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Intel scommette sul raffreddamento a immersione. Se vince, data center da ripensare

Il raffreddamento a immersione è la chiave per garantire un futuro sostenibile al mondo dei data center? È ciò che Intel sta ipotizzando e che vuole verificare nei 200 metri quadrati del suo nuovo laboratorio nell’Oregon. Sarà pronto nel 2023 grazie ad un investimento di 700 milioni di dollari, vi saranno testate tecnologie e offerta Intel mirando a ridurre le emissioni di CO2 del 45%. Una scommessa che interroga tutto il settore e che potrebbe innescare un cambio tecnologico impattante sull’intera supply chain.

Pubblicato il 08 Giu 2022

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Sarà pronto entro il 2023 il “playground” di Intel in cui la società vuole esplorare e sperimentare il raffreddamento a immersione per i suoi data center sempre più performanti ma anche energivori. Lo ha annunciato la scorsa settimana, l’investimento sarà di 700 milioni di dollari che serviranno per realizzare un laboratorio e un progetto pilota aperto. La struttura sorgerà presso il campus Jones Farm di Hillsboro, nell’Oregon, inizio lavori: imminente.

Negli ultimi anni, il TDP (Thermal Design Power) di molti chip è più che raddoppiato. Guardando all’offerta Intel appena presentata al Vision 2022 di Dallas si trovano CPU che superano i 300W assieme a GPU e chip AI che assorbono 600W o più. È naturale, quindi, leggere l’iniziativa come la ricerca di una risposta al crescere esponenziale del consumo energetico di queste strutture. Lo è, a tutti gli effetti, ma rappresenta anche un’importante mossa a livello strategico. Questo investimento può infatti dettare la direzione per i futuri sviluppi tecnologici dell’intero settore. Non solo dei competitor, ma di tutto l’ecosistema che ruota attorno ai data center, già ora sempre più attento alla loro sostenibilità.

Una scommessa sull’immersione da 700 milioni di dollari

Nel suo “mega laboratorio” da 200.000 metri quadrati, Intel si focalizzerà sullo studio e la sperimentazione di soluzioni di raffreddamento per immersione. Questa tecnologia, alternativa a dissipatori di calore, piastre fredde e free cooling, prevede di immergere i vari componenti in fluido non conduttivo, come un olio minerale e un refrigerante speciale.

Altri campi di ricerca collaterali, ma fondamentali per comprendere la validità dell’”opzione immersione”, riguarderanno il riutilizzo del calore e l’efficacia dell’uso dell’acqua in questo tipo di sistemi, che saranno poi testati sull’ampia gamma di data center Intel partendo dalle linee Xeon, Optane, Agilex e Habana.

Insieme al laboratorio, il gigante statunitense degli x86 ha presentato anche un primo progetto di riferimento, definendolo “accessibile, facilmente implementabile e scalabile”, lasciandone aperta la proprietà intellettuale.

La prospettiva con cui Intel ha deciso l’investimento di risorse umane, finanziarie e infrastrutturali è quella di riuscire a ridurre del 45% le sue emissioni di CO2 e “quanto più possibile” il consumo di energia. Sarebbe un passo avanti per l’intero settore considerando l’attuale peso che la fase di raffreddamento ha sul bilancio energetico dei data center: circa il 40%. Senza contare alcuni vantaggi accessori come la riduzione sostanziale dell’acqua impiegata e un agile riutilizzo del fluido per soluzioni di teleriscaldamento applicabili anche per interi quartieri.

Serviranno nuovi data center “immergibili”?

Sempre più preoccupato della sostenibilità energetica delle proprie strutture, per ragioni sia economiche sia ambientali, il mondo dei data center non è però concorde su quella che sarà la strada da intraprendere nell’imminente futuro. C’è chi punta sul free cooling o su alcune tecniche di raffreddamento a liquido, considerando quella a immersione come una soluzione “di nicchia”. Per questo l’investimento di Intel è strategicamente significativo.

Con il peso che ha sul mercato, avrebbe infatti tutto il potere di influenzare i produttori OEM di server, in termini di modalità di vendita dei loro prodotti e del tipo di infrastruttura di raffreddamento necessaria per supportarli. L’impatto non sarebbe banale, le soluzioni a immersione richiedono infatti un ripensamento dei componenti elettronici e dei materiali costruttivi impiegati, che devono essere compatibili con i fluidi utilizzati. Ora c’è quindi da chiedersi se tenersi pronti a una netta, necessaria e rapida svolta tecnologica in tal senso. Il laboratorio servirà proprio per capire se varrà la pena progettare prodotti adatti all’immersione e se, dopo un periodo di coesistenza con i tradizionali, essi arriveranno a imporsi sul mercato.

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