Prospettive

Cloud migration: un viaggio appena incominciato

Dall’approfondimento dei dati dell’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, ai recenti confronti con i CIO, il cloud si conferma il modello imprescindibile per disegnare nuovi ambienti informativi ibridi, aperti e finalmente in grado di sostenere l’innovazione. Ma la cloud transformation non è cosa da poco: ripensamento applicativo, ridisegno organizzativo, nuovi strumenti di governance e orchestrazione, soft skill, nuove funzioni e ruoli… Ecco il lungo, ma affascinante viaggio dentro la trasformazione inarrestabile delle imprese verso l’as-a-service.

Pubblicato il 29 Ott 2019

grafico Cloud Migration

A pochi giorni di distanza dalla presentazione dell’Osservatorio Cloud Transformation 2019 della School of Management del Politecnico di Milano, di cui ZeroUno ha dato un’ampia anteprima intervistando i principali responsabili dell’iniziativa, approfondiamo alcuni aspetti che stanno caratterizzando questa ormai diffusa fruizione as-a-service di tecnologie hardware e software, cercando di capire come si stanno muovendo le aziende verso la cloud migration.

Finalmente abbiamo lasciato alle spalle alcune perplessità e timori che hanno fisiologicamente connotato lo sviluppo di questo modello: in Italia, oggi il cloud, dati alla mano, è un trend inarrestabile e in continua crescita (dai dati dell’Osservatorio vale 2,77 miliardi di euro contro i 2,34 miliardi registrati lo scorso anno), pur nelle differenti velocità di sviluppo legate alle singole realtà e dimensioni aziendali (e conseguenti capacità di investimento e di competenze presenti). Si sta superando il timore della security, convincendosi che i livelli di protezione messi in campo dai grandi service provider sono spesso di molto superiori a quelli realizzati in house; e anche per questo, le applicazioni business critical si stanno portando in public cloud. Anche il Paas (Platform as-a-service) sta diventando un modello di fruizione diffuso, tant’è che registra, sempre dai dati dell’Osservatorio, una quota rilevante del 16%, utilizzando servizi Paas per lo sviluppo applicativo nei differenti progetti quali, ad esempio, l’integrazione di soluzioni di Intelligenza Artificiale, gestione della security, governance del ciclo di sviluppo software e messa a punto di ambienti di big data analysis.

Approfondiamo oggi, alcuni aspetti che caratterizzano il non facile percorso di migrazione verso questo modello prendendo spunto, oltre che dalle analisi dell’Osservatorio, anche da un interessante evento di confronto con i CIO di alcune tra le principali aziende italiane, svoltosi di recente nell’IBM Data Center di Cornaredo (MI), da cui sono emerse aspettative e criticità verso l’utilizzo del modello as-a service.

Cloud transformation, le tappe della cloud migration e gli obiettivi

Se da un lato è vero che il cloud sta accelerando la business transformation, è altrettanto vero che a livello mondiale, nonostante i dati positivi, solo il 20% dei workload aziendali è già migrato al nuovo modello. Le imprese sono quindi immerse in questi anni, nel non semplice percorso di trasformazione delle proprie architetture, per costruire modelli ibridi in cui i sistemi informativi, in un disegno ideale, si articolano in una serie di oggetti distribuiti e intelligenti dove i servizi IT sono fruibili in diverse modalità, on premise, private cloud, multi cloud e dove il punto strategico della flessibilità, velocità, performance e supporto alla capacità di innovazione di impresa è strettamente legato a una corretta integrazione e orchestrazione dei servizi.

Siamo quindi nella fase cruciale del passaggio (che durerà alcuni anni), quella in cui ogni azienda deve definire un percorso efficace che tenga conto del proprio legacy, sia tecnologico sia organizzativo-culturale, e delle proprie competenze, con la difficoltà di trovare interlocutori credibili e preparati che possano accompagnare le imprese nella trasformazione delle loro architetture IT.

A fronte dei dati incoraggianti di Gartner, che rileva, ad esempio, un deciso aumento del public cloud, stimato, nel 2019 a livello mondiale, a 214,3 miliardi di dollari, con una marcata crescita del 17,5% sul 2018 (era lo scorso anno di 182,4 miliardi di dollari ed è previsto raggiungere i 331,2 miliardi di dollari nel 2022), il passaggio al cloud è un fatto complesso: non significa solo aggregare i differenti servizi dei cloud provider, quanto, evitando nuovi lock-in e silos cloud, integrare al meglio i differenti ambienti in un modello ibrido e multi cloud a cui poter attingere come ad un unico insieme. Non è cosa da poco, tanto che, non a caso, sempre Gartner stima che circa il 19% del budget It dedicato al cloud, a livello mondiale, venga oggi destinato proprio a gestire questa trasformazione, con servizi di consulenza dedicati al corretto disegno implementativo che dovrebbero occupare, nel 2022, circa il 28-30% dei budget cloud.

Anche IDC aveva fissato, poco tempo fa, alcuni “warning” sulla cloud transformation: vanno considerati i costi, perché definire queste infrastrutture richiede investimenti da non sottovalutare; bisogna stimare correttamente il tempo della trasformazione, perché serve una pianificazione almeno a 2-3 anni e una vision chiara su percorso e obiettivi; è necessario traguardare un modello di sistemi aperti, avendo anche il coraggio di sostituire alcuni sistemi legacy impossibili da far evolvere, nonché ripensare un’infrastruttura che sia trasparente alle applicazioni, dove queste possano agevolmente migrare da on premise a cloud e viceversa, con un ridisegno delle applicazioni a microservizi, riaggregati poi all’interno di container applicativi per una corretta orchestrazione di applicazioni e carichi di lavoro; è indispensabile poi una governance costante attraverso misurazioni real time degli SLA e un monitoring continuativo delle distribuzioni cloud-on premise delle applicazioni. Per non parlare del tema degli skill e della ancora limitata, in generale, maturità organizzativa delle aziende: è infatti ancora scarso il ricorso a metodologie di lavoro, quali l’Agile, che sono invece il complemento organizzativo indispensabile a reggere una scelta di grande flessibilità e velocità di risposta al business quale quella garantita dal modello cloud.

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Criticità, timori, aspettative

Tutte inquietudini confermate dai CIO durante la Tavola Rotonda. Ecco alcuni feed back “al volo”: “Il lock-in è un rischio reale che stiamo vivendo, unitamente a una non semplice attività di governance e orchestrazione, non solo dei servizi ma anche dei provider”. Inoltre: “Soltanto nell’It siamo circa 300 persone – ha detto un altro Executive IT durante il dibattito –. Mettere a punto un modello di interoperabilità evitando i lock-in non è affatto facile”.

“Dobbiamo ancora costruirci delle competenze in tema Agile e nell’orchestrazione dei servizi; intanto quello che stiamo rilevando è una complessità crescente”. “La velocità e la flessibilità che garantisce il cloud si scontra da noi con un modello organizzativo ancora troppo rigido; e poi gli economics non sono ancora chiari e certi”.

“Rivedere le competenze è per noi fondamentale e urgente, inoltre vediamo, nello scenario cloud attuale, due punti di criticità non banali: uno scarso supporto del management, che difficilmente capisce il perché deve investire in questa trasformazione che valuta ancora su un piano soprattutto tecnologico, e dall’altro lato anche la gestione del cloud provider non sempre a un livello di relazione e di ingaggio soddisfacente”.

A questi CIO, IBM, attraverso Vito Leotta, Italy manager of Cloud Platform, ha illustrato nel dettaglio, sia operativo sia tecnologico, il proprio approccio open cloud (proprio allo scopo di sostanziare un approccio cloud ibrido e aperto, IBM ha acquisito un anno fa, per 34 miliardi di dollari, Red Hat) basato su cinque principi:

  • Ibrido, per operare facilmente su sistemi on premise, private e public cloud;
  • Multi cloud, perché gli ambienti dei clienti sono e saranno sempre principalmente eterogenei;
  • Open, sviluppando funzioni e servizi “open by design”, per evitare nuove forme di lock-in;
  • Sicuri
  • e con adeguati livelli di Governance tra i differenti ambienti.

“Il modello integrato IBM Cloud & Open Platform apre nuovi scenari ibridi nel secondo capitolo della trasformazione digitale” ha detto Leotta. Tra l’altro su questi temi complessi, IBM dedicherà a breve un’intera settimana di eventi (12-18 novembre), #startIBMCloud, per analizzare questo journey di trasformazione sotto le diverse prospettive e per i differenti soggetti coinvolti, business leader, CIO, Innovation Officer, architect, It specialist, data scientist, Ciso e sviluppatori.

foto Vito Leotta
Vito Leotta, Italy manager of Cloud Platform IBM Italia

Ambienti interconnessi, applicazioni riprogettate, orchestrazione automatizzata

Ma quali sono oggi le tendenze principali in atto in questo cloud journey?

L’Osservatorio ha tratto alcune conclusioni basandosi su una serie di report internazionali di analisti e di player dell’offerta, verificandole e sottoponendole alla “declinazione” italiana in un confronto con l’Advisory Board e la Community dell’Osservatorio. Inoltre sono stati ingaggiati per ulteriori approfondimenti 70 C-level di grandi imprese operanti in Italia, che hanno evidenziato i trend ritenuti più rilevanti per la loro strategia di Cloud transformation.

grafico figura 1. Cloud Migration
I trend per la Cloud Transformation nel 2019. Fonte: Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano

Da tutto ciò, emerge con chiarezza come si stia mettendo a punto, faticosamente, una strategia di sistema informativo hybrid e multi cloud in cui i servizi on premise, private e public cloud dei vari provider possano essere facilmente interconnessi attraverso scelte sempre più open. Anche la modalità di migrazione sta cambiando: da un livello di tipo tattico e orientato al minor costo, in cui le applicazioni venivano portate senza particolari cambiamenti sulle piattaforme infrastrutturali cloud (Iaas) secondo il modello cosiddetto “lift & shift”, a un ripensamento più strategico dell’efficacia del modello cloud in cui le applicazioni sono riprogettate in una logica “cloud native”, con un obiettivo di massima flessibilità; disarticolare quindi le applicazioni secondo criteri di modularità e scalabilità garantite dal paradigma di sviluppo applicativo dei microservizi e dei container. L’obiettivo è quello di rendere le applicazioni agnostiche rispetto alle infrastrutture sottostanti, con il risultato di poter accelerare la velocità (time to market) delle iniziative (innovazione e progetti) messe in campo dall’azienda.

Strettamente correlato a questo scenario, aumenta il ricorso a strumenti applicativi per automatizzare la gestione e l’orchestrazione degli ambienti, per tenere sotto controllo i costi, le prestazioni e i livelli di security. Rientra nella categoria degli strumenti per l’automazione e la governance tutta l’area dei tools e della metodologia DevOps, dove la sinergia tra la parte di sviluppo e le IT operations è forzata nell’obiettivo di accelerare i tempi di rilascio del software.

foto di stefano mainetti
Stefano Mainetti, Direttore Scientifico dell’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano

Un obiettivo perseguito grazie, da un lato, a strumenti che automatizzano i test e le attività di rilascio in produzione, e dall’altro, attraverso la metodologia di confronto continuo e di iterazione collaborativa tipica dell’Agile e del DevOps, che finalizzano una più rapida identificazione dei problemi, affinando meglio e più velocemente la qualità del software prodotto sia in termini di riduzione di errori sia di allineamento alle aspettative strategiche del business. Conferma infatti Stefano Mainetti, Direttore Scientifico dell’Osservatorio: “È vero che l’Hybrid cloud sta diventando una scelta strategica, con budget importanti in un percorso pluriennale; è anche vero che esiste un rischio di crescita di complessità e di costi per cui serve un modello di governance e l’utilizzo di strumenti che però richiedono nuove competenze e processi di apprendimento non banali”.

grafico figura 2. cloud migration
Una generica delivery pipeline supportata da strumenti di DevOps. Fonte: Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano

Due nodi: le competenze e il management

Concludiamo questa disamina dei processi di maturazione del cloud in Italia, identificando un paio di aspetti critici che fanno quasi sempre da sfondo ogni volta che si tratta il fenomeno cloud:

  • la necessità di sviluppare una nuova tipologia di competenze, senza le quali la flessibilità tecnologica garantita dal modello as a service potrebbe non essere pienamente sfruttata;
  • la necessità di coinvolgere il management in questa trasformazione cloud, che non è solo architetturale ma è la strada maestra per garantire all’IT una reale capacità di supporto e di partecipazione attiva all’accelerazione innovativa e strategica dell’impresa.

Si tratta di due aspetti tra loro legati: l’Osservatorio conferma che il cloud ha un impatto significativo in azienda non solo rispetto alle tecnologie, ma anche sui modelli finanziari, operativi e sui processi di acquisto.

Deve essere comunicato e giustificato correttamente alle funzioni e ai livelli organizzativi interessati e il Business Case è lo strumento, secondo l’Osservatorio, per intercettare un reale interesse delle controparti in azienda. Il Business Case, ovvero un documento che confronta le diverse alternative di realizzazione di un progetto, viene definito uno strumento fondamentale per passare dalla fase di sperimentazione progettuale ad una vera riarticolazione cloud dell’infrastruttura IT. Non è una cosa semplice: il 35% delle imprese che utilizzano il Cloud ha difficoltà a quantificare il ritorno economico (i criteri sono molto diversi dai parametri conosciuti dell’on premise), e questo, confermato anche dai CIO, è uno dei principali freni a un’adozione pervasiva del cloud. Tuttavia i benefici cominciano ad essere chiari ai CIO (come detto anche durante la Tavola rotonda): il cloud accelera l’innovazione, induce un cambiamento profondo ma indispensabile nell’organizzazione, le persone si dedicano meno alla gestione infrastrutturale e di più a identificare soluzioni tecnologiche per risolvere problemi di business, l’offerta dei cloud provider, in continua evoluzione, permette, meglio di prima, di stare meglio al passo con l’innovazione tecnologica (nelle varie offerte si possono trovare, ad esempio, servizi derivati da start up innovative su scala mondiale, difficilmente intercettabili dalla singola azienda).

Sulle competenze, infine, sarebbe necessario aprire un capitolo a parte. Tuttavia emerge con forza, sia dall’Osservatorio sia dagli incontri con i CIO, un profilo ben marcato, per “scaricare a terra” tutto il potenziale del cloud: il Dipartimento IT sta ormai passando dal ruolo di possessore della tecnologia a quello di orchestratore, un ruolo di brokering dei servizi disponibili nei cloud provider finalizzando un mix che possa concretizzare un vero differenziale competitivo. Si parla di Cloud Transformation Manager, Cloud Champion e di modelli di Cloud Center of Excellence, tutti profili basati su strutture cross-funzionali dove accanto alle imprescindibili competenze tecnologiche trovano però spazio capacità di comunicazione e soft skill (relazione, ingaggio, ascolto, coinvolgimento con ogni livello aziendale, fino al top management), con l’obiettivo di una generazione di servizi digitali a valore, davvero sintesi delle anime tecnologiche e di business dell’impresa.

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Il modello di lavoro e le competenze della Digital Factory

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