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Data Center: all’Italia servono norme e collegamenti per svoltare

Il settore promette bene, potrebbe raggiungere la soglia degli 1,4 miliardi di euro nel 2025, ma a due condizioni. Servono regole chiare e specifiche, e un potenziamento dei collegamenti alla rete, se si vuole comparire nella mappa dei Data Center europei su cui puntare nei prossimi anni. La partita è da giocare, ma entrando in campo subito e tutti dalla stessa parte, imprese e PA

Pubblicato il 07 Feb 2024

Immagine di whiteMocca su Shutterstock

Esordisce dimostrando coi fatti, e con i dati, che vale la pena di seguire da vicino il suo settore, l’Osservatorio Data Center, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano. Definendo l’Italia come un Paese “a un punto di svolta”, presenta un quadro ricco di leve promettenti, mostrando come stia a noi decidere se compierla o meno, “la svolta”.

Intanto, il mercato della colocation dei Data Center ha segnato un +10% in un solo anno, raggiungendo nel 2023 il valore di 654 milioni di euro. Se continuasse così, potrebbe anche raddoppiare nel 2025, impattando sulla potenza energetica nominale attiva che oggi risulta pari a 430 MW (+23% rispetto al 2022). Esistono indizi positivi che fanno ben sperare: nei prossimi due anni, per esempio, 23 organizzazioni (di cui 8 nuove società entranti sul mercato italiano) hanno intenzione di realizzare 83 nuove infrastrutture.

L’impatto dei data center sul territorio

Pur apprezzando i trend positivi che compaiono nel report presentato, non è immediato valutare con completezza l’impatto che possono avere sull’intero sistema economico nazionale. Eppure, quella dei data center non è affatto una partita “riservata” agli operatori del settore. È da vincere per portare vantaggi sul territorio: alle filiere locali che si occuperanno dei cantieri, come anche agli enti locali che potranno approfittarne per potenziare i servizi ai cittadini.

Questo da un punto di vista pragmatico e piuttosto immediato, ma se si guarda all’aspetto strategico, i data center rappresentano un “mattone” fondamentale per lo sviluppo dei mercati digitali nazionali, bisognosi di nuova linfa. Possono diventare anche un importante fattore competitivo all’interno della rete di calcolo europea. Sarebbe infatti il momento giusto, per l’Italia, per farsi notare e cavalcare l’onda di decentralizzazione di queste infrastrutture che ha investito l’ecosistema Cloud europeo. Dopo l’era dei FLAP-D (Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi e Dublino), ora sembra sia arrivato il momento di lasciar spazio ai Paesi emergenti in questo mercato, investendo in data center che assicurino una bassa latenza di trasmissione e il mantenimento di dati all’interno dei confini nazionali. Sia per obiettivi strategici e che per motivi di sicurezza, soprattutto alla luce del clima geopolitico che anche in Europa si respira.

Guardando a questa prospettiva, è necessario e utile osservare il panorama di data center esistenti sul territorio nazionale e le priorità per i prossimi anni. Per ora la maggior parte è di media (2-10MW) e piccola potenza (<2MW). Quelli più grandi (>10MW) e complessi dal punto di vista costruttivo, che necessitano anche di collegamento all’alta tensione, scarseggiano e si raggruppano attorno a Milano, se non a Roma. Secondo la ricerca, nei prossimi anni dovrebbero sorgerne altri e sarebbe auspicabile, se non vogliamo restare esclusi anche da questa seconda possibilità che l’Europa offre.

La “to do list” per un futuro tra i Data Center europei

Ecco qual è il punto di svolta a cui ci troviamo. È in questi mesi che possiamo dimostrarci un’area attrattiva e, se così fosse, potremmo sperare in un mercato della colocation del 2025 da quasi 1,4 miliardi di euro.

Le azioni da compiere sono piuttosto chiare, non siamo in balia del destino ma della nostra voglia – come Paese – di scommettere sul nostro futuro digitale. Come fanno notare i ricercatori dell’Osservatorio Data Center, ancora oggi questo settore non risulta riconosciuto a livello regolatorio. Una mancanza che si traduce, soprattutto agli occhi degli investitori, nel pericolo di una “fumosità” normativa e di una pericolosa assenza di indicazioni e procedimenti specifici per chi vuole scommettere sull’Italia realizzando nuovi Data Center sul territorio. La soluzione sarebbe quindi “definire con urgenza a livello normativo i Data Center come infrastrutture peculiari, specificandone le caratteristiche differenziali rispetto ad altri edifici già normati”. Questo permetterebbe di presentarci come territorio ospitante munito di una chiara procedura che guidi la realizzazione dei data center in Italia e ne assicuri la velocità.

Un altro aspetto affatto secondario è quello più tecnico e rappresentato dalla necessità, per grandi data center, di un allacciamento all’alta tensione. Oggi non siamo in grado di assicurarla ovunque a priori, servirebbe quindi investire in una massiccia opera di potenziamento della rete elettrica nazionale.

Per rispondere positivamente a entrambi i “to do” indicati, sarebbe auspicabile, secondo quanto riportato nella ricerca, un lavoro di ecosistema tra istituzioni e imprese. Il segreto del successo, per lo meno per un Paese come il nostro che ha bisogno di unire le forze e indirizzarle tutte nella medesima strategica direzione per non perdere le “finestre” di mercato che possono assicurargli buone probabilità di ripresa.

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