It optimization: come prepararsi al cloud

Ottimizzare l’infrastruttura It per evolvere verso il modello virtualizzato “as a service” non significa solo fare scelte di natura tecnologica, ma intraprendere un percorso metodologico strutturato che tenga conto anche di aspetti organizzativi e di processo. Serve in sostanza una “vista business”, un approccio strutturato che, anche a livello architetturale, richiede sforzi non banali. È quanto emerso nel corso dell’Executive Dinner che ZeroUno ha organizzato in collaborazione con VMware e Accenture.

Pubblicato il 09 Mag 2011

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Per realizzare infrastrutture davvero finalizzate all’erogazione di servizi il cui valore impatti sul business servono metodologie e framework per il governo di processo (e di tutte le variabili che ci sono in un progetto di trasformazione). Serve, cioè, una vista “di business” del cloud che consenta di valutare i cambiamenti tecnologici necessari, i passi implementativi, i livelli di gestione e di performance in termini di qualità ed efficacia del servizio offerto.
Potremmo brevemente riassumere così i temi affrontati durante l’Executive Dinner che ZeroUno ha recentemente organizzato in partnership con Vmware ed Accenture, dal quale è emerso con forza già quello che da tempo si sapeva (ma che non è per nulla facile attuare): l’It, per prepararsi adeguatamente al cloud, deve “imparare” a presidiare due ambiti, diversi ma al tempo stesso complementari:
tecnologico, per capire qual è la situazione informativa di partenza e come possono evolvere le architetture e i data center (con la virtualizzazione e il consolidamento server, la virtualizzazione desktop e, infine, quella applicativa), quale controllo dei sistemi è necessario e come cambia la governance generale dei sistemi informativi in un modello cloud orientato ai servizi business value;
organizzativo e di processo, con particolare attenzione ai concetti di governo, automazione, livelli di performance, change management dei processi, messa a punto di nuovi modelli organizzativi industrializzati, qualità dei servizi erogati/attesi.

Che stiamo parlando di un fenomeno tutt’altro che passeggero è chiaro un po’ a tutti ma certo hanno fatto riflettere i dati illustrati da Stefano Uberti Foppa (nella foto, a sinistra), direttore di ZeroUno e chairman della serata. “Secondo uno studio del Cebr (Centre for Economic Business Research) il cloud è un fenomeno macroeconomico con impatti annui sulle economie dei singoli Paesi due o tre volte superiori a una robusta manovra finanziaria; l’adozione generalizzata del cloud computing nelle cinque principali economie europee (Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Spagna) potrebbe generare, secondo questi studi, benefici per 763 miliardi di euro nel periodo 2010-2015. Una cifra enorme quindi (oltre l’1,5% del Pil totale dei cinque Paesi), che per il Cebr è la somma dei benefici del cloud computing legati a miglioramenti di efficienza in aziende già esistenti (128 miliardi), nascita di nuove aziende (215 miliardi), risparmi di costi (141 miliardi) ed effetti indiretti (280 miliardi). Per l’Italia il Cebr prevede benefici per 151 miliardi di euro nello stesso periodo, con un impatto annuale intorno ai 25 miliardi. Dati – osserva Uberti Foppa – che andrebbero certo verificati, ma che danno la misura di riferimento dell’entità del fenomeno”.

Cifre peraltro del tutto coerenti con lo scenario illustrato da Stefano Mainetti (nella foto, a destra), Professore Incaricato di Tecnologie, Applicazioni e Servizi dell’Internet del Politecnico di Milano e responsabile dell’Osservatorio Cloud Computing della School of Management del Politecnico di Milano, che aggiunge come, per l’It, prepararsi al cloud significhi dover fare uno sforzo non banale che, di fatto, vuol dire “cambiare mestiere”. Ovviamente la terminologia è forte e forse anche semplicistica ma ben evidenzia le difficoltà con le quali oggi i dipartimenti It devono scontrarsi e il ruolo determinante che potrebbero avere nel successo o meno delle aziende e del business che “servono”.

Un cambiamento difficile
Un’idea di quali possono essere, da un punto di vista tecnologico, i passi necessari per

preparare ed ottimizzare le infrastrutture It in ottica “cloud oriented”, la propone Luca Zerminiani (nella foto, a sinistra), Systems Engineer Manager di VMware Italia che esordisce chiarendo subito: “La virtualizzazione, da sola, non porta al cloud privato”.

“Il cloud computing – aggiunge Zerminiani – racchiude concetti di on-demand e self-service, elementi che vanno ben oltre la virtualizzazione. Tuttavia, la virtualizzazione e la predisposizione di architetture Soa sono i passi fondamentali per prepararsi tecnologicamente al cloud, basando le infrastrutture su una forte automazione e standardizzazione. In un’ottica cloud, è necessario predisporre il data center (o una porzione di esso) affinché la sua capacità computazionale possa essere garantita in modo sicuro e controllato (e virtuale) direttamente alle line of business che la richiedono (in autonomia), per esempio, per far girare le loro applicazioni di business”.
Raggiungere questo grado di agilità, che permette un time-to-market più ridotto, richiede dunque delle scelte tecnologiche che, secondo Zerminiani, potrebbero seguire un percorso di questo tipo: efficientamento del data center con scelte di consolidamento e virtualizzazione; sfruttamento dell’agilità ottenuta con la virtualizzazione per iniziare a costruire delle private cloud; attivazione attraverso le private cloud dei servizi It a diretto supporto degli utenti (che, come si diceva, possono scegliere da soli l’infrastruttura tecnologica, la capacità computazionale che più si addice alle loro esigenze), che significa predisporre un catalogo dei servizi e un sistema di accesso alle risorse automatizzato.
“Da qui, poi, si può proseguire con l’integrazione di servizi di public cloud, predisponendo tuttavia l’architettura sottostante in grado di accogliere i servizi dall’esterno e, soprattutto, predisponendo un sistema di gestione unificato”, aggiunge Zerminiani.
“Tecnicamente il cloud è molto complesso – osserva Mainetti – e richiede sforzi importanti, sia umani sia economici; preparare le architetture al cloud significa fare degli investimenti iniziali piuttosto ingenti e richiede di superare alcuni ostacoli che fino a oggi non sono stati risolti (problemi come metriche, qualità e livelli di servizio, banda larga e connettività, ecc. sono solo alcuni esempi delle complessità). La sfida tecnologica è legata al concetto di multitenancy [principio di architettura del software in cui una singola istanza del software gira su un server che serve più clienti, i tenants ndr]. In una architettura multi-tenant, un software è progettato per partizionare virtualmente i dati e la configurazione così che ogni cliente/tenant lavora con un’istanza, volendo anche personalizzata, virtuale), ma arrivare ad avere risorse condivise richiede architetture, infrastrutture, impianti applicativi diversi da quelli odierni”.
Un cambiamento, perciò, che non sarà affatto immediato, per il quale è fondamentale identificare un modello strategico di riferimento che, secondo la visione e l’approccio di Accenture, tenga conto di almeno 4 dimensioni: servizi, tecnologie, processi, org

anizzazione.

“Il percorso che abilita un’azienda all’erogazione o alla fruizione di servizi cloud – spiega Paolo Trevisan (nella foto, a destra), Responsabile Cloud del mercato Cht di Accenture – parte proprio dalla costruzione, in senso lato, del servizio. Costruzione che si basa su: identificazione dei servizi e degli utenti, prioritizzazione, analisi del modello e analisi dei costi; disegno della piattaforma abilitante (il disegno stesso sarà guidato dagli elementi del servizio che si vuole erogare/fruire); eventuale integrazione con servizi e tecnologie esterne”.
Entrando poi nel dettaglio del modello di riferimento di Accenture (per altro condiviso durante la discussione dalla maggior parte dei Cio presenti) emerge chiaramente che lo strato tecnologico abilitante fa riferimento al “Next Generation Data Center”, in pratica un modello che, attraverso la standardizzazione architetturale, la virtualizzazione e la costrizione up-front delle server farm (server, storage, network, ecc.), garantisce velocità di attivazione e flessibilità/agilità/sicurezza dei servizi erogati.
Altro passo tecnologico da prevedere è la predisposizione della piattaforma cloud di riferimento per l’erogazione/fruizione dei servizi (che può essere interna o esterna) ma che, comunque, presuppone la condivisione di dati (catalogue & technical data) “nel rispetto degli standard di processo e dei l

ivelli di servizio”, osserva Trevisan.

Ed è proprio sui processi che interviene Corrado Rebecchi (nella foto, a sinistra), Responsabile Infrastructure e Cloud Computing di Accenture, sottolineando l’importanza di un framework di riferimento “sia per identificare e ottimizzare le efficienze interne sia per supportare il disegno delle piattaforme da abilitare (per erogare servizi o per fruirne)”.
“L’introduzione del paradigma dei servizi cloud – evidenzia ancora Trevisan – comporta modifiche al livello organizzativo sia in termini di ridisegno delle responsabilità a supporto dei processi, sia di competenze sulle specifiche strutture coinvolte. Le decisioni vanno quindi prese solo dopo aver valutato e predisposto adeguatamente il percorso, per evitare pericolosi salti nel vuoto”.

“Il cloud computing presuppone il ready to use – interviene Enrico Frascari (nella foto, a destra), direttore It di Seat Pagine Gialle -. E il ready to use, all’interno delle aziende ancor più che nel mondo consumer dove l’adozione al cloud è più semplice e meno rischiosa, significa avere alla base non solo le tecnologie pronte per accogliere i servizi cloud dall’esterno (oppure per erogare all’utenza business servizi di private cloud), ma anche processi standardizzati (e quanto più automatizzati possibile) che governino tali servizi, in modo che siano esattamente ‘pronti all’uso’, senza l’intervento dell’It, quando l’utente aziendale ne fa richiesta (o l’It aziendale ne fa richiesta ad un public cloud provider). Ed è forse questa la complessità maggiore”.

Quanta complessità…
L’interesse verso il cloud computing non manca ma l’atteggiamento comune delle aziende, così da quanto emerge dalle dichiarazioni dei Cio e dei responsabili It intervenuti durante il dibattito, s

embra essere la prudenza. “Siamo attenti osservatori del fenomeno e stiamo già utilizzando alcuni servizi di tipo public cloud – dice per esempio Enzo Capra (nella foto, a sinistra), responsabile Ict group services di Ferrero -. Fino a questo momento la tematica portante del dipartimento It è stata l’ottimizzazione, che per noi si traduce in dinamicità a costi contenuti. Elementi forti del cloud, certamente, ma con investimenti inziali piuttosto pesanti. Ciò che più ci ‘spaventa’ tuttavia, è la complessità (legata al cambiamento tecnologico, in prima battuta, e poi di gestione degli ambienti); motivo per cui siamo in una fase embrionale del private cloud e procederemo per piccoli passi”.

La complessità tecnologica è il primo scoglio per molte realtà. Lo conferma Anna Miseferi (nella foto, a destra), responsabile servizio architetture, partnership sicurezza e networking, di Banca Intesa Sanpaolo: “La nostra realtà è già abbastanza avanti a livello di Infrastructure as a Service, resosi necessario per servire adeguatamente tutto il circuito delle banche nazionali ed estere in modo agile e veloce. Ma gli elementi di complessità non sono mancati: automazione e standardizzazione degli ambienti di sviluppo, benché di valore, non sono stati facili da raggiungere”.
Automazione e standardizzazione sono parole riecheggiate più volte nel corso del d

ibattito perché, benché elementi tecnologici di valore, non sono così facili da raggiungere. “Fino ad oggi abbiamo lavorato per fornire dei servizi ad hoc – porta ad esempio Auke De Haan (nella foto, a sinistra), consulente It infrastructure di Bt Italia -, il cloud cambia drasticamente questo approccio perché presuppone servizi standard. La difficoltà maggiore, per l’It, è quindi trovare la linea di confine tra il servizio offerto (standard) e quello richiesto (ad hoc)”.

Secondo Marco Tosi (nella foto, a destra), infrastructure e facility manager di Ubi Banca, “le infrastrutture hardware sono facilmente automatizzabili e già sufficientemente standardizzate; per cambiare marcia e portare l’It vicino al concetto ‘as a service’ serve un impianto applicativo diverso. E portarlo vicino ai concetti di cloud è ancora poco realiz

zabile”.

D’accordo con questa visione Claudio Tancini (nella foto, a sinistra), It operation manager di Zurich Insurance Company, che però aggiunge: “Le applicazioni legacy richiedono certamente sforzi maggiori, ma sul ‘nuovo’, se le architetture sottostanti sono pronte, non è difficile raggiungere lo status di ‘It as a service’. Noi, per esempio, siamo già orientati a questo tipo di approccio e il mestiere dell’It, oggi, è quello di scegliere i servizi migliori adatti a

noi e preparare adeguatamente le architetture per usufruire (ed erogare ai nostri ‘clienti’) questi servizi”.

“Di fatto, il cloud computing sta portando con sé cambiamenti epocali – interviene su questo punto Nicola Demattia (nella foto, a destra), System Integrators Manager di VMware Italia – dato che i big vendor stanno già lavorando da diverso tempo per cambiare il paradigma su cui le applicazioni sono state scritte fino a oggi”.

Corresponsabilità: anche i vendor devono cambiare
Dato che la complessità e le difficoltà di cambiamento rappresentano dei freni concreti, il ruolo dei vendor assume un significato più che mai strategico. “Il cloud computing promette un qualcosa che, oggi, non è ancora possibile ottenere – critica Mainetti -. Il risparmio promesso dal cloud, per esempio, esiste solo se c’è già pronto lo strato tecnologico. E se questo non lo è, sono necessari investimenti importanti per l’adeguamento. Ecco perché servono, in q

uesta fase inziale, vendor con le ‘spalle grosse’ che abbiano una capacità di spesa tale da farsi carico degli investimenti necessari per preparare la strada”.

Visione pienamente condivisa da Alberto Bullani (nella foto, a sinistra), Regional Manager di VMware Italia che sottolinea come anche per i player It il cloud ‘imponga’ un cambio nel modello di business: “In un futuro, forse nemmeno così lontano, vedo realtà come la nostra diventare dei partner tecnologici dei service provider con una conseguente revisione organizzativa (oggi oltre l’80% del business VMware è generato dall’ecosistemza dei partner della multinazionale che lavorano con le aziende; avere come clienti degli It service provider richiede alcune revisioni nel modello di go-to-market e dei programmi di canale). Già oggi ci stiamo muovendo verso la scelta di nuove competenze e nuovi skill in grado di comprendere le dinamiche evolutive del mercato (capire cioè il mutamento degli It service provider e quali sono, e saranno, le loro esigenze in termini tecnologici e infrastrutturali)”.
“Si parla senz’altro di un fenomeno che, seppur ancora ‘nebuloso’ nel suo divenire e ancora lontano dalla curva di maturità – aggiunge Uberti Foppa – avrà un innegabile impatto sull’It aziendale e sul modello di business di go-to-market dei vendor It. Un impatto che dovrebbe oggi essere governato proprio dai vendor con un approccio di corresponsabilità e condivisione”.
Elemento importante emerso durante la tavola rotonda, infatti, è l’importanza dei vendor e di un ecosistema di partner governato con modelli di go-to-market orientati sia alla padronanza tecnologica sia alla reale conoscenza del business degli utenti, con competenze di change organizzativo e tecnologico utile (e oggi necessario) a guidare il processo di trasformazione dell’It “as a service”.


L'approccio al cloud di VMware
Secondo VMware, la virtualizzazione è il principale catalizzatore per il passaggio al cloud computing. In qualità di provider globale nel settore della virtualizzazione, quindi, VMware fornisce soluzioni basate sulla virtualizzazione per la realizzazione di infrastrutture cloud e la loro gestione. VMware, propone, inoltre, una piattaforma applicativa per il cloud e l’end-user computing, avvalendosi, tra l’altro, anche di collaborazioni con fornitori quali come Bluelock, Colt, SingTel, Terremark e Verizon, per lo sviluppo di nuovi servizi per data center VMware vCloud, ossia servizi cloud ibridi di classe enterprise, che si basano su un’architettura sviluppata da VMware.
Tre i passaggi chiave, secondo VMware, per prepararsi al cloud: la prima attività consiste nel virtualizzare la maggior parte dell’ambiente aziendale, comprese le applicazioni critiche; la seconda fase deve trasformare il reparto It in un provider di servizi interno (che significa esporre i servizi It agli utenti interni tramite portali basati su web come servizi su un catalogo completamente automatizzato); il terzo passaggio è creare e utilizzare un cloud privato per ottimizzare l’efficienza e l’agilità dell’infrastruttura It, in modo da potersi eventualmente aprire, successivamente, a soluzioni pubbliche/ibride.


Il framework di Accenture
Esplorare le potenzialità del cloud, dalla valutazione iniziale dei benefici fino all’avvio dei progetti, riducendo i rischi. È questo il modello di riferimento utilizzato da Accenture per aiutare le aziende ad avvicinarsi al cloud e a rendere concreti i progetti. Il percorso che abilita un’azienda all’erogazione e/o alla fruizione di servizi cloud, secondo l’approccio di Accenture, tiene conto di quattro dimensioni differenti ma complementari: tecnologia abilitante, piattaforma cloud di riferimento, processi e organizzazione.
In particolare, Accenture propone un framework, chiamato Cloud Computing Accelerator, che permette alle aziende di definire a priori alcuni parametri indicativi che faranno poi da guida alla realizzazione dei progetti di cloud computing. La metodologia, già consolidata presso diverse realtà aziendali, di fatto aiuta a identificare le risposte alle tipiche domande quali: da dove cominciare? Quali sono i rischi? Quali le opportunità? Quali le riduzioni di costo? In quanto tempo? Quali applicazioni saranno coinvolte? Come spostarle sul cloud? La mia infrastruttura applicativa è pronta? Quali sono i vincoli normativi?
Il framework, inoltre, è reso veloce e preciso grazie a strumenti tecnologici proprietari messi a punto da Accenture, come il Cloud Computing Assessment Tool.


I protagonisti dell'evento ZeroUno
Questi i nominativi dei manager che hanno partecipato all’Executive Dinner di ZeroUno:

Alessandro Battilani, Referente Programma Technical
Architecture di Banca Intesa Sanpaolo
Alberto Bullani, Regional manager Italy and Greece
di VmWare
Italo Candusso, Ict manager di Bomi Italia
Carlo Capalbo, direttore Tecnologie Informatiche
di Il Sole 24 Ore
Enzo Capra, responsabile Ict Group Services di Ferrero
Andrea Cardillo, Senior Manager Information Security
Management di Accenture
Roberto Contessa, Ict manager di Fratelli Branca
Distillerie
Auke De Haan, consulente Infrastrutture It di Bt Italia
Nicola Demattia, System Integrators manager
di VmWare Italia
Marco Fossati, Senior Executive Growth Platform
Techonology di Accenture
Enrico Frascari, direttore It di Seat Pagine Gialle
Alessandro Fronte, senior manager di Accenture
Renato Mafezzoni, Tesoriere di sezione di Adaci
Anna Miseferi, responsabile Servizio Architetture
Partnership Sicurezza e Networking di Banca Intesa
Sanpaolo
Van Danh Nguyen, Data Manager di Ipas Research
Claudio Rasoira, responsabile Organizzazione IT di Icss Packaging
Corrado Rebecchi, responsabile Infrastructure
e Cloud Computing di Accenture
Monica Ruocco, It Tlc Administration coordinator
di SKY Italia
Claudio Tancini, It Operation manager di Zurich
Insurance Company
Marco Tosi, Infrastrutture e Facility manager
di Ubi Banca
Paolo Trevisan, responsabile Cloud del mercato Cht
di Accenture
Emanuele Turra, Cio di ZF Marine Group
Luca Zerminiani, Systems Engineer manager
di VmWare Italia

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