Ginni Rometty, Ibm oggi e domani

Incontro con il top executive vice president global business services di Ibm, Riporto diretto del Ceo Sam Palmisano. Per parlare di tecnologia, organizzazione, vision di Ibm e business transformation dei clienti

Pubblicato il 28 Lug 2008

MILANO – Questa volta siamo arrivati vicino al vertice. E trattandosi di Ibm non sono frequenti le occasioni per arrivarci, dalla lontana Italia. Stiamo parlando dell’incontro avuto, poco tempo fa, con Ginni Rometty,  Senior vice president Ibm Global Business Services, un executive manager che riporta direttamente al chairman Sam Palmisano. Rometty è la numero tre nell’organigramma di Big Blue e con un’esperienza di primo piano nella gestione e sviluppo di progetti e persone. È stata infatti in passato Managing Partner di Business Consulting Services dove si è occupata della formazione di un vastissimo team di consulenti focalizzati nella business transformation attraverso le tecnologie Ict. E prima ancora General Manager di Ibm Global Services regione Americhe guidando, come responsabile della leadership strategica, delle operations e delle relazioni con i clienti, un gruppo di oltre 75.000 persone.
Laurea, naturalmente “cum lode”,  in Elettrotecnica e Informatica alla Northwestern University, Rometty è stata negli ultimi tre anni nella classifica di Fortune delle “50 most powerful women in business” nonché, nel 2002, in quella di Time dei “Global Business Influential”.
Tutta questa presentazione per dire che, andando finalmente alla fonte, si possono cogliere informazioni di prima mano e dichiarazioni di posizionamenti chiari che in un’area di primissimo piano per il business di Ibm, come è oggi quella dei servizi applicativi, consulenziali e di system integration  erogati dalla Global Business Services (Gbs), è davvero utile fotografare. E francamente è utile anche per capire come le aziende utenti si stanno muovendo visto che la Gbs di Ibm è la più grande organizzazione mondiale di consulenza, con oltre 60.000 persone in 160 paesi e che contribuisce per il 55% all’intero fatturato di Ibm.  Incontrare Rometty è quindi incontrare un top executive con un punto di osservazione privilegiato su alcuni dei macro fenomeni di cambiamento che stanno impattando le aziende utenti oggi, alle prese con i più svariati progetti di implementazione e innovazione ai quali Ibm GBS risponde con soluzioni di strategy & change, Crm, Scm, gestione Hr, innovation in area gestione sviluppo e integrazione applicativa, servizi offshore e numerose altre tipologie di solution e system integration nei principali settori merceologici.
La domanda più banale è anche la più difficile a cui rispondere: Cos’è oggi Ibm dopo le diverse fasi in cui l’azienda, dall’etichetta (e dalla strategia di offerta) di fornitore soprattutto di ferro (i mainframe) che rischiava, ormai anni fa, di stritolarla, si trova oggi, dopo il passaggio di alcuni Ceo che l’hanno profondamente trasformata (ancora oggi si recitano preghiere di ringraziamento a Lou Gerstner) ad essere ancora e sempre di più sulla frontiera dell’innovazione dei modelli di business e di go-to-market nonché riconosciuta dagli utenti in quel ruolo di partner globale che vanno sempre più ricercando? “Ibm è oggi chiaramente una solution company – esordisce Rometty – e si afferma in questo ruolo riuscendo ad offrire infrastrutture, tecnologie e business services, nonché software abilitante, ai clienti alle prese con continui cambiamenti di scenario competitivo al quale rispondere con una capacità di innovare processi, modelli e prodotti. Noi cerchiamo di continuo di saper offrire servizi e soluzioni ad alto valore attraverso una nostra continua costruzione di skill interni e attraverso acquisizioni. Mantenendo una visione globale dei problemi di business degli utenti attraverso una dimensione globalizzata della stessa Ibm. Oggi siamo presenti in modo significativo nei mercati ad alto tasso di crescita,  i paesi Bric (Brasile, Russia, India, Cina), e oltre il 60% del nostro business proviene ormai  dal worldwide (il 40% dagli Usa). In questi mercati che crescono a due digit, dobbiamo essere pronti a muovere i giusti skill”.

Integrare modelli locali con un global network di competenze
Già, ma come? Cosa vuol dire essere una integrating company su scala mondiale? Come supportare le esigenze competitive delle aziende di quello specifico paese? “Bisogna essere in grado – dice Rometty – di ottimizzare gli elevati skill che disponiamo a livello mondiale cercando di realizzare meccanismi che favoriscano la condivisione di conoscenza e quindi la circolarità delle diverse competenze e soluzioni presenti nelle varie realtà Ibm sparse sul pianeta (ad esempio, proprio in Italia, abbiamo un “centre of excellence for banking”). Non dimentichiamoci che a livello di software, servizi e skill di ricerca ben pochi sono in grado di poter competere con la nostra offerta.  Ma un conto è avere persone in un paese per vendere prodotti; un altro è essere parte integrante di quel paese, creando forza lavoro, riuscendo a integrare modelli e conoscenza locale con un global network di competenze e di servizi che è in grado di fare la differenza. Serve attivare modelli organizzativi e i giusti talenti per sfruttare in modo positivo la globalizzazione dei mercati e la dimensione globale di Ibm. L’obiettivo è quello di aiutare le imprese nella ristrutturazione dei loro processi per supportarle nel percorso di innovazione e business transformation che necessariamente stanno compiendo. Tenendo presente – continua il manager Ibm – le loro primarie esigenze di aumento di produttività attraverso l’evoluzione del loro patrimonio da salvaguardare e valorizzare, quelle mission critical applications su cui basano buona parte del loro business”. Facile a dirsi. Ma se pensiamo alla parcellizzazione delle organizzazioni e delle strutture di vendita di Ibm, necessariamente ripartite secondo numerosi criteri di prodotto, di mercato, di altro ancora, come razionalizzare questo puzzle per presentarsi in una reale dimensione di partner agli occhi dei clienti e non, l’ennesima volta, come fornitore focalizzato sul business della propria business unit magari in antitesi con un’altra?
Rometty è conscia della difficoltà della gestione del “puzzle”. Fare business trasnsformation significa anche saper proporre un modello di go-to-market efficiente ed efficace. Ma dalla sua dimensione di top executive non può far altro che rendere visibili le guidelines di questo modello di relazione Ibm-clienti in costante affinamento.

Saper articolare le competenze. Anche per la pmi
“Dobbiamo andare dal cliente con un team di persone che rappresenti le diverse unit in funzione del problema che abbiamo discusso e identificato con l’utente stesso. Aggiungendoci la profonda conoscenza del mercato di riferimento in cui il cliente compete e che dobbiamo possedere. Per poi far leva sulle competenze e le soluzioni sviluppate nella dimensione mondiale. Ibm applica tecniche di supply chain per gestire i talenti, perché oggi la competenza e i talenti differenti per segmenti diversi è sempre più un valore. Dobbiamo saper articolare le competenze e dare risposte puntuali. Anche, naturalmente, su dimensioni di impresa media e medio piccola, alla quale dobbiamo dare risposte di servizi e soluzioni che tengano conto delle loro esigenze organizzative e di business. Ibm è il numero uno nel middle market ma il market share è a “one digit”. Si tratta dunque di un mercato molto frammentato, al quale bisogna saper portare soluzioni facili da implementare, abbastanza replicabili, con un forte “engagement” con i partner locali che devono però essere capaci di trasferire nella dimensione locale le enormi competenze disponibili a livello worldwide in Ibm. Questa è una chiave di lettura importante nei confronti dei partner e della loro capacità di portare innovazione al cliente finale”.
E poi il il top executive deve scappare, deve prendere l’aereo per continuare questo suo tour de force europeo. Ma c’è tempo per un’altra considerazione, più di scenario: Qual è la visione Ibm sul tema, all’orizzonte, di una fruibilità di servizi e soluzioni Ict sempre più scaricabili dalla rete (modello Google), e quindi l’avvicinarsi di un paradigma di “consumo dell’It” al bisogno, sempre più vicino alla fruibilità della corrente elettrica (utiliy computing)?
“È una visione interessante che oltre ad essere al centro oggi di un dibattito di carattere tecnologico e architetturale (tutto nella “nuvola” rappresentata dal web – cloud computing – ndr) prefigura valutazioni importanti sul fronte del cambiamento del modello organizzativo e di fruibilità tecnologica e quindi di capacità innovativa delle imprese utenti. È un dibattito che si sta aprendo. Però voglio sottolineare una cosa: Ibm è certo impegnata moltissimo sul fronte degli standard, del concetto di open e di condivisione (sharing). Ma non si può rendere commodity ogni cosa. Non dobbiamo dimenticare che spesso le innovazioni si misurano non per se stesse ma soprattutto per la capacità di applicarle. E in questo Ibm da sempre gioca un ruolo di primo piano”.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati