Smart Cities, sette proposte per un “nuovo Rinascimento”

Una ricerca Ambrosetti per ABB spinge a ritrovare un rinnovato spirito rinascimentale per rendere le città intelligenti, facendo diventare al tempo stesso più smart e competitivo il paese e garantendo benessere ai cittadini.

Pubblicato il 25 Set 2012

Si parla molto, forse troppo di Smart cities, in gran parte fra gli addetti ai lavori. Infatti da un sondaggio effettuato quest’anno (da CRA per TEH-Ambrosetti) risulta che il 78% degli italiani non ne ha mai sentito parlare, il 14% non ricorda e solo l’8% sa di cosa si stia parlando. Ci sono molte esperienze, spesso frammentate e parziali. Vincere le sfide che l’attuale situazione pone richiede un Paese più smart, ma tante città intelligenti non necessariamente rendono smart il Paese. Parte da queste considerazioni la ricerca condotta da The European House – Ambrosetti per ABB, presentata in occasione del Forum di Villa d'Este, l’8 settembre 2012. L’ambizione è quella di formulare un piano organico di proposte “per rendere “più smart” il Paese e continuare così ad assicurare all’Italia un ruolo di primo piano nel panorama mondiale”.

Le città come oggi le conosciamo sono nate in Italia nel Rinascimento. La proposta è dunque recuperare quello spirito per “reinventare il territorio italiano recuperando un’idea forte di futuro, che coniughi competitività del sistema e benessere dei cittadini”. In un momento in cui le opportunità sono scarse, le città smart possono essere l’occasione per rimettere la valorizzazione del territorio urbano al centro dell’agenda del Paese.

Smart city, una definizione in evoluzione

Nell’arco di un decennio il termine “città intelligente” ha assunto differenti significati: dalla città digitale degli anni 2000 (con enfasi sulle infrastrutture tecnologiche), a città socialmente inclusiva della metà del decennio scorso (basata su capitale sociale e umano, partecipazione), fino alla città dove l’intelligenza ha l’obiettivo di migliorare la qualità della vista dell’attuale decennio, che combina entrambi gli aspetti.

Lo studio si pone innanzi tutto l’obiettivo di proporre una definizione univoca e globalmente riconosciuta in assenza della quale risulta ben difficile inquadrare il proliferare di iniziative frammentate e disperse, prive di un disegno complessivo, superando lo scoglio della scarsa comunicazione sui temi. In mancanza di riferimenti comuni risulta inoltre difficile valutare il miglioramento delle performance dei territori che abbracciano la via smart e impossibile effettuare il monitoraggio dell’evoluzione del Paese.

La definizione di Smart city assunta è quello di “modello urbano che minimizza lo sforzo per i bisogni ‘bassi’ e soddisfa (efficacemente) i bisogni più ‘alti’, per garantire un’elevata qualità della vita e una crescita personale e sociale delle persone e delle imprese, ottimizzando risorse e spazi per la sostenibilità”.

Un rapporto costi-benefici Smart

Quello proposto è un sogno che costa. Per diventare più smart il Paese dovrebbe fare investimenti pari a 3 punti di PIL l’anno fino al 2030; ma un Paese più smart vale fino a 10 punti di PIL all’anno, anche grazie alle energie innovative, industriali e finanziarie che il progetto può mettere in moto. A fronte di investimenti pari a 50 miliardi di Euro all’anno (che si ridurrebbero a 6 miliardi di Euro all’anno se l’intervento si rivolgesse solo alle 10 principali città) si otterrebbe una crescita aggiuntiva per il Paese pari a 8-10 punti di PIL l’anno derivante dall’introduzione di tecnologie innovative. Queste consentirebbero recuperi in termini di efficienza, di tempo e di produttività. Senza contare benefici difficilmente quantificabili come i ritorni di immagine e competitività internazionale, l’aumento di coesione sociale, di creatività, innovazione, diffusione di conoscenza, vivibilità.

Sette proposte per diventare smart

La ricerca fornisce indicazioni poi seguendo le quali, auspicabilmente, potremo diventare davvero smart.

  1. Definire una visione del Paese e una strategia per realizzarla, riaffermando il ruolo di indirizzo del Governo. Una visione accettata e condivisa è la premessa per ottimizzare le risorse e le forze, anche nelle scelte di politica urbana.
  2. Mettere a punto una governance nazionale per i temi smart che indirizzi l’azione e porti a sintesi i diversi interessi, per evitare che una pluralità di attori attivi sui temi smart portino avanti diverse visioni e iniziative, senza coerenza.
  3. Lanciare la versione italiana del modello europeo di partenariato per l’innovazione alle smart city. Ciò può fornire un impulso esterno utile per mettere in connessione imprese, territori ed enti finanziatori per sviluppare i sistemi urbani, inducendo a cooperare soggetti che crisi economica, tagli alla spesa, Patto di Stabilità rischiano di contrappore.
  4. Istituire un premio per le prime 5 città che raggiungono il massimo livello di intelligenza, misurato sulla base dei benefici effettivi per i cittadini. L’obiettivo è mettere in competizione i territori, valorizzando e diffondendo le eccellenze naturali, per innescare processi emulativi.
  5. Impegnarsi a portare a compimento o a chiudere definitivamente alcune iniziative avviate e mai concluse, legate in qualche modo alle smart city. Un esempio da non seguire è quello del progetto per la carta di identità elettronica. La prima carta è stata consegnata nel 2001 con l’obiettivo di completare la copertura del paese nel 2005. Dopo molte revisioni del progetto, a 11 anni dall’avvio, sono in circolazione solo 4 milioni di carte adottate da 200 comuni su 8mila, dopo aver comunque speso 60 milioni di euro.
  6. Promuovere soluzioni smart già disponibili e a basso costo, che possano produrre progressi significativi a brevissimo termine. Produrre risultati tangibili è indispensabile per superare gli scetticismi dell’opinione pubblica e creare consenso a supporto del progetto.
  7. E per essere concreti, un obiettivo sfidante potrebbe essere aumentare del 10% in 5 anni il tempo “realmente libero” degli italiani (che oggi supera di poco il 15% del tempo totale) per superare la percezione “elitaria” dei temi smart, influenzare le aspettative e creare consenso.

In conclusione, l’Italia può trasformare in punto di forza la sua caratteristica territoriale basata su città medio-piccole più che su grandi metropoli per proporsi come modello smart di benessere dei cittadini. La condizione è di creare grande consenso e consapevolezza di un progetto paese condiviso (fra cittadini, governo nazionale e locale, soggetti economici), scegliendo un approccio non meramente tecnologico, ma sfruttando al meglio le tecnologie disponibili.

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