Contributo editoriale

Come progettare un chatbot di successo: i passi da compiere e gli errori più comuni

Fin dalla loro origine, i chatbot sono stati al centro dell’interesse delle aziende, ma anche un tema controverso. La realtà, come sempre è sfaccettata: un chatbot può riscontrare un grande successo, a condizione che sia progettato e realizzato con i giusti criteri.

Pubblicato il 31 Gen 2023

chatbot

I chatbot hanno suscitato, fin dagli albori, un grande interesse. Soprattutto per la potenziale qualità di poter automatizzare quel tipo di interazioni che difficilmente possono essere gestite in massa da operatori umani. Oggi, con l’uso sempre più frequente di machine learning e intelligenza artificiale, oltre che all’approccio che molti definiscono human in the loop, sta emergendo il loro vero potenziale: quello di strumenti facilitanti in grado di farsi carico dei compiti più onerosi, permettendo alle persone di concentrarsi su attività a maggior valore aggiunto, anche quando si tratta dell’interazione con clienti, lead o in generale con chi entra in contatto con l’azienda.

Per chiarire, facciamo un semplice esempio: se un cliente o potenziale tale contatta un’azienda attraverso un canale digitale, il range delle informazioni che richiede può essere molto diverso. Dagli orari di apertura degli uffici, risposta che può essere fornita con un semplice automatismo, alla richiesta di contattare una persona specifica, che richiede un grado di interazione diverso, fino alla volontà di acquistare o prenotare un bene di qualche tipo, attività che, realisticamente, deve essere “chiusa” da una persona fisica.

I chatbot di oggi possono inserirsi in questo processo in modo discrezionale, effettuando le operazioni di primo livello in modo automatico e coinvolgendo gli operatori quando necessario. Al di là di questo esempio, volutamente semplificato, lo spettro delle attività in cui i chatbot si rivelano utili ed efficaci è molto ampio. Per avere una panoramica il più possibile completa, e soprattutto capire come si progetta un bot di successo, la redazione di ZeroUno ha interpellato Emanuela Zanleone, pioniera dei chatbot in Italia e Project Manager Leader in Eudata, azienda leader nel settore della gestione della Customer Experience attraverso sistemi avanzati di automazione.

Iniziare con una pianificazione efficace

“Nell’approccio di Eudata, consolidato dalla nostra esperienza sul campo, pensiamo che per costruire un chatbot sia necessario partire dagli utenti: cosa chiedono e dove sono?” ricorda Zanleone. “Forzare gli utenti verso argomenti o piattaforme, in genere non è efficace”. Nel caso in cui l’azienda non abbia dati in merito si può pensare di iniziare da argomenti o canali generici (per esempio WhatsApp) per poi virare, sulla base dei dati, verso soluzioni più specifiche. In ogni caso, il monitoraggio costante e la raccolta di dati sono parti fondamentali del processo di gestione di un chatbot. Per esempio, se un istituto bancario predispone un chatbot per fornire informazioni sulle carte di credito, ma gli utenti interagiscono richiedendo principalmente informazioni sui mutui, è indispensabile recepire questo feedback per rendere efficace lo strumento.

Emanuela Zanleone specifica che esistono tre archetipi principali di chatbot:

  • Quelli puramente informativi, utilizzati per esempio per fornire informazioni o per il troubleshooting di base, che non richiedono autenticazione;
  • Quelli con autenticazione semplice, che possono fornire informazioni contestuali, per esempio su saldi di conti o bollette;
  • Infine, i chatbot dispositivi che, successivamente all’autenticazione, permettono all’utente di effettuare operazioni vere e proprie, per esempio l’apertura di un sinistro.

La possibilità di realizzare strumenti in grado di effettuare operazioni complesse rende ancora più importante la fase di pianificazione, che può essere anche di tipo continuo: iniziare con una soluzione semplice, magari per un problema specifico, per poi muoversi verso la complessità sulla base dei feedback raccolti.

L’integrazione è fondamentale

Uno dei motivi per cui l’assessment iniziale è così importante risiede nella necessità di integrazione. Un chatbot, per poter diventare uno strumento di valore, deve poter essere utilizzato, e operare, all’interno degli strumenti aziendali esistenti per esempio i CRM ma anche, nel caso dei bot dispositivi, con gestionali o ERP.

“Lavoriamo all’integrazione con ogni tipo di backend, di tipo REST ma anche SOAP, sviluppando, se necessario, connettori ad hoc, oppure sfruttando le API native” ricorda Zanleone, che ci ricorda come nel campo dei bot l’integrazione non sia necessaria solo a valle verso gli strumenti utilizzati dal personale aziendale, ma anche a monte, soprattutto per l’uso dei diversi motori semantici necessari per il riconoscimento e la contestualizzazione del linguaggio naturale che le persone useranno per le loro richieste.

In generale il tipo di motore scelto varia in base alle esigenze aziendali, sia in termini di risorse, anche economiche, sia in termini di time to market.

Procedere per gradi

Abbiamo chiesto se, nella realizzazione di un chatbot è preferibile approcciarsi subito a tutti i canali, oppure agire in modo più lean, identificando un set ristretto o una sola piattaforma. La risposta è stata fra le più sicure che abbiamo ricevuto: “Assolutamente un approccio lean: si parte sempre da un MVP, per poi monitorare quello che accade, fare statistica, migliorare dove possibile e poi espandere verso la direzione desiderata dal cliente, sempre su base statistica” sottolinea Zanleone, che ci lascia anche un interessante suggerimento per gli utenti. Proprio perché i chatbot sono monitorati a fini statistici, è sempre bene interagire facendo le nostre richieste, anche se il chatbot in questione non dispone attualmente di risposte. La nostra istanza, infatti, potrebbe contribuire all’inserimento di funzionalità in futuro.

I bot, insomma, per essere di successo, devono essere mantenuti inserendo novità e nuovi dialoghi, cioè nuove modalità di risposta. “L’evoluzione di un chatbot di qualità avviene ad esempio anche (non solo) utilizzando le risposte date dagli operatori umani nelle situazioni in cui il BOT non è riuscito a essere efficace. Nella pratica, si osservano le risposte degli operatori (usando per esempio tecniche di Machine Learning) e si applicano al BOT le risposte creandogli “la conoscenza” per indirizzare anche quella richiesta. Ovviamente questo processo avviene sempre con la supervisione di un esperto, non è il BOT che automaticamente decide di cambiare le proprie risposte basandosi sulle interazioni precedenti.”

Sfruttare le potenzialità

Quelle indicate sono una serie di buone pratiche interessanti, che permettono di realizzare chatbot sopra la media di quelli che molto spesso si incontrano oggi e che spesso sembrano essere molto limitati. Per garantire uno sviluppo qualitativo sempre migliore, Eudata ha previsto anche l’uso di motori di traduzione per recepire le domande in più lingue ma non per le risposte che, ricorda Zanleone, devono sempre essere curate e redatte da operatori umani.

Inoltre, Eudata mette a disposizione una piattaforma Zero code attraverso la quale le aziende clienti possono costruire nuovi dialoghi in autonomia e che sta riscuotendo un buon riscontro proprio per la sua semplicità d’uso.

Il principio di base comunque è riassumibile in tre passaggi è “Monitora – migliora – espandi”. Con la raccomandazione, però, di portare a termine un dialogo, cioè la gestione di un servizio, prima di passare al successivo.

L’intelligenza artificiale a supporto degli operatori

Quando si parla di intelligenza artificiale, è un approccio piuttosto comune quello intermediato, in cui le parti decisionali più rilevanti sono affidate agli esseri umani. Abbiamo chiesto se sia un principio applicabile anche ai chatbot.

“Sicuramente sì, con la possibilità di spostare questo limite. Oggi, per esempio, è possibile affidare ai chatbot utilizzati dalle assicurazioni la gestione dei sinistri di piccola entità, trasferendo invece quelli più rilevanti a un operatore umano” – Risponde Zanleone – “I bot oggi sono praticamente tutti semantici, permettono un importante livello di dettaglio e di limitare il più possibile l’handover (cioè il passaggio all’operatore – n.d.r.). Oggi tutti i clienti, e anche Eudata, hanno come obiettivo quello di dare alle persone la possibilità di fare operazioni di valore.”

Oggi esistono bot in grado di gestire operazioni complesse, per esempio attraverso la gestione combinata. Un bot può intercettare una richiesta, per esempio l’apertura di una nuova polizza assicurativa, per poi richiedere l’intervento umano per gli aspetti più strettamente commerciali. Infine l’umano, a sua volta, potrà delegare nuovamente al chatbot gli aspetti più formali come l’inserimento di dati personali o l’invio di documenti, anche per garantire una maggiore riservatezza al cliente.

L’importanza degli obiettivi

Uno scenario articolato e ricco di opportunità, che tuttavia risponde a un must assoluto, cioè quello di fare in modo che i chatbot eseguano operazioni di reale utilità. Per chiudere, Emanuela Zanleone ci porta l’interessante esempio di una delle prime implementazioni: un chatbot realizzato per una grande azienda in grado di resettare le password degli utenti. Una funzionalità apparentemente banale che però, estesa a circa diecimila persone, viene ancora oggi utilizzata quotidianamente e ha affrancato gli operatori umani da un compito estremamente ripetitivo e di scarso valore aggiunto. Con grande soddisfazione da parte degli operatori stessi e dell’azienda cliente.

Contributo editoriale sviluppato in collaborazione con Eudata

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