Intel Silicon Photonics: una nuova frontiera

Il gigante dei microprocessori si prepara a immettere sul mercato una tecnologia che rivoluziona l’architettura dei sistemi e il disegno e le prestazioni dei data center. È probabile che se ne vedano gli effetti prima di quanto si possa pensare. Vediamo come funziona e gli impatti, profondi, sul mondo dei vendor.

Pubblicato il 15 Gen 2015

Vi sono innovazioni tecnologiche annunciate con anticipo e con clamore e altre che invece si sviluppano silenziosamente fino a quando qualcuno non decide sia giunto il momento di affrontare il mercato e la concorrenza. Quella di cui ora parliamo appartiene a questa seconda categoria, ed è la tecnologia Silicon Photonics, che Intel sviluppa da più di dieci anni (la prima notizia ufficiale apparve su Nature il 17 febbraio 2005) ma che ancora oggi la pubblicistica per l’industria dei microprocessori (Semiconductor Today, 18 luglio 2014) definisce “vicina” alla realizzazione di prodotti. Questa prudenza nasce dal fatto che è una tecnologia di “rottura”, che cambia l’architettura dei sistemi e può stravolgere quella dei data center andando a incidere in un mercato dove Intel ha il suo core-business. Nel 2012 però, il colosso di Santa Clara ha deciso di uscire allo scoperto e ha costituito il Silicon Photonics Solutions Group per portare il progetto in produzione, ritenendo di avere abbastanza vantaggio sui concorrenti per poterlo fare senza rischiare troppo. Da allora notizie di traguardi e risultati hanno cominciato a circolare, prima nel mondo tecnico-scientifico e ora anche in quello dell’It al servizio del business al quale apparteniamo.

Jeff Demain – direttore delle Strategy and Business Initiative degli Intel Lab, nonché del Business development del Silicon Photonics Group

Ma che cos’è la tecnologia Silicon Photonics? E perché può cambiare il mondo dei sistemi e delle infrastrutture It?

Per rispondere alla prima domanda diciamo che si tratta di una soluzione complessa (vedi box) che combina fenomeni fisici noti, ma mai sfruttati prima, e tecnologie di processo molto avanzate per realizzare, usando gli stessi impianti produttivi dei microprocessori, dispositivi ibridi ottico-elettronici capaci di convertire un segnale elettronico binario in un segnale ottico modulabile secondo un’ampia gamma di valori.

Per rispondere alla seconda, ci viene in aiuto Jeff Demain, Business Development Director del Silicon Photonics Solutions Group di Intel, che abbiamo di recente incontrato a Milano in un’intervista esclusiva in occasione di un suo tour presso le filiali europee della Corporation.

“Negli ultimi anni la velocità e la capacità dei processori è aumentata molto più velocemente della velocità e capacità di trasmissione dati tra Cpu, Ram, sistemi di input/output e storage diretto, con il risultato che il networking è il collo di bottiglia delle prestazioni dei sistemi. Gli elettroni viaggiano veloci, ma non abbastanza per le nuove esigenze, come ad esempio l’analisi in tempo reale dei big data. Ci sono tre modi di accelerarne la velocità: aumentare la tensione, diminuire la resistenza, accorciare il percorso; ma tutti e tre hanno dei problemi. Per aumentare la tensione consumo più energia, per diminuire la resistenza ho bisogno di cavi più grossi, per accorciare il percorso devo miniaturizzare e addensare i componenti, che è quello che oggi si fa ma che costa molto e crea a sua volta nuovi problemi. Facendo viaggiare i fotoni al posto degli elettroni questi limiti scompaiono”, ha spiegato Demain.

ZeroUno: Possiamo dire, semplificando, che le soluzioni Silicon Photonics fanno per il networking di sistema quello che le fibre ottiche hanno fatto per Internet?

Jeff Demain: Esattamente. Portiamo nei sistemi la tecnologia delle connessioni a lunga distanza. Ma facciamo anche di più, perché oltre a rompere i limiti di velocità nella trasmissione dati, la rete ottica permette di separare gli elementi del sistema. L’applicazione più immediata e anche più interessante è nella connessione tra Cpu e storage diretto a livello data center: diventa facile scalare orizzontalmente aggiungendo risorse e si risparmia energia perché i fotoni non devono essere ‘spinti’ dalla tensione né vi sono cavi in rame che scaldano. Su queste cose c’è un importante contributo di Facebook [con la quale Intel ha stabilito una partnership tecnologica – ndr] nel ruolo di tester e developer della tecnologia, ma anche sul modello di business, essendo una società che fa business sull’infrastruttura.

ZeroUno: Ma non ci sono inconvenienti o nuovi problemi?

Demain: La fibra ottica esige grande attenzione nella protezione da polvere e graffi, ma la Corning [partner Intel nel progettare e produrre cavi e connettori, ndr] sta lavorando a questa problematica. Forse il problema maggiore sta nel software di gestione e orchestrazione dell’infrastruttura, i cui strumenti devono evolvere per poter rispondere alla facilità di riorganizzare le risorse fisiche di un sistema disaggregato. Ma sono certo che ci si arriverà e in ogni caso – conclude sorridendo Demain – non dipende da noi”.


Elettroni e fotoni: insieme per l’It

La tecnologia Silicon Photonics usa il silicio monocristallino come mezzo ottico per la trasmissione dei segnali. Mentre sia il vetro sia le materie plastiche dei componenti ottici sono fisicamente dei liquidi ultra-densi dalla struttura amorfa e pertanto vanno modellati nella loro massa per assumere la forma voluta, la struttura a reticolo continuo del silicio monocristallino usato nell’industria elettronica come substrato dei semiconduttori si può modellare a livello nanometrico (milionesimi di millimetro). Diventa quindi possibile costruire, con gli stessi impianti per la produzione dei comuni microcircuiti, dei dispositivi ibridi nei quali componenti ottici ed elettronici sono integrati su un solo microchip. In questi dispositivi la modulazione dei segnali ottici sfrutta fenomeni non lineari, come l’effetto Kerr, relativi alla propagazione della luce nelle sostanze trasparenti isotrope (come sono vetro e plastiche, ma come è anche il silicio monocristallino) in presenza di cariche elettriche. La non-linearità dei fenomeni sfruttati è fondamentale perché fa sì che gli impulsi luminosi monocromatici generati da microlaser che fungono da ‘onda portante’ possano interagire in modo controllato sotto lo stimolo di impulsi elettronici che ne cambiano la lunghezza d’onda e permettono di instradarli in base appunto alle frequenze in uscita. Il chip ibrido può quindi tradurre un segnale elettronico binario (on-off) in un segnale fotonico modulabile in tanti livelli quante sono le lunghezze d’onda nelle quali i componenti ottici possono scomporre e instradare la luce in ingresso.


Se Intel dà il via, Fujitsu è già pronta

Nel 2013 Fujitsu, che ha da tempo una partnership tecnologica privilegiata con Intel, è stato il primo costruttore hardware a presentare un sistema, realizzato come ‘proof of concept’, dove Cpu e storage diretto (non Nas né San) erano separati e posti a diversi metri di distanza grazie a connessioni ottiche e adattatori in tecnologia Silicon Photonics. Nel luglio 2014, in occasione della presentazione a Londra degli Integrated Systems (vedi articolo Soluzioni e servizi per una nuova Fujitsu che sono basati su server Primergy con architettura Intel 64, la casa giapponese ha annunciato d’essere pronta ad adottare questa tecnologia nei nuovi sistemi, realizzando macchine integrate logicamente, ma fisicamente disaggregate.

“I limiti nella capacità di trasferimento dati tra Cpu, Ram, I/O e storage diretto – ha detto Alfons Michels, Senior Product Marketing Manager di Fujitsu – fanno sì che la scalabilità dei sistemi oggi sia legata al fattore di forma. La tecnologia ibrida ottico-elettronica, che oggi è ancora agli inizi ed è suscettibile di ulteriori progressi nell’innalzamento delle frequenze e nel multiplexing [più frequenze sulla stessa fibra, con incremento dell’ampiezza di banda, ndr] apre, con la separazione fisica dei componenti di uno stesso sistema, nuove strade ai progettisti di data center”. Michels non ha dato una roadmap: “Dipende da quando e come Intel avvierà la produzione industriale dei componenti – ci ha detto – ma la collaborazione con Intel è tale per cui quando sarà il momento saremo certamente i primi a poterlo fare, e con un largo margine sulla concorrenza”. In effetti, oltre a Fujitsu, anche Nortel Networks e Marconi risultano aver acquistato nell'anno quantità significative dei componenti di cui si parla, ma la casa giapponese è la sola ad oggi averne testato l'uso al di fuori del campo delle telecomunicazioni.

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