Next Generation Data Center: rischio dal boom dei big data

Oracle presenta i risultati di due indagini sul Next Generation Data Center. C’è una notizia buona e una cattiva: crescono gli investimenti ma i big data non sembrano “allarmare”, come invece dovrebbero, le aziende. ZeroUno intervista Luc Opdebeeck, Senior VP Hardware Strategy, Business Development e Specialty Sales Emea di Oracle.

Pubblicato il 14 Mar 2012

Luc Opdebeeck

Nel 2011 Oracle ha condotto due indagini con l’obiettivo di rilevare la sensibilità del C-level alla necessità di dotarsi in azienda di Next Generation Data Center (Ngdc), ossia di sistemi altamente performanti basati su tecnologie avanzate e caratterizzati da elevati livelli di automazione, virtualizzazione, integrazione e, al contempo, bassi consumi energetici e minore complessità di gestione. Le due indagini forniscono, per settore d’industria e geografie, il quadro sulla rapida evoluzione dei fattori decisionali che spingono o meno verso la nuova generazione dei data center aziendali, ma le notizie principali sono due: una confortante e una allarmante. Quella buona è che il buy-in sul Ngdc è in crescita, pur nel difficile contesto economico. L’altra è che il business è ancora largamente impreparato a cogliere “l’ordine di grandezza” del gap da colmare a fronte dell’inevitabile boom del big data (il business non sembra ancora pienamente consapevole degli impatti dei big data e, quindi, non vede la necessità di “sponsorizzare” progetti di Ngdc). Luc Opdebeeck, Senior Vp Hardware Strategy, Business Development e Specialty Sales – Emea di Oracle, esordisce commentando la buona notizia: “dalle due indagini che abbiamo svolto (la prima coinvolgendo quasi un migliaio di manager di grandi aziende in Usa e stati Europei, la seconda interpellando 949 C-level dell’area Emea con l’aggiunta di Irlanda e Russia) risulta, facendo una media di tutti i risultati, un discreto interesse verso gli investimenti in Ngdc (interesse per altro cresciuto del 5% tra la prima indagine e la seconda, in soli 6 mesi) e, in un quadro economico difficile come quello attuale, mi pare un ottimo riscontro”. “Insomma, si fa strada la fiducia verso il Ngdc e gli investimenti in questa direzione stanno diventando di immediata attenzione per i board aziendali” dice Opdebbeck, “il che diventa anche un segnale positivio per il settore Ict e per lo sviluppo degli investimenti soprattutto in Europa (dato che la seconda indagine riguarda l’area Emea e l’interesse verso la spesa in Ngdc, come dicevamo, è maggiore)”.
Analizzando gli indici medi (calcolati sulla base delle risposte degli intervistati che, da un minimo di 0 a un massimo di 10, dovevano dare delle risposte dalle quali si è poi ricavato il livello di interesse verso il Ngdc e la volontà di investire in questa direzione), i paesi nordici sono quelli con il più alto grado di interesse ma l’Italia ha fatto registrare, tra una ricerca e l’altra, un aumento del 6,7% in soli sei mesi. Entrando nel dettaglio del settore di mercato, sembra abbastanza naturale sottolineare che a muoversi per prime siano le Telco, seguite immediatamente dal mondo Finance. Il driver principale, nella prima indagine, era la flessibilità; nella seconda, la sostenibilità (ovviamente parliamo di flessibilità e sostenibilità del business in contesti economici, dato che i rispondenti erano C-level).
Dove il messaggio di preoccupazione su una scarsa consapevolezza è arrivato forte e chiaro è stato sul boom del big data. Secondo Opdebeeck “la crescita prevista da qui al 2020 per dispositivi machine to machine da 2 a 12 miliardi, per handset da 2 a 9 miliardi e per i dati su Pc o Handset da 4 a 42 Exabyte dovrebbe generare allarme per i data center di tutte le industry, mentre le uniche a preoccuparsi sembrano oggi essere soprattutto le Telco”. La criticità sta soprattutto nella velocità di crescita dei dati che è doppia rispetto a quella con cui riesce a crescere la capacità storage.

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