Sistemi iperconvergenti: i data center diventano infrastrutture a servizio del business

Un incontro tra analisti, vendor e responsabili It per discutere della più recente evoluzione tecnologica in area Data Center, considerata nell’ottica di mezzo abilitante la flessibilità richiesta dai modelli operativi della nuova impresa digitale

Pubblicato il 23 Feb 2016

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La realizzazione della cosiddetta ‘digital enterprise’, ossia di una strategia che veda l’estensiva digitalizzazione dei processi operativi esterni e interni all’impresa e al business come mezzo per raggiungere un nuovo vantaggio competitivo, non può prescindere, come ovvio, dal supporto della funzione It. Cui si chiede non solo un ruolo attivo nel proporre e sviluppare le iniziative che la strategia di cui s’è detto comporta, ma anche e soprattutto la capacità di poterle poi eseguire in modo efficace, il che significa, in pratica, operare nel modo più veloce e flessibile possibile.

Nella maggioranza delle realtà si tratta di un obiettivo che si può raggiungere solo attraverso un rinnovamento dell’organizzazione e delle infrastrutture. L’evoluzione tecnologica offre oggi una possibile risposta alle esigenze di velocità e flessibilità delle operazioni attraverso l’adozione dei cosiddetti sistemi iperconvergenti, che sono stati oggetto di un recente “Breakfast con l’analista”, organizzato da ZeroUno con la partnereship di Fujitsu, che ha in quest’area una offerta specifica (vedi box) e di Intel, i cui processori ne sono alla base.

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I sistemi iperconvergenti, come ha spiegato Massimo Ficagna, senior advisor per l’Osservatorio Enterprise Application Governance della School of Management del Politecnico di Milano, nella sua presentazione, sono la quarta e ultima evoluzione delle infrastrutture di Data Center.

Figura 1 – Modello di Infrastruttura Iperconvergente – fonte: Osservatorio Cloud & ICT as a Service, Politecnico di Milano

Ciò che li differenzia dalle generazioni precedenti, e in particolare dai sistemi integrati (componenti separati ma preassemblati e preconfigurati dal fornitore) e dai sistemi convergenti (i cui moduli combinano le componenti di calcolo, storage e networking) si sintetizza nei seguenti punti:

  • usano componenti standard a basso costo;
  • sono interamente virtualizzati: gli elementi fisici di elaborazione, storage e rete diventano un pool di risorse virtuali;
  • hanno un unico punto di gestione e controllo dalle funzioni altamente automatizzate;
  • combinano disk array magnetici e a stato solido ottimizzando costi e prestazioni dello storage;
  • incorporano le funzioni-chiave di data management (backup, compressione, deduplica e altro);
  • in caso di failure hardware distribuiscono automaticamente i carichi di lavoro su altri componenti.
Figura 2 – Sistemi Iperconvergenti: Benefici Attesi vs Benefici Ottenuti – Fonte: Scott D. Lowe, “2015 -State of Hyperconverged Infrastructure Market Report”, Actual tech Media

Tutte queste doti, unite al fatto altrettanto importante di non richiedere competenze specifiche allo staff It e di avere un unico punto di riferimento sia per la fornitura sia per il supporto esterno, rendono i sistemi iperconvergenti molto appetibili per i responsabili di Data Center. Ficagna ha mostrato i dati di un’indagine svolta presso Cio e responsabili I&O (infrastrutture e operazioni) di aziende di ogni dimensione (dai 100 dipendenti in su) distribuite principalmente in Nord America ma con una buona presenza anche in Europa, relativa ai vantaggi ottenuti dalla loro adozione. Quelli più spesso citati sono, in ordine decrescente: maggiore scalabilità, maggiore efficienza operativa, minor tempo di deployment delle applicazioni, minori costi dell’infrastruttura e dell’It. Ma ciò che più conta, lo scarto tra i livelli di vantaggio ottenuti da chi già li usa e quelli attesi da chi li ha pianificati, è minimo, oscillando tra i 6 e i 14 punti e talvolta, come nelle operazioni di backup/recovery e soprattutto nel training del personale (un punto di forza di questi sistemi), è addirittura negativo, cioè con risultati superiori alle attese. Insomma: pare proprio che i sistemi iperconvergenti mantengano le loro promesse.

Naturalmente, vi sono anche coloro cui i sistemi iperconvergenti non interessano, almeno nel breve termine. I motivi? Tre soprattutto: l’infrastruttura attuale funziona bene; è stata potenziata di recente (quindi, si suppone, con una spesa dalla quale rientrare); il business non ne ha bisogno. Come si può capire è proprio quest’ultimo il punto-chiave. Gli altri ne sono la conseguenza. È chiaro che se in un’azienda, e nell’It per essa, non si avverte la pressione verso la velocità e flessibilità operativa di cui s’è detto, c’è poco da fare. Ma ha osservato Ficagna, ciò significa che: “O l’azienda è destinata a morire o tra poco dovrà cambiare per forza. Se oggi non ha il problema, l’avrà domani, e sarà bene che l’abbia, perché se no sarà ben presto del tutto sorpassata”.

Un momento di confronto durante il Breakfast

Su queste ultime considerazioni si è aperto il dibattito, avviato da Marco Barbierato, Data Center Administrator di Pirelli Sistemi Informativi, la cui testimonianza ha un particolare valore trattandosi di una realtà che su questa clase di sistemi ha investito adottandoli per le proprie infrastrutture. “Premesso che il passaggio ai sistemi iperconvergenti è nato sotto la spinta di più forze, interne ed esterne, legate ai bisogni di risposta al business e che l’esperienza si è esplicata in un periodo medio-lungo, se sul lato tecnologico non vi sono stati problemi, l’iperconvergenza dell’architettura ha portato a impatti organizzativi”. Nel senso che l’automazione delle operazioni offerta dalla nuova infrastruttura (che Barbierato definisce ‘cibernetica’) ha permesso “il passaggio da un’organizzazione a un organismo, con cellule dove convergono le diverse specializzazioni, network, storage e così via, che seguono gli specifici progetti”. Ciò si è scontrato con il classico modello di attività distribuite per business unit: “Ci sarebbe dovuto essere – prosegue Barbierato – un matching più generale tra la vecchia visione dipartimentale e le nuove richieste. Ma oggi, con un’ottica organizzativa centrata sul singolo progetto, la cosa sembra funzionare”. Per coloro, invece, per i quali l’iperconvergenza è ancora di là da venire, ha parlato Antonio Polimeno, head of Digital, Channels ADM & Information Integration di Barclays Bank. Due i motivi per questa scelta d’attesa: i sistemi attuali funzionano e, soprattutto, “Il contesto economico attuale non spinge a sponsorizzare nuovi investimenti”. Con tutto ciò: “Alcuni passi sono stati fatti. Non ci possiamo definire iperconvergenti, ma ci stiamo muovendo su questa strada e stiamo anche avendo dei benefici, sia dal punto di vista organizzativo, sia da quello economico”.

I relatori, da sinistra: Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, Massimo Ficagna, senior advisor per l’Osservatorio Enterprise Application Governance della School of Management del Politecnico di Milano e Danilo Salladini, Business Development Manager di Fujitsu

Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno e Chairman dell’evento ha quindi chiesto a Danilo Salladini. Business Development Manager di Fujitsu, di commentare questi due primi interventi, guardando ai sistemi iperconvergenti soprattutto in chiave di supporto al business. “In effetti – ha detto Salladini in risposta al discorso di Barclays – se qualcosa funziona, perché cambiare? Ma a differenza dell’infrastruttura classica, che se vecchia o satura va riprogettata, il concetto di iperconvergenza software defined ci dà una flessibilità che, proprio guardando al futuro, mi permette di partire, per esempio, da un qualcosa che va comunque dismesso e lavorare in parallelo smontando il vecchio e introducendo il nuovo”. Ancora Uberti Foppa sul tema scottante delle risorse economiche ha ricordato che proprio nel mondo bancario, dove compaiono nuovi attori e nuovi modelli di operativi, “La capacità di risposta dei sistemi informativi, con il passaggio a soluzioni in grado di reggere tali variabili competitive, è imprescindibile e centrale. E poterla attuare in modo graduale è un elemento di rottura rispetto al passato”. Un aspetto sul quale Salladini concorda perfettamente, limitandosi ad osservare come, di questi tempi, “qualsiasi spesa debba portare un Roi tangibile nel breve termine, possibilmente entro l’anno”.
Su questo punto, cioè sulla visibilità dell’investimento rispetto al business, è intervenuto anche Andrea Alberto, IT project manager di Autogrill. In quest’azienda si sta attuando un progetto che considera l’esternalizzazione al cloud (PaaS) di alcune piattaforme e sebbene Alberto consideri i sistemi iperconvergenti “ancora abbastanza giovani”, va loro riconosciuta “una flessibilità di gestione che li rende adatti a servire un’infrastruttura di cloud ibrido”. Occorre comunque, conclude Alberto, “pensare prima all’evoluzione dei processi applicativi e su questa disegnare l’infrastruttura”. Mauro Baldoni, ICT Manager di Geodis, allarga il tema della rispondenza al business agli investimenti di tipo strategico: “L’It può essere disruptive solo se anche il business lo è. Altrimenti ci muoviamo a nostro rischio e pericolo. Se non c’è chi vuole veramente sponsorizzare nuovi concetti e modi di fare accettando anche un margine di rischio, il rischio diventa solo nostro, e giustificare delle spese con Roi molto brevi diventa difficile”.
Ha chiuso il dibattito Roberto Monguzzi Business Analyst di Pirelli Sistemi Informativi, che dopo aver portato la propria testimonianza sui concreti vantaggi ottenuti da una infrastruttura “liquida”, ha osservato come nel management sia oggi in atto una trasformazione, portata, a suo parere, dal ricambio generazionale, con l’ingresso in azienda dei ‘nativi digitali’, “Che hanno una cultura che li porta a considerare la digitalizzazione non come un plus ma come qualcosa di consolidato, come la luce elettrica. Di conseguenza – prosegue Monguzzi – anche i sistemi devono cambiare diventando molto ma molto plasmabili”.


Primeflex: iperconvergenti ‘à la carte’

L’offerta di Fujitsu nell’area dei sistemi iperconvergenti si sviluppa sotto il brand Primeflex e si articola in diverse famiglie, con differenti architetture, potenze e fattori di forma, con sistemi modulari e stand-alone di tipo blade, rack e tower. Tutti i modelli sono caratterizzati dal fatto di essere pre-configurati, pre-integrati e pre-testati in tutte le loro componenti di elaborazione, storage, connettività di rete e sofware di base. Possono inoltre essere forniti sia come unità pre-installate, pronte ad entrare in servizio, sia come elementi modulari organizzabili secondo le specifiche del cliente, che nel caso può appoggiarsi ai servizi on-site che la stessa Fujtsu offre per il deployment e l'integrazione.
Caratteristica propria di tutta la famiglia è l'elevata virtualizzazione delle funzioni di elaborazione, storage e networking, realizzata tramite una consolidata partnership con VMware. Questa si traduce in versioni che ottimizzano le prestazioni Primeflex in diversi ambiti operativi. In un elenco non esaustivo in quanto le varie soluzioni possono essere a loro volta customizzate ed adattate a più compiti, abbiamo quindi le soluzioni di server virtualization e di desktop virtualization Primeflex for VMware VSAN, VMware EVO RAIL; VMware VDI ; i sistemi per high availability e disaster recovery Egenera PAN e Cluster-in-a-box; per private cloud Primeflex for VMware vCloud e for Red Hat OpenStack ; per il calcolo intensivo Primeflex for HPC ; per l’analisi sui Big Data Primeflex for Hadoop e Primeflex for SAP Hana. Non mancano infine server Primeflex ottimizzati per gli ambienti SAP e Microsoft

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