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Gartner: l’Industria 4.0 ha bisogno di data center 4.0

Per rispondere ai nuovi paradigmi dello smart manufacturing è necessario disporre di una infrastruttura IT 4.0. In quest’ottica, queste sono le 3 domande fondamentali che l’azienda si deve porre: cosa fare di nuovo? Con cosa continuare e come? Cosa abbandonare e cosa migrare? Mike Chuba, Managing Vice President Infrastructure and Operations Group IT Leaders Research Area e Dave Russell, Vice President e Distinguished Analyst di Gartner approfondiscono il tema

Pubblicato il 17 Gen 2018

Gartner: l’Industria 4.0 ha bisogno di data center 4.0

Anticipando i temi dell’IT Infrastructure, Operations Management & Data Center Summit 2018, Gartner non parla direttamente di Industria 4.0, ma di infrastrutture abilitanti e di strategie a supporto della digital transformation e del digital business. Il focus dell’evento, infatti, è incentrato su un trinomio costituito da leadership, partnership e tecnologia. Gli analisti ne parleranno a Sidney, dal 30 Aprile al 1 maggio: il programma della manifestazione approfondirà argomenti caldissimi, rivelando nuovi modelli decisionali utili a guidare gli investimenti delle imprese che vogliono cavalcare quello tsunami digitale che sta cambiano la comunicazione ed il business. La presentazione dell’evento è stata l’occasione per approfondire alcune tematiche evolutive, sia dal punto di vista tecnologia sia da quello organizzativo con Mike Chuba, Managing Vice President Infrastructure and Operations Group dell’IT Leaders Research Area di Gartner e i e Dave Russell, Vice President e Distinguished Analyst di Gartner

Come può un’organizzazione riuscire a diventare più agile e nello stesso tempo rilasciare servizi mission critical a supporto del business?

“La maggior parte delle organizzazioni ha capito che è necessario ragionare attraverso una logica bimodale – spiega Chuba -, ovvero supportando da un lato i servizi più mission-critical (modalità 1) e perseguendo, dall’altro lato, un percorso di innovazione e supporto al business (modalità 2). Il problema è come farlo, sapendo che gran parte delle risposte non sono di tipo tecnologico, ma organizzativo. Si tratta di un cambiamento radicale della tradizionale cultura aziendale. Per il nostro pubblico di riferimento, cioè tutti i responsabili delle infrastrutture e dei processi operativi, è arrivato il momento di guardare le cose sotto una luce diversa e di impegnarsi ad apportare trasformazioni significative. Certo è che i cambiamenti coinvolgono le persone, che possono essere molto riluttanti al cambiamento. Ecco perché bisogna identificare coloro che, all’interno dell’organizzazione, hanno una mentalità più aperta, con capacità ed esperienze tecnologiche che appartengono al 21° secolo (come possono essere analytics o IoT) e hanno una spiccata curiosità sul modo in cui le tecnologie possono inaugurare nuove opportunità per il business. Si tratta di identificare le persone giuste e mettere insieme piccoli gruppi di lavoro capaci di lavorare con il business per guidare le applicazioni mission-critical del prossimo decennio”.

Chi guida Infrastrutture e Operations come può favorire la collaborazione e l’allineamento tra le risorse che operano nella modalità 1 e quelle che operano nella modalità 2?

“Prima di tutto bisogna avere ben chiare quali siano le competenze necessarie – risponde Russel – il che può significare assumere nuove persone e riqualificare quelle esistenti. È necessario anche impostare nuovi modi di organizzare, integrare e fornire i servizi. In un contesto bimodale, le aziende vogliono essere agili, ma anche perfettamente in grado di offrire un’ampia copertura alle applicazioni mission-critical, in cui ogni fattore deve essere tenuto in considerazione affinché tutto funzioni correttamente. Fino a oggi la gestione dei data center era improntata a un approccio molto riflessivo: lento, metodico ed estremamente avverso al rischio. Ora ci viene detto che non abbiamo più tutto quel tempo a disposizione per agire: non si possono aspettare 18 mesi per ottenere un certo servizio o una certa applicazione. Chi ne fa richiesta ne ha bisogno subito. È una rivoluzione anche rispetto al modo in cui la sicurezza e il rischio vengono percepiti e condivisi in azienda. È vero che ottimizzare l’IT è sinonimo di contenimento dei costi. Ma dal punto di vista strategico, ottimizzare l’IT significa aumentare l’agilità”.

Le imprese come possono ottimizzare l’operatività IT che serve al mondo digitale?

“Da un punto di vista difensivo, ottimizzazione dell’IT significa contenimento dei costi mentre, da un punto di vista offensivo, significa incrementare l’agilità. Per chi si occupa di Infrastrutture e Operation, il mondo digitale traghetta le aziende in una dimensione in cui i dati crescono e i tempi di risposta diventano più veloci.

Un aspetto del digital business è quanto siamo capaci di gestire l’ascolto social per capire, ad esempio, cosa piace ai nostri clienti di noi e cosa no, cosa dicono di noi i nostri concorrenti, perché la nostra azienda sta perdendo o guadagnando quote di mercato. Questo tipo di informazioni può portare ad attività di marketing, ma anche guidare cambiamenti importanti, per esempio migliorare i programmi di supporto. Ciò significa realizzare in fretta nuovi sistemi capaci di elaborare le informazioni più rapidamente. Come? Adottando tecnologie specifiche, come l’iperconvergenza e le tecnologie flash, che consentono di velocizzare e semplificare i processi di archiviazione, condivisione e gestione. Fondamentalmente, la scalabilità e le nuove tipologie di dati, così come il desiderio di ottenere informazioni o ottenere risultati più velocemente passano da chi si occupa di gestire data center, infrastrutture e operation che, a sua volta, deve decidere cosa tenere e cosa buttare dei sistemi in uso, a cosa dare priorità, in che modo gestire le migrazioni. Servono processi decisionali che invece di essere binari (cosa supporto e cosa no) sposano più un approccio simile al triage [identificando 3 domande chiave alle quali bisogna rispondere ndr]: Cosa fare di nuovo? Con cosa continuare e come? Cosa abbandonare e cosa migrare?”

Le aziende come dovrebbero considerare i servizi cloud rispetto agli ambienti interni, esterni e ibridi?

“I passi da compiere – prosegue Russel – vanno dalla pianificazione e dalla sicurezza degli ambienti cloud a più ampi discorsi economici che possano aiutare le organizzazioni a comprendere bene i costi. Ovviamente, il presupposto è determinare il giusto ambiente cloud per la propria azienda rispondendo a domande sulla effettiva capacità di cui si ha bisogno, sulla tipologia di risorse disponibili, ma anche su quali possano essere le aspettative del business. Non è necessariamente diverso da come i responsabili dei data center hanno da sempre valutato le cose, ma ora il ventaglio delle opzioni non solo è molto più ampio ma può includere diverse opzioni di sourcing. Vogliamo offrire diversi modi di inquadrare il cloud in modo che le persone possano avere contezza dei pro e dei contro del cloud per scegliere la giusta combinazione in risposta alle proprie esigenze”.

“Uno dei più grandi fattori decisionali del cloud è l’esistenza di applicazioni legacy – sottolinea Chuba -. È abbastanza chiaro che la maggior parte delle nuove applicazioni viene fatta nel cloud, ma cosa succede a tutte le applicazioni datate? Quando è il momento giusto per passare al cloud? È appropriato passare al cloud? Quali sono le opinioni in merito a una colocation? I manager devono sapere cosa fare di tutte le loro applicazioni prima di passare al cloud: eseguire la migrazione a un’app pacchettizzata, quindi installarla nel cloud o prima passare al cloud e quindi acquistare un’app pacchettizzata? È tempo di sfoltire le applicazioni legacy e semplificare la miriade di applicazioni correlate? Queste domande possono venire dal business e coinvolgere a cascata i leader aziendali. Per un ecosistema di risorse, gestite per anni in casa, è arrivato il momento di decidere se continuare a gestirla in loco oppure no. Ad esempio cosa fare in merito alla protezione e alla governance dei dati dei clienti? Non sono certo decisioni facili da prendere”.

Rispetto ai trend e alle priorità di spesa, a cosa devono prestare attenzione i manager IT?

“In termini di tecnologie specifiche – ha puntualizzato Chuba [sui trend 2018 rimandiamo al video I 10 technology trend per il 2018 secondo Gartner ndr] -, la virtualizzazione è stata un tema scottante cinque anni fa, aprendo una finestra di opportunità interessante. Ora siamo passati a un’evoluzione che passa attraverso container e microservizi dove i più ancora stanno affacciandosi a questi approcci. Anche l’Intelligenza Artificiale e il machine learning sono temi caldi che avranno un impatto anche sui data center così come il tema dell’edge computing che riporta alla domanda fondamentale: quanti dati verranno inviati al cloud? Quanto è importante per i dati essere o meno gestiti in un luogo centralizzato? I manager devono capire, essere informati per intraprendere decisioni strategiche alla governance”.

L’ottimizzazione dei costi è un imperativo costante per i responsabili delle infrastrutture e delle operation. Quali sono oggi le best practice?

“L’obiettivo non deve essere necessariamente il taglio dei costi – ribadisce Russel -. Ottimizzare i costi non significa semplicemente smettere di spendere. Se un’azienda è in difficoltà, l’eliminazione di tutte le forme di advertising potrebbe non essere il modo per aumentare le entrate. Bisogna fare un passo indietro e valutare come rendere più efficace quello che si sta facendo ora, e cosa non vale la pena di fare. Da un punto di vista tecnico, l’ottimizzazione dei costi può essere fatta implementando o espandendo l’uso di nuove tecnologie, per esempio array storage, sistemi iperconvergenti, networking. Ma ci sono anche dinamiche organizzative in gioco: l’ottimizzazione dei costi può includere la decisione su come e dove verranno eseguite le attività, magari trasformando applicazioni e attività on premise in off premise”.

“Ottimizzare i costi – conclude Chuba – in gran parte significa garantire che il denaro che viene speso per supportare i carichi di lavoro sia ben speso. Le aziende hanno molte domande su come negoziare il prezzo migliore e non pagare più del dovuto, ma anche su come stipulare contratti migliori, evitando di essere vincolati a formule di outsourcing sfavorevole. Rispetto al miglioramento dell’efficienza del data center aziendale, poi, la questione non è solo di costi ma riguarda la qualità del servizio. Fornire servizi di qualità superiore e SLA allineate è una bella sfida. Ci sono aziende che si spostano verso il cloud per tagliare i costi e poi scoprono bollette molto più alte del previsto. Non si tratta solo di tagliare i costi della gestione di risorse e operazioni che sono in corso da anni ma di spendere per investire in soluzioni capaci di supportare nuovi carichi di lavoro e applicazioni nel modo più ottimale, assicurandosi negoziazioni convenienti e margini di scalabilità e cambiamento che non pongano vincoli al momento del rinnovo di un contratto tra due, tre o cinque anni”.

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