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Budget ICT 2020: prevista una crescita del 2,8%

Gli analisti degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence identificano in Big data analytics, Cyber security, Erp, Crm e mobility le priorità di spesa

Pubblicato il 04 Dic 2019

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Nel 2020 il budget ICT delle aziende aumenterà in media fra il 2,8% e il 2,9%, trainato dalle grandi imprese, che prevedono un incremento nel 45% dei casi, concentrato soprattutto su tecnologie come Big data analytics, Cyber security e sistemi ERP, mentre solo il 23% delle PMI destinerà più risorse, in particolare per sistemi Erp, Crm e Mobile business.

Si tratta del quarto anno consecutivo in cui gli analisti degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con PoliHub, registrano crescite degli investimenti per il digitale. Come vedremo, è stato sottolineato, per gestire i processi di innovazione le imprese prevedono di aprirsi a nuove idee e a modelli organizzativi collaborativi, provenienti in particolare da startup, università-centri di ricerca, aziende non concorrenti.

Più nello specifico, attraverso le risposte di oltre 800 Chief Innovation Officer, Chief Information Officer, imprenditori e C-Level, l’indagine ha fotografato l’innovazione digitale nelle imprese italiane in termini di risorse impiegate e modalità di governance, studiando, da un lato, il livello di adozione di nuovi modelli per gestire l’innovazione e, dall’altro, l’evoluzione della collaborazione tra startup e aziende consolidate in Italia.

“La trasformazione digitale – ha commentato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital Transformation Academy – è in pieno fermento anche nel nostro Paese e i trend positivi negli investimenti dimostrano i risultati concreti di questa scelta. Le imprese devono saperla accogliere, adottando il modello dell’open company: un’organizzazione agile e inclusiva, capace di ingaggiare l’intera popolazione aziendale, aprendosi agli stimoli provenienti da un ecosistema eterogeneo e in trasformazione. Le imprese si stanno aprendo verso gli attori esterni, in particolare università e startup, ma devono riuscire a trasformarsi anche internamente con una nuova cultura dell’innovazione e modelli organizzativi capaci di reagire e riconfigurarsi velocemente”.

“Le imprese – ha affermato Alessandra Luksch, Direttore degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence – agiscono sulla propria organizzazione per migliorare la capacità di innovare, di guardare all’esterno, ma anche di comunicare all’interno, poiché questo appare oggi lo scoglio più difficile da superare. Per tutto questo, le organizzazioni stanno introducendo ruoli dedicati, gli Innovation Manager, che oggi più che arrogare su di sé il ruolo di innovatore sono tenuti soprattutto a intercettare nuove opportunità, sviluppare talenti nascosti e spingere instancabilmente per un radicale cambiamento culturale e di mentalità, diffondendo un modello in cui ognuno sia imprenditore e contribuisca all’innovazione”.

Focus sul budget ICT 2020 delle aziende italiane

Come anticipato nelle stime per il 2020 gli investimenti in ICT cresceranno di poco meno del 3% (un ritmo più elevato di quello del 2018 che era pari al +2,6%).

Guardando più nel dettaglio dei dati il 27% del campione prevede un aumento del budget superiore al 10%, il 18% compreso fra l’1% e il 10%, il 47% lo lascerà invariato e soltanto l’8% lo diminuirà.

Osservando le percentuali che indicano le priorità di spesa nei budget ICT per le grandi aziende italiane vi sono in particolare Big data analytics (evidenziato dal 42%), Cyber security (36%), sistemi Erp (29%) e Crm (29%). Seguono poi Data center, Mobile business, Cloud, eCommerce, Industria 4.0, Intelligenza artificiale e Machine learning; ancora marginale la Blockchain (3%) e in calo lo Smart working (10%) ormai diffuso.

Le PMI si concentrano invece sui sistemi Erp (37%), Crm (28%), Mobile business (24%), mentre Intelligenza artificiale e Machine learning sono in fondo alle priorità di spesa.

Nel 61% delle grandi imprese esiste un budget per l’innovazione digitale anche fuori dalla Direzione ICT, nella maggior parte dei casi inferiore al budget ICT. La funzione in cui più frequentemente viene allocato è il Marketing (71%), seguito da Ricerca e Sviluppo e Direzione tecnica (48%), Direzione innovazione (40%). Fra le PMI, invece, soltanto il 19% dedica fondi all’innovazione digitale fuori dalla funzione ICT.

Come rispondere alle sfide organizzative e tecnologiche dell’innovazione digitale

Le principali sfide organizzative percepite dalle aziende per gestire l’innovazione digitale sono la ricerca-verifica-sviluppo di competenze digitali, insieme all’introduzione di nuove metodologie di lavoro (indicate entrambe dal 50% del campione). Le imprese cercano di superare queste sfide anche con nuovi modelli organizzativi: più di un’impresa su tre prevede team dedicati a ogni specifico progetto di innovazione digitale (36%), nel 9% dei casi ci sono comitati interfunzionali e un terzo delle imprese (33%) ha inserito un singolo ruolo dedicato o una Direzione innovazione.

La capacità di gestire l’innovazione è strettamente legata alla diffusione di un’attitudine imprenditoriale. Quasi sette grandi imprese su dieci si stanno attivando con stili di leadership indirizzati al change management da parte dei manager (43%), formazione (40%), percorsi di apprendimento per stimolare l’innovatività dei dipendenti (30%), contest e hackathon interni (26%) e attività con startup (10%).

L’Innovation manager è il profilo professionale al centro dell’attenzione, anche grazie al recente decreto del MISE che ne definisce le caratteristiche e prevede un voucher a fondo perduto per consulenze; sta progressivamente entrando nelle grandi imprese, che in un caso su tre hanno già inserito un Innovation manager o una Direzione innovazione, ma nel 76% dei casi è presente da tre anni o meno, segno che per la maggior parte delle imprese si tratta di un profilo ancora nuovo e da scoprire. Soltanto il 37% delle grandi aziende e il 32% delle PMI conoscono le misure contenute nel decreto del MISE e appena l’11% delle PMI ha intenzione di approfittarne (il 2% lo sta valutando). La maggioranza delle PMI non ha in programma di usufruire delle opportunità offerte dal decreto.

Secondo l’identikit tracciato dai responsabili innovazione, le mansioni principali dell’Innovation manager sono valutare e selezionare nuove opportunità di innovazione di potenziali partner come startup e centri di ricerca, gestire il portafoglio dei progetti di innovazione e il relativo budget, favorire il cambiamento culturale, introdurre nuovi modelli organizzativi.

Le competenze più importanti secondo le aziende sono leadership, capacità di motivare, ispirare i collaboratori e poi “change management”, per superare la sindrome del “si è sempre fatto così”. La principale difficoltà da superare è la scarsa propensione al cambiamento presente in molte aziende. La sua retribuzione oscilla tra 60.000 e 100.000 euro annui, con picchi oltre i 150.000 euro.

D’altra parte, l’Open Innovation è ormai una realtà nel 73% delle grandi imprese e nel 28% delle PMI anche se le principali fonti di innovazione degli ultimi tre anni sono ancora abbastanza tradizionali; si tratta di top manager (43%), funzioni aziendali (39%), fornitori di soluzioni ICT (39%) e società di consulenza (30%), mentre è ancora limitato l’utilizzo di unità di ricerca e sviluppo (20%), startup (14%), centri di ricerca (19%) e aziende non concorrenti (4%).

Se si analizza però la tendenza del prossimo triennio, alcune fonti tradizionali si ridurranno (top management, società di consulenza, fornitori di soluzioni ICT), mentre ci si rivolgerà di più ai nuovi interlocutori, come le unità ricerca e sviluppo (+15%), università e centri di ricerca (+32%), startup (+83%) e aziende non concorrenti (+106%).

Oltre il 70% delle grandi imprese adotta iniziative di Open Innovation incorporando stimoli esterni di innovazione all’interno dei processi aziendali (la cosiddetta Inbound Open Innovation), in particolare l acollaborazione con università e centri di ricerca (64%), startup intelligence (49%) e ricerca di collaborazioni con aziende consolidate (39%).

Un’impresa su tre poi organizza Call4Ideas, Call4Startup e contest (32%), il 27% promuove Hackathon, Datathon, Appathon, il 25% si concentra su fusioni e acquisizioni, mentre sono meno diffusi i Corporate Incubator e Accelerator (18%), i Corporate Venture Capital (11%) e il Crowdsourcing (9%). Meno diffuse, ma in crescita rispetto allo scorso anno le iniziative per esportare stimoli di innovazione interna (Outbound Open Innovation), adottate dal 25% del campione, soprattutto sviluppo di modelli di business a piattaforma, joint venture con altre realtà, licensing di prodotti.

“Aumenta anche quest’anno – ha sottolineato Stefano Mainetti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Intelligence e CEO di PoliHub – il ricorso all’Open Innovation da parte delle aziende italiane. Le imprese vogliono avviare formule nuove di collaborazione per migliorare la propria velocità, aumentare le opportunità di innovazione, accrescere le proprie competenze, sperimentare correndo dei rischi per verificare nuovi modelli di business. In questo scenario assumono un ruolo sempre più significativo attori quali le università, i centri di ricerca e le startup. Nonostante la distanza che ancora separa l’ecosistema italiano da quelli esteri più evoluti, ad esempio in termini di fondi di Corporate Venture e acquisizioni di startup, possiamo affermare senza dubbio che esso si è oggi attivato e non possono essere assolutamente vanificate le nuove opportunità offerte da azioni quali, il voucher per gli Innovation Manager e la nuova disponibilità di fondi determinata dalla effettiva attivazione del Fondo Nazionale Innovazione”.

Il ruolo delle start up

Oltre sei grandi aziende su dieci vedono nelle startup un interlocutore per lo sviluppo di innovazione digitale. In particolare, il 35% già collabora con nuove imprese innovative, il 27% ha intenzione di farlo in futuro, mentre il 34% non manifesta interesse per il tema e il 4% ha collaborato in passato.

Nella maggior parte dei casi le grandi imprese si servono di startup come fornitori spot (51%), ma una buona parte le usa come unità di ricerca e sviluppo (37%) e come fornitore di lungo periodo (30%). La startup può essere anche un partner commerciale, parte di un programma di incubazione, partner per la cocreazione di modelli di business, acquisita o partecipata in Equity. I principali benefici sono la possibilità di accedere a nuove tecnologie e conoscenze di frontiera, la possibilità di testare l’innovazione con un iniziale progetto pilota, con tempi e budget definiti e quindi rischi ridotti e l’opportunità di arricchire il proprio sistema di offerta e aprirsi a nuovi mercati.

Le PMI sembrano meno pronte a collaborare con le nuove imprese innovative: l’85% non è interessato, l’11% sta programmando di farlo in futuro, solo il 4% ha già avviato collaborazioni. Per le PMI la startup è soprattutto un partner commerciale (20%) e un fornitore spot (14%) o di lungo periodo (12%).

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