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Convenienza del Saas, flessibilità dell’hybrid cloud: l’Active Intelligence di Qlik guarda al futuro

È il momento di passare dalla contemplazione degli insights alle azioni che i dati suggeriscono di compiere, ma è anche il momento di investire in cloud affidandogli almeno una parte dei propri dati quando è conveniente. Sono due strade percorribili contemporaneamente? Possono sorgere delle criticità, ma con il supporto di soluzioni innovative le aziende possono fare un notevole balzo in avanti diventando più data driven e valorizzando gli investimenti cloud compiuti e pianificati. Ne parla a ZeroUno Giorgio Dossena, Presales Manager di Qlik

Pubblicato il 10 Gen 2022

Qlik Forts

L’ormai diffusa e consolidata consapevolezza che possedere tanti dati non basta, unita al desiderio e all’intenzione, più o meno trasformata in azione a seconda dei casi, di cogliere i vantaggi del cloud, fa muovere le aziende alla ricerca di nuove soluzioni per valorizzare il proprio patrimonio informativo. Soluzioni che oggi devono mostrarsi concrete e al passo coi tempi, ovvero adatte alle data architecture del domani.

In uno scenario di generale incertezza, l’intraprendenza delle organizzazioni che hanno il coraggio di compiere un cambiamento radicale in tal senso per diventare data driven di fatto, può essere premiata dal mercato, ma servono tecnologie e strumenti adatti a supportarla che sappiano inserirsi nel suo processo generale di crescita.

Oltre la business intelligence, per passare all’azione data driven

Dopo anni di indottrinamento sull’importanza dei dati, sono poche le organizzazioni che ancora non ne hanno colto il valore, ma sono molte quelle che ancora non riescono a trasformarlo in risultati concreti, leggibili anche sul bilancio semestrale.

Le attuali strategie di business intelligence spesso affidano all’utente l’ultimo step, quello che permette di trasformare gli insights in azioni strategiche. A seconda delle esperienze e della proattività dei singoli, quindi, si può vedere o meno un impatto dei dati sul business e, guardando al livello medio di data literacy della forza lavoro, c’è il grosso rischio di lasciare senza finale il lavoro di valorizzazione dei dati intrapreso. L’alternativa potrebbe essere quella di lasciare tutto nelle mani di data specialist, alternativa non valida perché non saprebbero cosa “chiedere ai dati” per soddisfare le esigenze di un utente che li interroga per avere di volta in volta precise risposte inerenti al suo campo di azione.

Dato che il reale potenziale dei dati non sta nell’averne accesso, ma nelle decisioni e nelle azioni che vengono prese a partire dalle conoscenze che gli stessi forniscono, l’impressione potrebbe essere quella di essere incappati in una strada senza uscita dopo i primi entusiasmi data driven. Ma non è così, solo va trovata la volontà di compiere un ulteriore step nella propria strategia e passare a quella che Qlik definisce Active Intelligence. “Fermarsi all’individuazione di KPI di vendita o di metriche sulla supply chain non porta a nulla, oggi le piattaforme devono avere la capacità di attivare processi a fronte di sollecitazioni proveniente da dati e spingere le persone a intraprendere azioni consapevoli e concrete” spiega Giorgio Dossena, Presales Manager di Qlik, definendo l’elemento attivo “imprescindibile” per qualsiasi data strategy.

Tale passaggio richiede sì alle aziende un ennesimo cambio di mindset, ma apre nuovi scenari ricchi di opportunità. Invece di interrogare una dashboard affollata e a volte criptica, un manager riceverà una notifica di modifica dei dati all’interno del gestionale e il suggerimento di un’azione che deve solo approvare. Nel campo della RPA (robot process automation), oltre a presentare i dati in modo accattivante ai decision maker, si potranno attivare in modo automatico o semi automatico alcuni processi anche su piattaforme di marketing, oppure su CRM o sistemi di dati esterni, affinché le informazioni ricavate possano avere impatti sul business.

Residenza dei dati e costo delle query: il cloud ibrido complica gli analytics

Con l’Active Intelligence si prospetta un’evoluzione significativa nel campo degli analytics che regala una nuova opportunità all’enorme quantità di dati raccolti e conservati dalle aziende, ma finora poco sfruttati. La sfida non si limita però all’aggiungere questo ultimo miglio proattivo al processo, perché questo step, come tutto ciò che riguarda servizi legati al dato, deve per forza tenere conto della migrazione al cloud che le organizzazioni stanno attuando, pianificando, immaginando o almeno valutando.

Oggi si può affermare con che il mercato del cloud sia entrato nell’era ibrida e multicloud: non solo nel 2021 la spesa delle aziende è aumentata del 16%, secondo l’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano, ma le grandi aziende italiane utilizzano in media anche fino a 5 differenti cloud provider: “Per scelta strategica o per obblighi interni o normativi, molte aziende hanno scelto un approccio di hybrid cloud e multi-cloud distribuendo i propri dati nel CED e on premises, ma affidandoli anche a provider di cloud pubblici e privati per evitare il rischio lock-in – spiega Dossena – in questo nuovo scenario nel momento in cui implemento servizi di analytics in cloud mi devo porre il problema della residenza del dato. I dati relativi possono finire infatti in un server anche fuori confine, di cui non conosco la localizzazione con nessuna certezza sul livello di compliance conservato. Se i dati non sono già in cloud e non lo possono essere, questo rappresenta una forte criticità anche per tutti gli eventuali servizi di valorizzazione dei dati che un’azienda vuole attivare”.

Il rischio a cui si va incontro è quello di una frammentazione della strategia data driven dal momento in cui non può essere applicata in modo compatto su tutto il patrimonio informativo di un’azienda in modo libero, trasversale e armonico. Anche gli analytics stessi perdono efficacia e non possono estrarre insights significativi per suggerire e attivare “next step” strategici basati sui dati.

Il cloud, con tutti i suoi vantaggi, non solo sembra aver “rotto le uova nel paniere” a chi puntava sull’Active Intelligence per vedere risultati di business legati ai tanti dati raccolti, ma può impattare fortemente sul costo delle query che, con una maggiore velocità degli insights, possono davvero alzarsi notevolmente

L’impennata di adozioni di data warehouse e data lake nel cloud registrata da Gartner tra il 2020 e il 2021 ha aperto alla possibilità di interrogare direttamente grandi quantità di dati in tempo reale. Uno straorhdinario nuovo strumento di esplorazione, ma che porta con sé il concreto rischio di veder aumentare i costi e peggiorare le performance delle query. Gli analisti di Gartner prevedono che entro il 2023 il 50% dei clienti dei servizi cloud pubblici registrerà costi crescenti e vedrà fallire progetti a causa di una cattiva gestione. Per evitare di essere in quella metà di mondo che potrebbe quasi rimpiangere il passaggio al cloud è necessario adottare un approccio alla gestione dei dati e alle analytics basato sui requisiti di frequenza e latenza. Lato data integration, si può valutare tra l’unione e l’aggiornamento continuo dei dati, molto costosi, e una più economica visualizzazione aggregata, mentre, lato analytics, tra preziose query in real time e una veloce e meno dispendiosa esplorazione in memoria.

La sfida per le aziende è quella di comprendere come eseguire le query giuste nella posizione giusta, sempre “tenendo sotto controllo il costo di un servizio di query ‘a fisarmonica’ – aggiunge Dossena – in grado quindi di scalare a seconda delle esigenze, in tempo zero, fornendo una user experience omogenea a coloro che interrogano i dati, anche se tutti nello stesso momento”. Un particolare da non trascurare nello stendere il business case cloud, secondo Dossena, è il costo del traffico di rete: “Quanti dati sposto mentre faccio le query? In alcuni casi tale servizio viene fatto pagare a parte dai service provider e ciò può comportare una deriva importante dal punto di vista delle spese. Il cloud offre molte opportunità, ma ha pro e contro, e i contro vanno ben delimitati”.

Giorgio Dossena, Presales Manager di Qlik

Analytics in Saas ma i dati restano dove sono: l’Active Intelligence di Qlik evolve

Non si tratta di evitare il cloud e di chiudere le porte all’innovazione: il guardare con attenzione al loro impatto su alcuni processi come quello degli analytics, e più in generale sull’utilizzo dei propri dati, spinge le aziende a cercare le soluzioni più adeguate a cogliere tutti i pro e minimizzare i danni dei contro citati da Dossena. Anche chi le costruisce, come Qlik, si è trovato di fronte ad una simile scelta.

La sua piattaforma cloud di analytics e di data integration end-to-end in tempo reale per il passaggio all’Active Intelligence mostra tutti i vantaggi tipici del Saas (costi più bassi, agilità di collaborazione per una workforce distribuita, alte prestazioni e supporto all’innovazione), eliminando ogni problematica infrastrutturale legata alla gestione e all’aggiornamento, ma come si comporta quando non è possibile spostare tutti i dati su di essa?

Può capitare che alcuni dati non debbano uscire dai confini nazionali o che non possano essere messi in cloud per politiche di governance aziendali o problemi di latenza. La piattaforma di Active Intelligence si troverebbe ad operare solo con un sottoinsieme di dati, non potendo forzare combinazioni complesse e non governate di soluzioni locali e cloud.

In veste di costruttore di soluzioni, di fronte a questo scenario già attuale, Qlik ha sviluppato una nuova componente che permette di conservare tutti i vantaggi del Saas, soddisfacendo però ogni requisito di governance, giurisdizione o policy e UX fluida e a bassa latenza su qualsiasi cloud: “Qlik Forts estende in modo sicuro le capacità di cloud analytics di Qlik, portandole direttamente ovunque i dati e le funzionalità di calcolo si trovino: on-premise, in un cloud privato virtuale o in un cloud pubblico” spiega Dossena sottolineando come in tal modo si elimini totalmente la necessità di spostare i dati locali, precedentemente confinati in silos, per renderli a disposizione delle cloud analytics.

Una forte attenzione nello sviluppo di Qlik Forts è stata posta sulla sicurezza e sulla data privacy: quando lo si utilizza in un contesto privato, i dati e le credenziali utilizzate per accedere alla fonte, non vengono mai inviati a servizi ospitati da Qlik e non devono mai viaggiare su internet pubblico. “In quel momento si innesca infatti un reindirizzamento del browser sul client, Qlik Forts funziona come proxy e gli utenti per poter continuare a usufruire del servizio devono essere collegati alla rete privata – precisa Dossena – altrimenti nella loro piattaforma non visualizzeranno gli insights relativi ai dati a cui non hanno accesso”.

Tornando al tema dei costi delle query, Dossena spiega come con Qlik Forts “non si rischia più di pagare cifre spropositate per spostare dati, ma è possibile essere certi di accedervi, cosa non ovvia in altri contesti, se si tratta di dati non spostabili”. Risolta questa criticità e quella della frammentazione dei dati tra CED, on premise e cloud, Qlik Forts posiziona l’azienda tra i player in grado di supportare e agevolare la diffusione del cloud, indirizzandola in modo da minimizzare gli aspetti più critici. È un’opportunità per organizzazioni operative in qualsiasi area geografica, sottoposte a qualsiasi requisito di sovranità dei dati, che desiderano valorizzare gli investimenti già compiuti in cloud e programmarne altri con la flessibilità e la velocità che il mercato potrà richiedere, senza temere di perdere l’opportunità di poter trasformare automaticamente i propri dati, ovunque si trovino, in azioni efficaci per il business.

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