Mercati

La mutazione genetica del settore Media & Entertainment

Ampiamente ‘disrupted’ dalla digitalizzazione pervasiva della società, il settore Media & Entertainment rappresenta una di quelle che vengono oggi definite ‘reborn industry’ perché, avendo dovuto fare i conti con una trasformazione che rischiava di spazzarle via, le aziende editoriali (quelle che sono sopravvissute allo tsunami che le ha investite) hanno dovuto cambiare profondamente innovando il proprio modello di business e scardinando il proprio DNA

Pubblicato il 07 Giu 2018

Giornali cartacei e digitali: la trasformazione nel settore Media

Tra le industrie dove il digitale ha avuto l’effetto di uno tsunami, quella che viene raggruppata sotto la definizione di Media & Entertainment è sicuramente ai primi posti della classifica: le vendite dei quotidiani cartacei sono crollate (per citare solo il caso più noto: il New York Times è passato da 1,2 milioni di copie al giorno del 1994 alle 570.000 di oggi); i periodici generalisti stampati hanno avuto un destino analogo; l’utilizzo di supporti fisici per la musica è stato quasi completamente soppiantato dalla fruizione digitale (i ricavi a livello mondiale dell’industria musicale basati su supporti fisici nel periodo 1999-2017 hanno subito un crollo del 49%, dati Ifpi-International Federation of the phonographic industry); VHS e DVD per la visione di film sono ormai oggetti di modernariato; l’enciclopedia oggi si chiama Wikipedia e le guide turistiche cartacee non se la passano molto meglio. Resiste bene invece l’industria libraria trade (narrativa, saggistica e varia) dove l’avvento dei supporti digitali non ha portato al crollo del “fisico”.

Cala l’interesse dei lettori per i contenuti?

In un simile contesto, la domanda cruciale che si pone Alessandro Magno, membro della Commissione Innovazione AIE (Associazione Italiana Editori) e Chief Digital Officer del Gruppo editoriale Mauri Spagnol (secondo editore italiano, con marchi come Bollati, Chiarelettere, Garzanti, Guanda, La Coccinella, Longanesi, Salani, TEA, Vallardi), intervistato da ZeroUno, è: “L’impatto del digitale ha reso gli utenti meno interessati ai contenuti di queste industry?”.

La risposta è molto chiara: “No. Il consumo di musica è aumentato moltissimo perché si sono moltiplicate le possibilità per ascoltarla (in mobilità, in streaming, attraverso gli smartphone, ecc.). Il numero dei lettori dei quotidiani non è mai stato così alto. Oggi il New York Times ha quasi 3 milioni di utenti abbonati e 92 milioni di utenti unici mese solo negli USA e se consideriamo i dati mondiali si arriva a 120/130milioni di utenti unici. Trend analogo hanno avuto il Washington Post, il Financial Times, ecc. Il Guardian non ha mai avuto tanti lettori come oggi grazie alla rete e da quotidiano nazionale è diventato fonte di informazione globale. D’altra parte nell’home entertainment, grazie a serie televisive di qualità di Netflix e altri player innovativi, c’è stato un ritorno alla TV di persone con caratteristiche socio-demografiche elevate che l’avevano abbandonata da tempo”.

Quindi? Qual è il problema?

Tralasciando in questo articolo le industry della musica e dell’home entertainment e concentrandoci su quotidiani e libri, cerchiamo di capire perché, a fronte dell’ampliamento degli utenti, si è avuto un crollo dei ricavi degli attori tradizionali nei quotidiani e non nei libri.

“Per quanto riguarda i quotidiani, il problema – prosegue Magno – è di non essere riusciti a monetizzare questo aumento della fruizione dei loro contenuti. La prima e principale causa è che la pubblicità cartacea è crollata (negli USA è passata in 10 anni da 60 a 20 miliardi di dollari) senza essere compensata dalla pubblicità online, ormai quasi totalmente fagocitata da Google e Facebook che, da questo punto di vista, rappresentano ormai un oligopolio. Gli editori dei quotidiani stanno quindi cambiando il loro modello di business, passando dalla fruizione gratuita alla vendita di contenuti, come dimostra il forte aumento degli abbonamenti online dell’ultimo anno di New York Times, Washington Post e diversi altri quotidiani di qualità [tendenza nella quale si stanno inserendo anche i due principali quotidiani nostrani, La Repubblica e Il Corriere della Sera, che negli ultimi mesi hanno drasticamente ridotto la fruizione gratuita di articoli ndr]”.

Parlando di quotidiani non si può non fare un accenno su come stia cambiando anche la professione del giornalista grazie alle nuove tecnologie digitali e al comportamento dei lettori.

Come si legge nell’articolo Ecco i 3 pillar su cui si fonda il nuovo giornalismo, parola di Francesco Paulo Marconi, il media strategist, in un recente incontro promosso da Meet the Media Guru in collaborazione con Accenture e Digital360, ha identificato i tre temi che stanno cambiando il modo di fare giornalismo: il ruolo dell’intelligenza artificiale e del machine learning sia per le attività di investigazione del giornalista sia per quelle di verifica delle fonti e di lotta alle fake news; la nuova figura del giornalista in qualità di scienziato dell’informazione e information officer ossia la “capacità di sperimentare nuovi concetti, nuove tecnologie e nuovi strumenti”; l’automated e l’augmented journalism come nuovi modi di fare informazione, dove il primo consente al giornalista di ovviare azioni ripetitive, lasciando maggiore spazio e tempo alla ricerca, e il secondo favorisce la creatività umana attraverso sistemi e strumenti che vengono utilizzati per aiutare il processo investigativo.

Ma tutto questo non basta, se le indicazioni di Marconi vanno a incidere sulla sostanza del lavoro giornalistico, la fruizione digitale dei contenuti impone anche a questi professionisti di intervenire sulla forma e la conoscenza di tecniche SEO (Search Engine Optimization) diventa essenziale per fare in modo che i propri articoli siano intercettati dai motori di ricerca: se nell’era della carta stampata il sogno di chi ha intrapreso questa professione era di vedere un proprio articolo stampato in prima pagina di un quotidiano famoso, nell’era digitale la probabilità di essere letti, e di acquisire autorevolezza, è direttamente proporzionale al posizionamento su Google dei propri articoli.

Libri: non c’è stato il sorpasso del digitale sul cartaceo…

“Per quanto riguarda il libro, si nota una differenza interessante rispetto alle altre industry del settore Media & Entertainment: se in queste il digitale ha praticamente sostituito il cartaceo o comunque è preponderante, nell’industria libraria trade non si è verificato lo stesso fenomeno”, spiega Magno, che prosegue: “E questo non riguarda solo l’Italia, ma è una tendenza mondiale. Anche studi di riferimento del settore [per esempio il Global Entertainment & Media Outlook redatto periodicamente da PwC ndr] prevedevano che lo scorso anno ci sarebbe stato il superamento dell’ebook sul libro cartaceo, e invece questo non è successo”. Negli USA, sebbene sia difficile fornire dati precisi (in quanto Amazon, che è il principale distributore di ebook nel mercato statunitense, non fornisce dati), il mercato digitale è valutato intorno al 25% del mercato librario trade: “Una quota importante, ma non un sorpasso. E in Italia la situazione è ancora più favorevole al cartaceo: in numero di copie l’ebook non supera il 10-15% e in ricavi vale ancora meno del 10%”.

Quali sono i motivi di questa peculiarità? “Un primo motivo è che gli utenti hanno nei confronti dei libri un’affezione quasi sentimentale che non hanno verso altri supporti (si butta facilmente un VHS, difficilmente si getta un libro), inoltre è un oggetto molto utilizzato come regalo. Il secondo motivo – prosegue il CDO – è prettamente tecnologico. L’ebook ha indiscutibili vantaggi. Ad esempio si può acquistare facilmente, nella propria lingua, ovunque ci si trovi e si possono portare con sé centinaia di libri elettronici. Però l’hardware non ha fatto significativi passi avanti negli ultimi 5 anni: l’e-reader, che rimane un oggetto utilizzato principalmente dai lettori forti, è solo leggermente migliorato; il tablet rispetto alla lettura prolungata di un libro stanca un po’ la vista, ha una durata della batteria limitata, non si legge bene sotto il sole; lo smartphone, che è il device più utilizzato e che tutti portiamo sempre con noi, ad oggi ha ancora uno schermo relativamente piccolo per leggere un libro”.

A questo si affianca tutta la complessa tematica dei prezzi nel mondo editoriale, oggetto di una legislazione e conseguenti dinamiche di mercato molto differenti negli USA e in Europa: “Nella prima fase dell’ebook, negli Stati Uniti Amazon acquistava gli ebook dagli editori e li rivendeva con un forte sconto all’utente finale: il margine per gli editori rimaneva invariato, ma questo faceva sì che i prezzi dei libri digitali fossero estremamente bassi, rafforzandone la diffusione. Amazon ha rapidamente acquisito il 90% del mercato americano degli ebook, ma ad un certo punto, come abbiamo letto sulla stampa americana di settore e non, molti contratti con gli editori sono cambiati e Amazon non ha più potuto vendere i loro prodotti digitali sottocosto, quindi i prezzi degli ebook sono saliti e la crescita è rallentata”. In Europa, invece, i prezzi dei libri, ebook compresi, sono decisi dagli editori con promozioni e scontistiche importanti per il digitale, ma non selvagge: “Nel Vecchio Continente, l’impatto di Amazon sull’industria libraria, sebbene molto importante, è stato meno invasivo rispetto agli US, dove è stato devastante per quanto riguarda le librerie”, ma questo è un mondo con logiche e meccanismi più vicini al settore Retail e che richiede un approfondimento a sé.

…ma attenzione a credere che nulla sia cambiato

“Questo non significa che possiamo restare fermi. Prima di tutto, nel momento in cui grazie ad un’evoluzione dell’hardware la lettura in digitale acquisirà ulteriori importanti vantaggi, molte persone passeranno a questo tipo di fruizione e bisogna essere attrezzati di conseguenza. E poi nel nostro settore ci sono stati cambiamenti importantissimi che lo hanno radicalmente trasformato”.

Uno di questi è sicuramente rappresentato dalla necessità di portare all’interno delle aziende editoriali competenze di e-commerce: “Oggi la vendita online di libri cartacei ed ebook vale circa il 25% dei ricavi degli editori, che hanno dovuto acquisire nuovi skill in questo ambito”. L’altra grande trasformazione, nella quale si stanno muovendo i primi passi, ma che secondo Magno avrà impatti importanti, è lo sviluppo di nuovi prodotti, come gli audiolibri: “Quello che agli editori è molto chiaro è che devono affrontare nuovi competitor che non sono editori tradizionali, ma si chiamano Facebook, Twitter, Netflix, Spotify: gli spazi che un tempo erano tipicamente dedicati alla lettura di un libro (pensiamo, per esempio, al treno) oggi vengono occupati anche da altre attività. E allora dobbiamo pensare e prodotti nuovi, capaci anche di catturare lettori deboli: è il caso degli audiolibri in formato digitale, utilizzati attraverso lo smartphone da chi magari non si avvicina facilmente a un libro, anche in contesti non abituali per la lettura come il jogging o la palestra”.

Un mercato che, seppure in Italia sia ancora limitato, sta dando buoni risultati in US, Germania, Francia e UK: “Anche in questo caso, abbiamo dovuto acquisire nuove professionalità. Imparare un nuovo mestiere perché produrre un libro e produrre un audiolibro sono attività completamente differenti”.

Infine il digitale ha avuto un impatto dirompente anche sul modo in cui si scelgono i libri e quindi tutte le attività di promozione sono profondamente cambiate: “Ci sono sempre più lettori che, anche se preferiscono il libro cartaceo, si informano online, attraverso Facebook o altri social, su siti specializzati, ecc. Per gli editori è quindi vitale presidiare l’area dei social media, essere esperti di email marketing e saper fare segmentazione e profilazione dell’utenza per valorizzare la propria proposta libraria con messaggi adeguati alle esigenze degli utenti”, afferma Magno, che conclude: “Come ricordano le grandi società di consulenza, da McKinsey ad Accenture, il settore media & entertainment è stato già ‘disrupted’ dalla digitalizzazione e oggi appartiene a quelle che vengono definite ‘reborn industry’ perché si contraddistinguono per un alto tasso di innovazione e dalla capacità di saper fare digital transformation”.

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