Cloud lifecycle management: come governare i processi nei nuovi modelli as a service

L’adozione di nuovi modelli di erogazione dell’It, basati sul concetto dell’as a service spinto dal paradigma del cloud, genera dei ‘contraccolpi’ sul piano dei processi e implica la necessità di ridisegno dei modelli e dei flussi delle It operation. Un cambiamento che porta il Cio ad avere un nuovo ruolo in ambito ‘service governance’ diventando una sorta di ‘service broker’ garante di servizi It erogati attraverso un’infrastruttura ibrida. Ne abbiamo discusso in un recente Executive Dinner organizzato in collaborazione con Bmc.

Pubblicato il 27 Nov 2012

Executive Dinner

Non è la prima volta che discutiamo del ripensamento e ridisegno in una logica ‘a servizio’ di quelle che sono le capacità dell’It di dare delle risposte alle esigenze operative, in termini di applicazioni, alle line of business aziendali; tuttavia, il tema è così ampio e di attualità che merita continui approfondimenti e aggiornamenti. È proprio con questo spirito che durante un recente Executive Dinner di ZeroUno, organizzato in collaborazione con Bmc, ci si è focalizzati sul concetto di cloud lifecycle management. “Il cloud è un elemento ormai inarrestabile di trasformazione che aiuta a dare delle risposte proprio in termini di efficacia sul piano del business (agilità di cambiamento; velocità nel time-to-market; riduzione del Tco; ecc.) – esordisce Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno -, ma per implementare correttamente ambienti di tipo cloud, siano essi privati, pubblici o ibridi, dobbiamo avere la consapevolezza della necessità di un ridisegno dei processi coinvolti nel cambio di modello e di un ripensamento della governance It”.

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Stefano Mainetti, codirettore scientifico dell'Osservatorio Cloud & Ict as a Service del Politecnico di Milano

“Con il passaggio a un delivery dei servizi It attraverso il tradizionale data center a servizi erogati in self-service attraverso i nuovi modelli del cloud è fondamentale predisporre un’infrastruttura adatta a tale cambiamento (che renda i servizi disponibili in minuti anziché in giorni)”, spiega infatti Stefano Mainetti, codirettore scientifico dell’Osservatorio Cloud & Ict as a Service del Politecnico di Milano. “Significa predisporre una ‘cloud enabled architecture’, ossia uno stack infrastrutturale (interno, esterno o che mixa le due opzioni è indifferente) che, partendo da una base di risorse fisiche le virtualizzi, offra uno strato software di gestione di tali risorse (fisiche e virtualizzate), predisponga un sistema di delivery (delle infrastrutture, Iaas, ma anche delle piattaforme, Paas, e delle applicazioni Saas), consenta agli utenti di attingere in modo automatico a tali risorse (catalogo dei servizi, portale web, app store, ecc.), garantisca un sistema di controllo e gestione di tutto lo stack”.

L’infrastruttura presentata da Mainetti, in sostanza, è lo strato tecnologico necessario ad abilitare l’It all’erogazione verso le line of business di servizi self-service, elastici e misurabili, meglio ovviamente se basati sulla rete (networking) e sui principi di condivisione delle risorse. “Ciò che serve – prosegue Mainetti – è un ‘arsenale software’ che, se non governato in modo corretto fin dall’inizio rischia di diventare un altro elemento di complessità che frena la trasformazione dell’It, oggi però non più rimandabile”.

Una trasformazione, per altro, già in atto anche nel nostro paese, anche se con velocità e approcci differenti rispetto ad altre nazioni europee. “Il mercato cloud in Italia, nel 2012, si attesterà intorno ai 443 Milioni di euro – osserva Mainetti -. Un valore irrisorio rispetto alla spesa complessiva Ict (rappresenta il 2,5% della spesa totale), ma con un tasso di crescita decisamente significativo (20/25% ogni anno con prospettive di crescita almeno fino al 2016)”. Sebbene l’Italia sia ancora molto focalizzata all’ambito Iaas, Infrastructure a service, con poche opportunità colte per la parte Saas, Software as a service (per lo più per sistemi di posta elettronica, portali aziendali, sistemi di Ucc, gestione Hr, gestione documentale), l’analisi dei benefici generati o attesi lascia intravedere buone prospettive di crescita. “Il vantaggio principale riscontrato da chi ha già intrapreso un percorso di evoluzione verso modelli basati sul cloud (soprattutto le grandi aziende) – dice Mainetti – è la riduzione della complessità dei processi di gestione del data center, cioè delle It operation, e dei sistemi applicativi”.

Tra le criticità emerse dalle indagini del Politecnico, però, segnaliamo la difficoltà di integrazione con l’infrastruttura esistente in azienda, nonché la problematicità nell’implementare efficaci processi di controllo e metering per presidiare i livelli di servizio (interni ed acquisiti all’esterno). Criticità che riportano l’attenzione al tema oggetto del nostro Executive Dinner, il governo dei nuovi processi associati al modello cloud.

Verso una nuova organizzazione dell’It

“Idealmente un’architettura di enterprise cloud service dovrebbe avere uno strato software basato su cinque livelli funzionali: access management, service management, service optimization, resource management, physical resource tier – osserva Mainetti -. Per garantire un’efficace gestione dei processi It incentrati su queste operation, tali livelli dovrebbero essere tra loro logicamente indipendenti, per agevolare la flessibilità e dare la possibilità di cambiare agevolmente vendor”.

Non solo, l’arsenale software abilitante il cloud deve comprendere anche un sistema efficace di orchestrazione e governo di tutti i servizi It e del loro ciclo di vita. Il tutto, in un unico ambiente architetturale onde evitare di ‘ritrovare’ nuovamente l’It strutturato a silos e quindi ripetere gli errori che hanno generato la complessità dalla quale si sta tendando di uscire proprio attraverso i nuovi modelli di erogazione a servizio.

Silvio Rugolo, area vice president Emea, software consulting di Bmc Software

“Tutti aspetti ‘delicati’ che portano il Cio ad avere un nuovo ruolo in ambito ‘service governance’ diventando una sorta di ‘service broker’ garante di servizi It erogati attraverso un’infrastruttura ibrida”, così dice Silvio Rugolo, area vice president Emea, software consulting di Bmc Software. “Prima ancora di pensare alla trasformazione di business, è fondamentale che l’It pensi a trasformare se stesso. E il cloud in questo processo di cambiamento gioca un ruolo determinante perché sta già cambiando il modo con cui l’It è ‘costruito’ ed organizzato e impatta sul modo in cui eroga e distribuisce servizi”.

Per spiegare tale processo di cambiamento Rugolo ricorre ad una metafora sportiva sottolineando come l’It debba passare dal ‘canottaggio’, in cui tutti i membri remano per andare nella stessa direzione, ad una regata velica, in cui i membri possono contare su un sistema altamente automatizzato e performante, ma perché sia vincente deve essere governato da un team all’interno del quale vi siano competenze ultra specialistiche. “Un cambio epocale che genera opportunità interessanti per figure quali quelle dei service architect e dei demand manager, ma che apre le porte anche a figure del tutto nuove come quelle dei cloud/tenant administrator, cloud financial manager, cloud capacity manager”, puntualizza Rugolo. “E quella delle competenze è una tematica da non sottovalutare affatto perché è proprio da queste che dipende un efficace governo dei processi It”.

Luca Armanni, Is/It Integration Team di Nestlé

Su questi aspetti si è animata la tavola rotonda. Luca Armanni, Is/It Integration Team di Nestlé, ha sollevato il ‘rischio’ della disintermediazione dell’It, “spinta dalla capacità degli utenti, abituati ormai ad acquistare servizi tecnologici direttamente dai propri smartphone e tablet. Come formare allora nuove competenze, all’interno dell’It, per rispondere in modo adeguato alle richieste dei nostri ‘consumatori’ ed evitare che si generi ulteriore complessità sia sul piano tecnologico sia sul piano della governance?”, chiede Armanni.

“Quello di cui hanno bisogno le aziende oggi – risponde Mainetti – è la competenza specifica dei vendor che arriva dal know how sulle architetture enterprise e la loro evoluzione. La formazione accademica, per la trasformazione organizzativa dell’It, risulta inefficace. Sono i vendor i primi interlocutori da ‘stressare’ perché sono loro che conoscono le implicazioni organizzative di una trasformazione tecnologica e devono accompagnare i clienti nel progetto complessivo”.

Marco Bianchi, analista di sistemi informativi di Rodafin

E alla domanda di Marco Bianchi, analista di sistemi informativi di Rodafin, su quale possa essere “la scelta ideale tra la formazione (continua) delle competenze interne e la scelta di affidarsi a consulenze esterne”, risponde Giovanni Masala, regional sales manager Italy – commercial market di Bmc Software: “L’ideale sarebbe investire in formazione interna per tutte quelle competenze nuove, chiave, che stanno oggi delineandosi, come il service architect, il cloud capacity manager, ecc. da cui dipendono importanti processi It.

Giovanni Masala, regional sales manager Italy – commercial market di Bmc Software

Le consulenze esterne possono diventare un volano importante per un progetto specifico, andandole a cercare sul mercato, quindi, di volta in volta, rispetto alle esigenze specifiche del momento. Per l’ambito cloud, è indubbio che ci siano ancora delle difficoltà a reperire le competenze giuste perché è un processo tutt’ora in corso e non ancora nel pieno della maturità. Ecco perché è fondamentale procedere per gradi, ‘sperimentando’ con progetti specifici su cui costruirsi le giuste competenze e ampliando poi la trasformazione in fasi successive sfruttando l’esperienza maturata”.

L’adeguamento dei processi rispetto al cloud

Luca Fioletti, responsabile area canali di Banca Popolare di Sondrio

Luca Fioletti, responsabile area canali di Banca Popolare di Sondrio porta sul tavolo alcune interessanti riflessioni: “Sicuramente, guardando dalla prospettiva dell’It, il fatto di avere a disposizione un’architettura standard, sia sul piano infrastrutturale sia su quello applicativo, mi consente di avere processi più snelli e meglio gestibili. Peccato che il ‘committente’, cioè l’utente aziendale, desideri quasi sempre un supporto perfettamente allineato al proprio processo e modo di lavorare; esigenza che si traduce in un’applicazione customizzata. La standardizzazione, e quindi l’apertura al cloud, credo possa essere ‘forzata’ dall’It, spingendo gli utenti ad ‘adeguarsi’, solo per ambiti non mission-critical, per i quali il servizio è già una commodity a livello generale, per qualsiasi realtà (come per esempio la posta elettronica)”.

Riccardo Prampolini, Cio di Cremonini

Su questo fronte interviene anche Riccardo Prampolini, Cio di Cremonini, evidenziando “l’importanza di non ‘banalizzare’ le applicazioni software ricorrendo a soluzioni comuni per tutte le realtà, soprattutto nell’ambito di applicazioni business critical all’interno delle quali sono riportate tutte le logiche e i processi di business su cui un’azienda si è costruita negli anni il proprio modello e il vanatggio competitivo”.

“Il mercato dell’Ict si industrializza portando le commodity nel back-end, cioè creando servizi totalmente standard, indifferenziati, sempre disponibili da acquistare in modalità pay-per-use – spiega Mainetti -. Il percorso è iniziato dallo strato infrastrutturale, proprio perché è quello più semplice da standardizzare e si è spostato nell’ambito applicativo ‘comune’ ossia quello non dipendente dai modelli e dalle logiche di business specifici delle aziende, per esempio la posta elettronica, la videocomunicazione e i sistemi di unified communication, la gestione amministrativa delle risorse umane”.

“Ma non ci fermeremo qui e lo vediamo con ciò che è già successo con il Crm – aggiunge Rugolo -. Questo è sempre stato considerato un ambito business critical, eppure la ‘bomba atomica’ che ha lanciato Salesforce.com ha ‘convito’ le aziende a utilizzare uno strumento standard. Ciò che genera il vantaggio competitivo sono le modalità con cui gli utenti sfruttano le informazioni contenute nel Crm e le funzionalità dell’applicazione, non la soluzione in sé”.

“Il percorso è in atto – riprende Mainetti -; bisogna semplicemente dare ai software vendor il tempo di ‘adeguarsi’ e identificare quegli ambiti sufficientemente globali da poter servire con applicazioni standard offerti attraverso il cloud. L’accelerazione potrebbe poi avvenire anche grazie a nuovi attori che investiranno nello sviluppo di alcune ‘nicchie applicative’ da erogare comunque globalmente via cloud. È comunque innegabile che lo scenario più plausibile che si andrà a delineare sarà quello ibrido dove ci sarà una convivenza tra soluzioni in house e acquisite come servizio all’esterno”.

Ecco allora che torna però il problema della revisione dei processi It che implica necessariamente nuove competenze. Solo per citarne alcune:

  • vendor scouting & management: cambiano i fornitori e l’offerta è sempre più dinamica, occorre cambiare le modalità di ricerca e valutazione dei fornitori;
  • contract management: richiede modelli nuovi e diversi di gestione dei contratti e dei processi stessi di sourcing;
  • risk management: con il cloud occorre ripensare i criteri con cui un'azienda identifica, analizza, quantifica e monitora i rischi e le minacce legati alla disponibilità delle risorse Ict;
  • enterprise architecture: a fronte della potenziale dinamicità e componibilità del sistema informativo, per non perdere controllo e affidabilità occorre sviluppare e far evolvere nel tempo un disegno architetturale;
  • resource management: per sfruttare flessibilità ed elasticità che il cloud consente, occorre conoscere, monitorare e prevedere le esigenze di utilizzo di risorse Ict;
  • demand management: la direzione Ict per creare valore deve diventare proattiva; ciò richiede di ripensare il processo di ricezione e stimolo della domanda Ict proveniente dalle line of business;
  • change management: con il cloud il sistema informativo diventa potenzialmente privo di inerzie nel seguire e stimolare il cambiamento dei processi.

Le difficoltà di cambiamento

Alessandro Volpato, direttore sistemi informativi di Bennet

Tematiche su cui ritorna anche Alessandro Volpato, direttore sistemi informativi di Bennet che lancia una provocazione: “Le nostre criticità nascono prima di tutto dai processi di business; gli utenti aziendali non chiedono all’It un servizio in cloud ma un supporto per lanciare un nuovo prodotto, per aprire una nuova filiale, ecc. Tutte criticità che trovano risposte nelle architetture applicative ma se penso al fatto che nel mondo Retail incontriamo difficoltà persino a trovare delle soluzioni standard, vedo la proposta cloud (in ambito Saas) ancora troppo immatura”.
“Il mercato non è ancora sufficientemente maturo per pensare che tutte le applicazioni siano facilmente integrabili in una logica di software as a service – interviene Mainetti -. Parliamo di un mercato, quello dell’Ict, che si sta industrializzando ora e che deve quindi ancora vivere tutta la cosiddetta ‘fase di disillusione’ dalla quale se ne ricaveranno le esperienze, le best practice e le competenze che ne determineranno la maturità”.

Romano Brida, vice presidenti di NTT Data

Un ‘suggerimento’ per affrontare meglio il cambiamento arriva da Romano Brida, vice president di NTT Data: “Se penso ai ruoli che abbiamo visto come quelli del change manager, del demand manager, del resourse o del vendor manager, ecc. credo si tratti di competenze ‘sotto stress’ da una decina d’anni, prima ancora dell’arrivo del cloud. Prima di pensare alla trasformazione dei processi di business attraverso il Saas, sarebbe meglio, a mio avviso, iniziare dall’organizzazione It stessa, sperimentando al proprio interno l’utilizzo di servizi cloud (per esempio per la collaboration tra le varie aree dei dipartimenti It) capendo quindi le implicazioni sui propri processi e costruendosi così le competenze necessarie per affrontare poi le criticità sui processi di business”.

Sulla trasformazione dei processi Rugolo interviene sottolineando come si debba parlare più che altro di revisione, rimodellamento di questi rispetto alle nuove opportunità tecnologiche: “Se parliamo, solo per fare un esempio, di incident management, non è che il passaggio ad una insfrastruttura cloud cambia del tutto il mio processo; è quello che avviene dopo dal punto di vista di automazione per la risoluzione del problema che cambia e richiede dunque l’adeguamento dei processi”.

Fabio Mattaboni, Cio di Industrie De Nora

“E allora diventa fondamentale il demand management”, interviene Fabio Mattaboni, Cio di Industrie De Nora. “Un demand management che ha il difficile compito non solo di capire le esigenze delle line of business ma anche di far comprendere ai propri utenti che una scelta tecnologica può essere di estremo valore anche se standard e che richiede quindi uno sforzo di adeguamento agli utenti”.

Claudio Tancini, It operation manager di Zurich

Della stessa opinione Claudio Tancini, It operation manager di Zurich: “Inevitabile che l’asticella, in questo momento, si fermi sul demand e change management. Prima ancora di decidere da dove partire e disegnare la propria roadmap è però indispensabile, secondo la mia esperienza, sapere e capire ‘dove si vuole arrivare’. Una volta chiarito l’obiettivo si devono scegliere le persone e gli strumenti, cioè declinare l’organizzazione più adatta, determinata anche dalle scelte tecnologiche”.


Bmc: focus sul cloud management

La gestione It è un aspetto fondamentale da valutare nel passaggio al cloud computing; non è infatti possibile raccogliere i benefici del cloud in assenza di una piattaforma solida indirizzata alla gestione dei servizi e dei processi It, in grado di estendere il livello di controllo e di visibilità dell'infrastruttura. È sulla base di questa visione che Bmc ha costruito la propria offerta chiamata Cloud Lifecycle Management. Si tratta di una piattaforma che consente, attraverso diverse funzioni di It management di bilanciare le richieste di flessibilità e reattività della propria organizzazione con la responsabilità sul controllo e sulla gestione dell'ambiente cloud. La piattaforma, infatti, comprende: un catalogo basato su policy che personalizza l'elenco dei servizi disponibili sulla base del ruolo dell'utente; un portale web self-service per la richiesta e il monitoraggio delle risorse cloud, siano esse inerenti a cloud privati o fornite da service provider di cloud pubblici; provisioning dinamico dell'intero stack dei servizi – calcolo, rete, storage e applicazioni – in tutte le infrastrutture eterogenee; workflow immediati per la gestione del cloud rispetto alla governance, le performance e la conformità dei servizi cloud, grazie all'assegnazione automatica delle policy di conformità e degli strumenti di monitoraggio delle prestazioni; integrazione preconfigutata It Service Management (Itsm) per l'interazione e la conformità con i processi Itil.

Cloud Lifecycle Management è parte dell’offerta di Cloud Service Management di Bmc, soluzioni che integrano tutti i componenti necessari alla gestione degli ambienti cloud e dei servizi erogati in modalità as a service: pianificazione, gestione del ciclo di vita, attività, ottimizzazione e governance.

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