Brain Force: Agile in the Core

La società presenta un articolato programma per la piena applicazione dei metodi di sviluppo Agile nelle imprese. Un compito che presenta problemi organizzativi e di mentalità che vanno affrontati e risolti con l’aiuto di esperti ma anche sapendo bene prima ciò che s’ha da fare

Pubblicato il 30 Mar 2015

Fondata nel 1986, da quasi trent’anni Brain Force opera in Italia come società di consulenza It rivolta all’ottimizzazione delle infrastrutture e dei processi operativi dei sistemi aziendali. Impiega più di 250 professionisti, distribuiti tra la sede centrale di Cologno Monzese, nei pressi di Milano, e le tre filiali che coprono il Nord Ovest, Nord Est e il Centro Sud del Paese. Con un trend di sviluppo che la vede dal 2011, in tempi difficili per la nostra economia, crescere a un tasso superiore a quello del mercato in cui opera, nel 2014 ha fatturato 28 milioni di euro, più del 18% rispetto all’esercizio precedente.

Nell’ottobre dell’anno scorso tramite l’acquisizione della tedesca Brain Force Software GmbH, della quale Brain Force Spa era sussidiaria, la società italiana è entrata a far parte del gruppo Cegeka, una grande realtà dei servizi Ict nata nel 1992 ad Anversa e che oggi impiega più di 3.200 persone, opera in 11 paesi e ha una previsione di fatturato per il 2015 superiore ai 350 milioni di euro. Ed è appunto nella sua nuova dimensione paneuropea che di recente a Milano, nella prestigiosa quanto inusuale sede della Veneranda Fabbrica del Duomo, Brain Force ha presentato ad un gruppo selezionato di propri clienti il programma Agile in the Core.

Stefania Donnabella, cofondatrice e amministratore delegato di Brain Force

Dell’approccio Agile allo sviluppo applicativo abbiamo parlato più volte. Non ne ripeteremo quindi i principi, salvo ricordare che sotto questo nome vanno essenzialmente dei metodi di project management che prevedono il frazionamento del progetto in blocchi (“sprint”) da eseguire in tempi brevi e completare in ogni aspetto testandone le funzionalità prima di passare al blocco successivo. Questo approccio permette e promuove il coinvolgimento nel ciclo di produzione di sviluppatori, responsabili delle infrastrutture e operazioni, tester e committenti (clienti o utenti business) in modo da meglio rispondere ai bisogni di questi ultimi e potersi rapidamente adattare ad eventuali sviluppi e variazioni dei requirement. Con un’efficace metafora, Stefania Donnabella, cofondatrice e amministratore delegato di Brain Force, ha paragonato lo sviluppo di un progetto Agile alla costruzione di un’autostrada che venga realizzata via via allargando e potenziando nel tempo, in risposta alle crescenti necessità del traffico, un primitivo tracciato fin dall’inizio in grado di assolvere al compito di collegare i paesi toccati.

Succede però che applicando questo modo di procedere alla realtà aziendale si introduce un nuovo modello culturale che va ad incidere profondamente su processi organizzativi consolidati Ne risulta che spesso, soprattutto nel nostro paese, chi adotta lo sviluppo Agile si limita in realtà ad adattare alcune delle sue pratiche ai processi in atto. Per quanto ciò porti già dei vantaggi, la strada per fare dell’Agile il metodo ‘core’ dello sviluppo applicativo è ancora lunga. In quest’ottica, Agile in the Core è un programma completo, che si articola in corsi preparatori sul project management e sullo sviluppo software, rispettivamente di uno e due giorni (le cui prime sessioni si terranno il 20-21 aprile per lo sviluppo e il 27 aprile per il PM); in attività di ‘coaching’, cioè di formazione-assistenza svolte presso il cliente che rappresentano il vero valore aggiunto della proposta e infine, se necessario, di collaborazione e supporto all’avanzamento dei progetti svolte direttamente presso i centri di sviluppo di Brain Force in Italia e Cegeka in Belgio.

Arie van Bennekum, redattore dell’ Agile Manifesto e ‘thought leader’ dell’Agile in the Core

Ma, coerentemente a quanto s’è detto, più che alla presentazione del programma Brain Force, l’evento milanese si è concentrato sul modo di pensare e di agire che lo sviluppo Agile presuppone. Modo che se rappresenta un freno all’adozione piena del metodo (vedi anche intervista nel riquadro) ne è però il vero punto di forza. Punto che è stato ben illustrato dai due principali relatori dell’incontro, Arie van Bennekum, figura di primo piano nella storia dello sviluppo software, che nel 2001 è stato tra redattori dell’ Agile Manifesto (l’unico europeo, tra l’altro) e oggi è ‘thought leader’ dell’Agile in the Core, e Johan Lybaert, Applications Director di Cegeka nonché sino al 2013 presidente del capitolo belga dell’Agile Consortium. Brillante e appassionato l’intervento del primo, che ha sottolineato gli elementi di rottura culturale e organizzativa dell’Agile, osservando come: “se si vuole qualcosa che non c’era prima bisogna fare qualcosa che non s’è fatto mai”. Più pratico Lybaert, che a conclusione di una dettagliata esposizione delle differenze tra l’Agile e il ‘waterfall’ ha concluso dando ai presenti due consigli che val davvero la pena di riportare. Il primo è “focalizzarsi sul ‘minimo fattibile’’ (minimum viable product) necessario per soddisfare le richieste del business. Il secondo è: “costruire solo ciò che si userà davvero”. Sembra banale, ma chi ci ha provato sa che non lo è.


Cambiamento culturale e di organizzazione

Lo sviluppo Agile è una pratica perfezionata in oramai più di dieci anni di vita e sulla quale la stessa Brain Force ha maturato una lunga esperienza, con progetti significativi. Ci si chiede allora come mai resti per gran parte delle imprese italiane una proposta nuova, sulla quale fare ancora opera non solo di formazione ma anche di ‘evangelizzazione’.

Per Stefania Donnabella, cofondatrice e a.d. della società, “L’Italia è tipicamente un ‘follower’ quando si tratta di implementare nuove soluzioni e nel caso si tende ad essere confortati da una visione che vede nel classico approccio ‘waterfall’, e quindi nell’analisi, un fattore di protezione per chi sviluppa il software. In più, lo specialista diventa un po’ il proprietario di quello che ha sviluppato e difficilmente lo mette in comune con altri”.

È chiaro, osserviamo, che l’approccio Agile richiede un cambiamento di cultura, ma porta anche un cambiamento organizzativo, che introduce nuove figure, nuove aree di competenza e ridisegna le relazioni interne. Cosa si può fare su un problema così complesso?

“L’applicazione dell’Agile ha bisogno di un periodo di formazione per cambiare l’approccio allo sviluppo e manutenzione del software e dei sistemi. Di solito, questo segue a un’operazione di riorganizzazione che le aziende devono comunque fare per affrontare la situazione economica del mercato e che le porta verso la cosiddetta ‘lean organization’, eliminando tutto ciò che può anche dare sicurezza ma è superfluo o ridondante. E quanto più un’organizzazione è snella tanto più la trasformazione verso l’Agile diventa facile da compiere, in quanto in una lean organization il processo di delega è più flessibile e la responsabilità è più condivisa, così come il merito, che diventa più del team che della singola persona”.

Ma voi, come Brain Force, fate un’attività di consulenza e supporto in questo senso?

“In Italia offriamo dei corsi di formazione intesi appunto ad informare il cliente dei processi di trasformazione da affrontare, quindi mettiamo a disposizione i nostri ‘coach’ per aiutarli in questo percorso vivendo all’interno dell’azienda e poi ancora rendiamo disponibile la nostra software factory in Italia e in Belgio per accogliere lo sviluppo dei progetti per conto dei clienti. Sviluppo cui il cliente stesso può partecipare con persone della propria struttura It”.

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