L’Open Innovation in Aci: cogliere i segnali e innestarli nella cultura aziendale

Informarsi, confrontarsi all’esterno e all’interno dell’azienda, creare un humus aziendale orientato all’innovazione. E poi concretizzare il tutto con un approccio scalare: piccoli progetti con risultati tangibili che stimolano l’organizzazione a proseguire sulla strada intrapresa. Sono le ricette per portare l’innovazione in azienda di Vincenzo Pensa, Direttore della Direzione Innovazione e Sviluppo e Direttore Servizio Sistemi Informativi, Aci

Pubblicato il 10 Gen 2017

aci

Il recente convegno Open Digital Innovation: imprese e startup insieme per ridisegnare il futuro, organizzato da Digital Transformation Academy, nata dalla collaborazione tra Mip Cefriel, Osservatorio Startup Hi-tech, che vede la School of Management del Politecnico di Milano collaborare con Italia Startup, e Osservatorio Startup Intelligence è stata l’occasione per incontrare Vincenzo Pensa, Direttore della Direzione Innovazione e Sviluppo e Direttore Servizio Sistemi Informativi, Aci per confrontarci sull’approccio della sua azienda all’Open Innovation e su quali sono i punti di attenzione di un percorso “digital oriented”.

ZeroUno: Come si concretizza nella sua azienda il concetto di Open Innovation?

Vincenzo Pensa: Un’organizzazione, per ottenere i migliori risultati, deve cogliere tutte le opportunità che il mondo offre e per fare questo bisogna avere un atteggiamento aperto. Come farlo non è semplice, anche perché si tratta di un approccio che va declinato poi sulle specifiche realtà.
La mia esperienza passa dalla capacità di saper cogliere i segnali, anche quelli deboli, che arrivano dal mondo che ci circonda e questo significa relazionarsi con le università e i centri di ricerca, partecipare a iniziative come quelle degli Osservatori, ovviamente leggere e informarsi con una grande disponibilità a imparare. E poi portare tutto questo all’interno dell’azienda: in Aci abbiamo creato dei tavoli di confronto, ai quali partecipano persone di diverse aree, nei quali si ragiona sugli stimoli esterni per capire come questi possano essere declinati nella nostra realtà. Questo è l’humus sul quale si riesce a costruire innovazione ed è in quest’ambito che si inseriscono i nostri contatti con le startup. Ma soprattutto, è importante avere un approccio di formazione continua e poi di continuo tuning su ciò che, dall’esterno, può essere interessante per la propria organizzazione.

ZeroUno: Ma, soprattutto per quanto riguarda la formazione continua, non rischia di rimanere a livello spontaneistico di singole persone o singoli reparti? Come fare in modo che questo approccio diventi veramente parte dei processi aziendali?

Pensa: Bisogna far toccare con mano i risultati. Hai il coinvolgimento delle persone se queste percepiscono il beneficio di un nuovo modo di lavorare, e allora bisogna dimostrarglielo. Quindi noi abbiamo iniziato con piccoli progetti e iniziative dalle quali abbiamo potuto far emergere tangibili risultati positivi. L’ingaggio delle persone è venuto di conseguenza e solo allora siamo passati a progetti più impegnativi. Bisogna permeare tutta l’azienda di questa cultura. Per quel che mi riguarda io riterrò raggiunto il mio obiettivo quando in Aci non esisterà più una struttura dedicata all’innovazione  perché significherà che l’innovazione farà concretamente e stabilmente parte del modo di pensare di tutta l’azienda.

ZeroUno: Un dato preoccupante che è emerso dalla survey realizzata dalla Digital Transformation Academy [presentata nel corso del Convegno, vedi articolo – ndr] è che quasi la metà (45%) dei rispondenti dichiara di non avere intrapreso alcuna azione per incorporare stimoli di innovazione esterna. Come valuta questo dato?

Pensa: Questo atteggiamento delle aziende italiane è un problema, un grande problema. Aprirsi e guardare a quello che sta fuori non è semplice, richiede una grande attenzione e trasformazione e questo, soprattutto nella pubblica amministrazione [ricordiamo che Aci, nell’ambito delle proprie attività, gestisce una serie di rilevanti servizi pubblici ndr], viene spesso vissuto con preoccupazione, come un qualcosa di pericoloso e destabilizzante. Viene colto più l’aspetto della minaccia che quello dell’opportunità. E dato che poi tutto questo è determinato dalle persone, dal loro modo di porsi nei confronti di ciò che accade e dell’impatto che questo ha sulla propria realtà, bisogna far percepire i vantaggi e le opportunità che questo cambiamento offre, altrimenti continueranno a rimanere sulla difensiva.

ZeroUno: Torniamo quindi alla necessità che in azienda ci sia qualcuno in grado di trasferire e di fa vivere gli elementi positivi del cambiamento…

Pensa: Esatto. Voglio però aggiungere altri due elementi al quadro disegnato: il primo è che il nostro sistema [scarsi incentivi all’innovazione, sistema formativo poco collegato con la realtà imprenditoriale, complessità normativa ecc. ndr] sembra fatto apposta per scoraggiare atteggiamenti positivi nei confronti degli stimoli esterni; il secondo riguarda l’importanza di avere una cultura che tenga conto dell’errore: se pensiamo che tutto quello che facciamo debba essere perfetto al 100% difficilmente saremo disposti a sperimentare, anzi, l’errore andrebbe premiato quando indice di ricerca, di innovatività, di perseveranza. Sul primo possiamo incidere relativamente, ma se cambiamo il nostro approccio verso l’errore avremo fatto un altro piccolo passo avanti.

ZeroUno: E da questo punto di vista una tecnologia agile, flessibile, in grado di supportare lo sviluppo continuo di prodotti e servizi è un supporto fondamentale. È grazie a una tecnologia di questo tipo che posso sbagliare rapidamente e altrettanto rapidamente riprovare…

Pensa: Certo. La tecnologia è un potentissimo driver di sviluppo e senza la tecnologia non si potrebbe avere un approccio di questo tipo. Ma la tecnologia abilita, il ruolo centrale è quello delle persone che devono avere ben chiaro l’obiettivo da raggiungere e, non mi stancherò mai di ripeterlo, avere una atteggiamento culturale aperto.

ZeroUno: Ma l’azienda non è solo innovazione, ci sono processi che devono avere una solida governance e dove la sperimentazione è molto limitata. Gartner, dopo avere introdotto il concetto di bimodal IT riferendosi alle diverse infrastrutture tecnologiche, oggi parla di organizzazione bimodale

Pensa: È un concetto molto importante, che soprattutto le grandi organizzazioni conoscono bene: c’è la necessità di governare sistemi complessi, importanti anche dal punto di vista degli investimenti e delle attività che comportano quindi l’esigenza di pianificare queste attività con attenzione, capire bene quali sono gli asset da mettere in campo. Dall’altro lato se non sposiamo un approccio di sviluppo rapido al quale è, come dicevo prima, connessa la logica della possibilità di errore veniamo inevitabilmente estromessi dal tumultuoso mercato di oggi. La vera questione sta proprio qui, nella capacità di saper coniugare queste due modalità in modo che entrambe costituiscano elementi di flessibilità nella strategia di sviluppo e governo del sistema. Saper scegliere lo strumento adatto e adeguato allo scopo, questo è importante. Le faccio un esempio, non servono le grandi mappe, i mega piani, un’organizzazione complessa oggi non deve avere una mappa dettagliata a sua disposizione per operare, perché le mappe sono complesse, sono complicate, costano molto e alla fine non sono mai complete. Bisogna piuttosto avere una bussola e saperla usare bene, la capacità cioè di individuare e perseguire gli obiettivi strategici pur nella complessità del contesto attuale.

ZeroUno: Tecnologie che permetteranno al mondo fisico e a quello virtuale di confluire; smart machine, machine learning e tutta una serie di attività che potranno essere compiute grazie all’interazione tra macchine senza l’intervento umano; le nuove piattaforme e architetture che possono supportare il business digitale. Questi sono i tre grandi mega trend identificati da Gartner all’inizio dell’anno. Dal suo punto di vista dove confluiranno i maggiori investimenti?

Pensa: Per quanto riguarda il settore in cui opera Aci, ci saranno sicuramente importanti investimenti in ambito IoT perché il mondo della mobilità è investito da un grande cambiamento per tutta la sensoristica che va a collocarsi sull’infrastruttura delle strade, per l’uso dello smartphone, per le auto connesse ecc. C’è stata una grande accelerazione nelle abitudini dei consumatori e dobbiamo essere pronti a garantire servizi adeguati alle nuove esigenze.

ZeroUno: Lo sviluppo di prodotti e servizi basati sulla customer experience è il mantra di questi anni, ma perché si riesca ad attuarlo è necessario approcciare architetture di data management evolute ed essere in grado di gestire l’enorme mole di dati disponibile grazie anche all’evoluzione tecnologica di cui abbiamo parlato. Cosa significa lavorare in un’ottica Data Driven senza essere sopraffatti dalla quantità di dati a disposizione?

Pensa: La prima cosa da fare può sembrare banale, ma è censire tutte le informazioni disponibili in azienda e tentare di abbinare alle informazioni un valore che vada oltre quello per cui vengono utilizzate [una fattura, la cui ragion d’essere è di carattere amministrativo, può dire molto sulle abitudini e gli interessi di un consumatore, soprattutto se messa in relazione con uno storico di fatture che lo riguardano ndr]. Con questa logica abbiamo creato un paio di iniziative molto interessanti: analizzando i dati a nostra disposizione ci siamo resi conto che non li avevamo adeguatamente valorizzati; un approccio diverso che ci ha consentito di progettare nuovi servizi per gli automobilisti in un programma che abbiamo denominato easy car, si va dalla digitalizzazione dei processi, alle info sui propri veicoli oltre ad una gamma di servizi molto utili per l’automobilista che potrà comodamente utilizzarli attraverso il proprio smartphone, l’App si chiama Aci Mobile Club.

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