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SPID, Carta d’Identità Elettronica e… basta password

Da Oracle, in collaborazione con Reply, una soluzione per l’accesso alle applicazioni in rete, in conformità con le principali identità digitali, senza la necessità di modificare gli strumenti di accesso in uso, ma integrandoli tramite protocolli standard di mercato con componenti già certificate.

Pubblicato il 06 Apr 2021

Identità Digitale

Nei primi cinque mesi del 2020 sono state rilasciate circa 76 mila identità digitali SPID, circa 262 mila nei successivi sette mesi del 2020, e circa 261 mila nel solo mese di gennaio 2021. Dai dati di Agid, l’Agenzia per l’Italia digitale, emerge l’accelerazione del Sistema Pubblico di Identità Digitale innescata dalle scadenze di legge (vedi il DL Semplificazioni e la data del 28 febbraio come termine entro cui adeguare l’accesso ai servizi di rete) e anche dalle limitazioni alla mobilità imposte dalla pandemia.

Lo SPID e la Carta d’Identità Elettronica CIE – cioè l’evoluzione digitale del vecchio documento di identità vero e proprio – sono ora le uniche modalità con cui i cittadini possono identificarsi e accedere ai servizi in rete offerti dalle pubbliche amministrazioni. Siamo dunque al tanto atteso switch off nei servizi di rete della PA, anche se un po’ in ritardo visto che l’utilizzo di SPID sarebbe dovuto diventare obbligatorio dopo 2 anni dall’inizio della sperimentazione, che ricordiamocelo è terminata a marzo 2018. Idem l’eIDAS, acronimo di electronic IDentification, Authentication and trust Services, per la precisione Regolamento europeo per l’identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno, che solo ha valenza extra confine.

Basta con la continua richiesta di dati personali

Ma SPID e CIE non sono le uniche identità digitali che le persone usano in rete. Se guardiamo fuori dal perimetro dei servizi “istituzionali” che Internet ci permette di raggiungere, e che accediamo dotandoci di una identità digitale certificata (da parte di un gruppo di identity provider nel caso di SPID e dal Ministero dell’Interno nel caso della CIE), quanti sono gli account di cui ci serviamo per avere servizi o per acquistare beni online? “Ho provato a contare i miei e sono numerosi – ha affermato Fabrizio Zarri, master principal technology architect di Oracle, in un incontro pubblico sul web in cui il tema era l’identità digitale – al punto che mi stanco di reinserire continuamente i dati o di ricordarmi username e password”.

L’emergenza sanitaria ha dato un’ulteriore spinta all’offerta di servizi digitali sia da parte delle pubbliche amministrazioni sia di molte organizzazioni private. In questo contesto, è emersa la richiesta degli utenti di utilizzare una delle identità digitali di cui sono già in possesso, senza doverne creare una nuova per ogni specifico servizio. “Dal punto di vista dell’utente, sta diventando ingestibile il ricorso a identificazioni, inserimento dati e credenziali sempre nuove – ha sottolineato Zarri – mentre dal punto di vista delle organizzazioni, pubbliche o private che siano, c’è la necessità di indirizzare la gestione delle identità e degli accessi non solo nell’ambito delle policy di sicurezza e privacy, a cominciare dal Gdpr, ma anche verso tematiche che riguardano la fidelizzazione dei clienti e il miglioramento della user experience”.

Un acceleratore per la public identity

Per le organizzazioni private, in particolare, offrire un accesso ai propri servizi tramite un’identità pubblica certificata può essere un’opportunità per facilitare l’accesso, con la certezza della qualità dei dati raccolti. “Un servizio facile da accedere è sicuramente più appetibile rispetto a un altro che richiede lunghe e sfibranti procedute di accesso, e questo aspetto può fare molta differenza sul mercato”, ha aggiunto Zarri.

Da qui la soluzione at a glance sviluppata da Oracle e Reply, definita “Un acceleratore per la public Identity” anche da Carmine Leone, Senior Consultant Rechnology di Reply. Cloud e cloud/on premises, “la soluzione è progettata per permettere l’accesso alle applicazioni, in conformità con le principali identità digitali, senza la necessità di modificare gli strumenti di accesso in uso, ma integrandoli tramite protocolli standard di mercato con componenti già certificate per operare con le principali identità digitali disponibili in Italia”.

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