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Trasparenza sulle emissioni: un obbligo virtuoso, ma solo per pochi



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La SEC adotta nuove regole di divulgazione sul clima, ma solo per le grandi società pubbliche. Più trasparenza, ma solo su alcune emissioni. Un timido inizio che però potrebbe favorire le startup AI impegnate nel monitoraggio delle emissioni di carbonio

Pubblicato il 10 apr 2024

Marta Abba'

Giornalista



Trasparenza sulle emissioni

Quando si tratta di norme sul clima, non stupisce che l’Unione Europea risulti la prima della classe, ma anche la Cina ci aveva già pensato, a modo suo. Ora gli Stati Uniti si sono allineati e hanno annunciato a inizio marzo l’arrivo della loro prima regola di divulgazione climatica a livello nazionale.

Nella pratica ciò comporta la definizione di paletti e obblighi di rendicontazione dei gas serra, per alcuni soggetti e in alcune occasioni. Non si può parlare di stretta di mano o di svolta, ma va riconosciuto alla SEC (Security Exchange Commission) di avere almeno messo un punto fermo e ufficiale da cui partire. A muoverla, la sempre più eclatante evidenza che le informazioni relative alle emissioni e al rischio climatico diventeranno dati fondamentali per gli investitori chiamati a valutare le aziende. Presto non accetterebbero più loro per primi di essere tenuti all’oscuro.

I primi “paletti” di un lungo percorso di trasparenza ambientale

Le realtà coinvolte in questo primo passo di consapevolezza sono le società pubbliche che dovranno presto comunicare una parte delle loro emissioni di gas serra e la loro esposizione ai pericoli legati alla crisi climatica.

Tutto questo in due step: dal 2025 avranno l’obbligo di dichiarare se i loro beni sono esposti a rischi a breve e lungo termine riguardanti ipotetiche esposizioni a eventi climatici estremi. Dovranno anche raccontare quanto investono per raggiungere i propri obiettivi climatici, per esempio per acquisti di compensazioni di carbonio o crediti per l’energia rinnovabile. Se considerate di notevole importanza per gli investitori, anche le emissioni di determinati gas a effetto serra dovranno diventare un dato pubblico. Nessun cambiamento rispetto all’esperienza climatica dei membri del consiglio di amministrazione: si potrà continuare a mantenerla nascosta.

A questi primi input a breve termine si aggiungono gli obblighi del 2026, i veri e propri paletti significativi. Le società coinvolte dovranno infatti rivelare le loro emissioni dello scope 1 e 2, ma non quelle dello scope 3. Le prime derivano direttamente dalla combustione di combustibili fossili per realizzare prodotti, guidare veicoli o riscaldare gli edifici. Quelle del secondo scope sono indirette e riguardano solo la domanda di energia ai servizi pubblici. Sono indirette anche le emissioni dello scope 3, quelle che possono non essere dichiarate, e riguardano l’inquinamento generato dalla supply chain e dall’utilizzo dei prodotti/servizi. Questo “sconto” sulla trasparenza deciso dalla SEC è una marcia indietro rispetto al progetto di regola originale che deriverebbe dai feedback pubblici raccolti.

Il rischio di finire “sommersi”

Da quando questa commissione ha aperto ai commenti sulla sua prima bozza di proposta a tema clima, nel 2022, riferisce di averne ricevuti 24.000, una cifra letteralmente mai vista e che ha decisamente impattato sullo sviluppo della norma definitiva. L’idea originaria del governo era per esempio quella di coinvolgere tutte le società pubbliche, obbligandole a tener il conto di determinate emissioni di gas serra e di comunicarle. Alla fine, saranno solo quelle di grandi dimensioni a doverlo fare, una fetta di mercato che rappresenta circa il 60% di tutti i soggetti pubblici nazionali. Libere da ogni vincolo restano quindi numerose aziende, quelle più piccole e le startup: tutte quelle che in un anno fatturano meno di 1,2 miliardi di dollari.

Questo è solo uno dei punti che ha fatto storcere il naso ad alcuni esperti, convinti che la decisione della SEC sia troppo “all’acqua di rose” e possa avere un impatto minimo nel promuovere la trasparenza e la responsabilità.

Si spera nel contributo dell’AI

I sostenitori del clima sono molto preoccupati anche di ciò che si è deciso di fare con le emissioni dello scope 3. Tenendole nascoste non si riuscirebbe infatti a fornire agli investitori le informazioni di cui hanno bisogno per prendere decisioni. Non hanno tutti i torti: guardando i dati di Deloitte questo tipo di emissioni rappresenta oltre il 70% della carbon footprint della maggior parte delle società statunitensi.

Nel suo poco coraggio, la scelta della SEC un vantaggio “sicuro” sembrerebbe però portarlo. Per ubbidire ai pochi obblighi emessi, saranno sempre di più le realtà che avranno bisogno di una mano per il monitoraggio, la contabilizzazione e la gestione delle emissioni di carbonio. Si apriranno quindi molte opportunità di mercato per tutte le startup che se ne occupano e che se ne vorranno occupare.

Sarà un’opportunità anche per lintelligenza artificiale di essere per l’ennesima volta una protagonista tecnologica di traino per l’evoluzione del settore. Essa, infatti, può e potrà fortemente contribuire al potenziamento delle soluzioni attuali, provando a dimostrarsi ancora una volta una valida alleata dell’ambiente. D’altronde, dipende sempre da chi la usa, e dalle intenzioni di chi ci ha investito.

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