Uno dei punti chiave per la qualità ed efficienza della gestione del portafoglio applicativo è il raggiungere un buon coordinamento tra i gruppi responsabili di sviluppo e testing delle nuove applicazioni e quelli delegati alla manutenzione delle applicazioni in ambiente di produzione. A questo scopo, da circa tre anni a questa parte è nata ed è stata definita una metodologia, DevOps (Development-Operations) il cui fine è appunto quello di creare una collaborazione sinergica tra i team di sviluppo e di manutenzione. Affine al metodo Agile (del quale condivide la cultura di base e alcuni dei principi), DevOps se ne distingue in quanto comprende e integra gli aspetti riguardanti l’area Infrastruttura e Operazioni, spesso marginale ai processi di sviluppo di nuove applicazioni che vengono, in un certo senso, ‘subìte’ da coloro che poi dovranno garantirne il funzionamento. DevOps è fortemente promossa da Ca Technologies, che al Ca World di Las Vegas ne ha fatto uno dei punti della sua strategia di trasformazione della funzione It e che vi ha allineato la nuova versione 7.0 di Lisa, la sua application delivery suite. Nel senso che tramite i nuovi tool di automazione e continuous delivery dovuti alla recente acquisizione di Nolio, la suite di Ca Technologis abilita un’efficace adozione di DevOps fornendo alla metodologia il mezzo pratico di operare.
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In questo quadro si pone l’incontro che Paolo Restagno, Senior Director DevOps Semea di Ca Technologies, ha recentemente avuto con la stampa specializzata per illustrare, in base a una ricerca che Vanson Bourne ha svolto su incarico di Ca Technologies, i principi della metodologia e il riscontro che questa sta avendo nelle organizzazioni. Condotta nell’estate 2013 su un campione di 1.300 imprese distribuite nel mondo, ivi comprese 75 italiane, il primo dato che emerge è che il livello di conoscenza di DevOps ha avuto un balzo nei primi mesi dell’anno. Quanto alla sua adozione, se negli Usa, in Cina e in India questa supera il 90%, in Italia siamo a un buon 46%, tra implementazioni in atto (25%) e pianificate (21%). Per restare al nostro paese, “è interessante il fatto – ha sottolineato Restagno – che il 41% di chi ha pensato a DevOps lo ha fatto sulla spinta dell’uso dei dispositivi mobili, che esigono un costante allineamento tra applicazione e infrastruttura. Di fatto, il mobile è il caso più eclatante del generalizzato bisogno di deployment simultaneo su più piattaforme dichiarato dal 43% degli It manager”. Non stupisce invece che gli aspetti economici, nella media globale poco determinanti, in Italia siano i più apprezzati: tra vantaggi in efficienza e un più veloce time-to-market gli It manager italiani dichiarano guadagni tra il 13 e il 30%. E, purtroppo, non stupisce nemmeno che i freni alla diffusione della metodologia non siano da noi dovuti a problemi tecnologici ma organizzativi. Del resto, prosegue Restagno, “l’applicazione di DevOps coinvolge, come è logico sia dato che questo è il suo scopo, più processi e più persone, con interdipendenze che il 33% degli intervistati giudica troppo difficili da ridisegnare e gestire. Un problema che supera anche (con il 28% delle risposte) la mancanza di budget oppure, altro aspetto dei problemi di organizzazione che affliggono la funzione It, la difficoltà di allocarne correttamente le voci di competenza”, conclude Restagno.