre 2016) definisce una macro suddivisione delle opinioni emerse su Obor: “Da una parte troviamo le opinioni degli entusiasti del progetto che, d’accordo con la visione cinese, lo considerano non solo come un’opportunità di sviluppo, crescita e integrazione per le economie euroasiatiche, ma anche come un mezzo attraverso il quale avvicinare culture e società diverse nei valori. Dall’altra parte, leggiamo le opinioni di chi evidenzia che, al di là dei potenziali effetti positivi, Obor è un progetto made for China, attraverso il quale la Cina raggiunge propri obiettivi, tra cui: l’utilizzo della sovraccapacità produttiva; la stabilità di aree oggi a rischio dal punto di vista sociale e politico; la sicurezza energetica; l’estensione dell’influenza geopolitica in Asia Centrale; l’accesso e la penetrazione più agevole delle merci cinesi in nuovi mercati; l’incremento dell’utilizzo dello yuan”.

Questi accenni al contesto economico e finanziario internazionale, seppur molto brevi, sono necessari per posizionare correttamente il progetto Obor che, da quando è stato presentato dal presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping, ha suscitato l’interesse di economisti, analisti di politica internazionale, politici, aziende e investitori tanto da essere stato uno degli argomenti di confronto nell’ambito dell’ultimo G20 di Hangzhou e del recente World Economic Forum di Davos.

L’impresa è titanica (se la direttrice marittima si basa su infrastrutture logistico-portuali in parte già esistenti, quella terrestre deve essere quasi totalmente costruita) e certo non scevra di rischi (per comprenderli basta guardare il percorso della direttrice terrestre che attraversa alcuni paesi caratterizzati da forte instabilità politica ed economica) o di difficoltà (come per esempio i diversi sistemi doganali che, se non armonizzati, rallenteranno la fluidità della comunicazione), ma altrettanto imponenti sono le opportunità che si aprono per le imprese del Vecchio Continente (e per l’Italia). Opportunità che potremmo suddividere in un due macro filoni: nel breve e medio periodo partecipando alla costruzione di queste infrastrutture (si calcola in oltre 70.000 i posti di lavoro che si creeranno per la realizzazione di Obor); a lungo termine, da un lato, la maggior facilità di approvvigionamento di materie prime provenienti dall’Asia, dall’altro, il più facile accesso del mercato asiatico alle merci europee (Obor non deve infatti essere visto solo come uno strumento per consentire alla Cina di collocare la propria sovra-capacità produttiva). E proprio Obor ha rappresentato uno dei principali momenti di confronto della recente visita del presidente Mattarella a Pechino, nel prefigurare per l’Italia un ruolo di primo piano: “Perché il sistema di porti e logistica italiana offre alla Cina la possibilità di completare, nel modo più efficiente e conveniente possibile, l’ultimo tratto dalla Via fino al cuore dell’Europa”, ha dichiarato il presidente.

La dorsale digitale

Le tecnologie digitali rappresetano una delle “dorsali” di questo ambizioso progetto. Why the New Silk Road needs a digital revolution è infatti il titolo del documento presentato all’ultimo World Economic Forum dello scorso gennaio da Wolfgang Lehmacher, Head of Supply Chain and Transport Industries del World Economic Forum, e da Mark Gottfredson e Gerry Mattios, rispettivamente Partner ed Expert Vice President di Bain & Company (il WEF 2016 aveva dato mandato ad alcuni analisti di studiare l’impatto del progetto Obor sull’economia mondiale e questo documento è parte del risultato di questa analisi). Dopo aver sottolineato che la Nuova Via della Seta rappresenta uno dei progetti infrastrutturali più importanti del 21mo secolo, con forti implicazioni sulle economie di tutti i paesi del mondo, il documento sottolinea che il potenziale del progetto si esprimerà concretamente e completamente solo se la Nuova via della Seta diventerà l’equivalente di una tratta aerea, dove le spedizioni vengono controllate solo due volte (all’imbarco e all’arrivo), le merci potranno viaggiare rapidamente e il loro tragitto essere costantemente monitorato. Il tutto a costi enormemente inferiori rispetto all’aereo; oggi, infatti, il trasporto via terra è sicuramente meno costoso, ma è soggetto a rallentamenti e ritardi dovuti soprattutto alle lunghe soste per espletare le diverse procedure doganali.

Se per quanto riguarda il secondo punto è fondamentale la costruzione delle infrastrutture fisiche, per il primo e per il terzo è indispensabile affiancare alla Via della Seta fisica una Via della Seta Digitale. Trasformare l’Obor in un unico sistema doganale è possibile, evidenziano gli esperti del WEF, se l’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation, organismo internazionale nato nel 1989 per favorire la cooperazione economica, il libero scambio e gli investimenti nell’area asiatico-pacifica) riuscirà, da un lato, a introdurre procedure doganali standard nei paesi coinvolti, ma dall’altro a sviluppare una piattaforma IT comune attraverso la quale trasferire digitalmente la documentazione di paese in paese.  Per i paesi coinvolti nell’Obor (a oggi sono 63), sottolineano gli analisti del WEF, il percorso verso una Nuova Via della Seta realmente efficiente inizia focalizzandosi su quattro ambiti, che si rivolgono sia alle aziende sia ai sistemi paese:

  • velocità: le aziende devono dotarsi di sistemi di gestione dei magazzini e delle scorte allo stato dell’arte, con piattaforme di collaboration che coinvolgano tutti gli attori, pubblici e privati, della supply chain;
  • incoerenza (doganale): i Paesi devono superare le incoerenze doganali definendo sistemi standard di sdoganamento delle merci e implementando sistemi di intelligenza artificiale che vadano a rimpiazzare la decisione umana laddove questa è richiesta;
  • costi: l’utilizzo da parte delle aziende di sistemi di automazione per il carico e lo scarico delle merci consente di ridurre ulteriormente il costo del lavoro;
  • visibilità: le aziende devono dotarsi di sistemi di tracciamento in tempo reale grazie a tecnologie (DLT digital ledger technology) che consentano di pianificare per tempo le operazioni di carico-scarico delle merci e di monitorare i percorsi.

Occuparsi oggi dell’implementazione di queste soluzioni, a livello di paese e di singola azienda, significa poi poter disporre di una enorme mole di dati che, se correttamente gestita (e di nuovo l’IT entra in campo con la big data analysis), consentirà di ottimizzare le operazioni logistiche.

Il ruolo dell’Unione Europea nella Digital Silk Road

“Qual è il ruolo che può giocare l’Unione Europea nell’Obor?” si chiede Friends of Europe, l’autorevole think tank aperto a chi è “interessato al futuro dell’Europa” e che conta tra i suoi membri eminenti autorità presenti e passate dei diversi organismi istituzionali dei paesi membri e dell’UE.

La risposta è proprio in una Digital Silk Road che si concretizza con l’implementazione di reti di comunicazione superveloci, con un ruolo principe della tecnologia wireless 5G che permetterà di effettuare trasferimenti dati in modalità super veloce, in modo stabile, ovunque. Secondo un recentissimo studio (gennaio 2017) della società di ricerca di IHS Markit, commissionato da Qualcomm Technologies, nel 2035 l’attività di vendita globale abilitata dal 5G raggiungerà i 12,3 trilioni di dollari, quasi il 5% del mercato mondiale; mentre il contributo diretto del 5G al PIL del pianeta sarà di 3 trilioni fra 2020 e 2035.

La Cina ha già previsto investimenti per la posa di cavi ottici transnazionali per realizzare il backbone che abiliterà la comunicazione tra i diversi hub dell’Obor e realizzare quell’Information Silk Road che permetterà all’intero sistema di funzionare; ma è sulla copertura con la rete 5G che l’Unione Europea può giocarsi la partita della Digital Silk Road amplificando le opportunità offerte da Obor e vivendo da protagonista un progetto che coinvolge il 70% della popolazione mondiale, distribuita su un’area che comprende il 75% delle riserve energetiche conosciute e rappresenta il 55% del PIL mondiale.

Ci vuole lungimiranza, quella che l’UE non ha dimostrato quando, nel momento più grave della crisi economica greca, non ha battuto ciglio sulla vendita alla cinese Cosco,  compagnia di stato che fornisce servizi di spedizioni e di logistica, di uno dei “gioielli di famiglia” di Atene: il Porto del Pireo. La Grecia ha ottenuto, da quella che è stata definita una “svendita”, 368,5 milioni di euro che non sono serviti granché a sistemare le sue disastrate casse. L’Europa quanto ci ha perso?

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