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Open Innovation? Per CheBanca! è “un copia-incolla ragionato”

Per definire una strategia dell’innovazione di lungo termine è fondamentale osservare continuamente quello che avviene all’esterno della propria realtà. Per la concretizzazione, poi, il rapporto con le startup è una strada che porta grandi soddisfazioni. Elevate aspettative nei confronti delle soluzioni basate sull’intelligenza artificiale. Sono alcuni dei concetti espressi da Francesco Testa, Head of Innovation and Architecture, CheBanca! nel corso dell’intervista rilasciata a ZeroUno

Pubblicato il 19 Dic 2016

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Qual è il percorso che un’azienda deve compiere per portare innovazione al proprio interno, e quali sono i trend che maggiormente impatteranno sull’evoluzione verso una completa digitalizzazione? Sono alcuni dei temi trattati nell’intervista a Francesco Testa, Head of Innovation and Architecture, CheBanca! svoltasi a margine del convegno Open Digital Innovation: imprese e startup insieme per ridisegnare il futuro, organizzato da Digital Transformation Academy, nata dalla collaborazione tra Mip Cefriel, Osservatorio Startup Hi-tech, che vede la School of Management del Politecnico di Milano collaborare con Italia Startup, e Osservatorio Startup Intelligence.

ZeroUno: Come si concretizza nella sua azienda il concetto di Open Innovation?

Francesco Testa: Significa sostanzialmente quello che chiamiamo il “copia-incolla” ragionato. Non abbiamo un gruppo di ricerca e sviluppo con fondi e competenze propri e del resto nel mondo bancario, per una realtà come la nostra, non avrebbe neanche molto senso. Quindi quello noi facciamo è guardare a come si muovono gli altri player, soprattutto nei mercati nord europeo, asiatico e nordamericano, con delle puntate in Nuova Zelanda e Australia perché stimiamo che queste aree siano dai 5 ai 7 anni avanti al nostro paese in termini di innovazione. Guardiamo a quello che per noi è futuro, ma che in realtà è già il presente in questi mercati e cerchiamo di capire quello che può adattarsi ai nostri bisogni e al nostro piano industriale triennale. Su questo basiamo la strategia di lungo periodo, poi nella sua attuazione ci rivolgiamo alle startup o a vendor particolarmente innovativi; una volta definite le nostre necessità non abbiamo paura di fare outing, di dire su cosa stiamo lavorando, in questo modo ci contaminiamo con quello che sta fuori dalla nostra realtà. Ed è proprio quello che abbiamo fatto con il nostro progetto di roboadvisor andato live da qualche mese, per realizzare il quale ci siamo avvalsi della collaborazione con delle startup [i roboadvisor, la nuova frontiera della consulenza finanziaria, sono piattaforme informatiche che utilizzano algoritmi per predisporre soluzioni di investimento più o meno personalizzate sulla base delle indicazioni ricevute dai clienti; Yellow Advice, quello di CheBanca!, lanciato a febbraio 2016 è stato il primo realizzato da una banca italiana – ndr].

ZeroUno: Un dato preoccupante che è emerso dalla survey realizzata dalla Digital Transformation Academy [presentata nel corso del Convegno – ndr] è che quasi la metà (45%) dei rispondenti dichiara di non avere intrapreso alcuna azione per incorporare stimoli di innovazione esterna. Come valuta questo dato?

Testa: Se ci si rivolge solo a una platea di vendor tradizionali, si rischia che la propria proposizione sia vecchio stile e che il time to market per il rilascio di nuovi prodotti e servizi non sia in linea con le aspettative: ovviamente un prerequisito dell’innovazione è farla prima degli altri, ma difficilmente questi vendor anticipano le esigenze del mercato. Questo presupposto è fondamentale; faccio l’esempio delle chatbot [programmi basati sull’intelligenza artificiale che interagiscono con gli utenti tramite una chat ndr]: fino a 6 mesi fa nessun system integrator tradizionale aveva questa proposizione nella propria offerta, oggi ce l’hanno tutti perché è un’esigenza espressa dai clienti, ma non nasce dalla ricerca e sviluppo interna di questi vendor. L’innovazione, l’idea della chatbot, è nata altrove e solo successivamente è arrivata ai vendor tradizionali. Per questo, in CheBanca! due anni fa abbiamo costituito un gruppo innovazione che non deve essere influenzato da altre priorità se non quella di guardare quello che sta succedendo, con una vista a lungo termine; la cosa importante però è che questo non è solo un gruppo di scouting, ma scarica a terra, con il supporto di un piccolo gruppo di sviluppatori, quello che ha trovato. È così che si realizza quell’innovazione, anche in termini di time to market, che ci conferisce vantaggio competitivo. E aggiungo che anche dal punto di vista dei costi, seguire questa strada per i progetti innovativi, rispetto a quella di rivolgerci a vendor tradizionali, porta benefici non indifferenti.

ZeroUno: Ma l’azienda non è solo innovazione, ci sono processi che devono avere una solida governance e dove la sperimentazione è molto limitata. Gartner, dopo avere introdotto il concetto di bimodal IT riferendosi alle diverse infrastrutture tecnologiche, oggi parla di organizzazione bimodale dove nella stessa azienda devono convivere, anche dal punto di vista organizzativo due velocità: da un lato una simile a quella delle startup per realizzare rapidamente innovazione, dall’altro una più tradizionale per garantire il funzionamento dell’azienda.

Testa: Le startup sono molto più veloci per un motivo molto semplice: sono più piccole e non hanno bisogno di crearsi strutture organizzative complesse, ma questa non è la situazione delle aziende già strutturate o comunque di una certa dimensione. Perché l’innovazione non riguardi solo una parte dell’azienda, è fondamentale creare team interfunzionali, come facciamo in CheBanca!, dove partecipa anche una persona del gruppo innovazione, insieme a quelle del business e dell’IT, dove non solo si risolvono problemi operativi, ma si possono pensare anche nuove soluzioni che consentono, per esempio, di aggirare un ostacolo: se si lavora in un contesto esclusivamente operativo, senza altri confronti, è difficile immaginare percorsi differenti perché il day by day fagocita ogni energia.

ZeroUno: Tecnologie che permetteranno al mondo fisico e a quello virtuale di confluire; smart machine, machine learning e tutta una serie di attività che potranno essere compiute grazie all’interazione tra macchine senza l’intervento umano; le nuove piattaforme e architetture che possono supportare il business digitale. Questi sono i tre grandi mega trend identificati da Gartner all’inizio dell’anno. Dal suo punto di vista dove confluiranno i maggiori investimenti?

Testa: Per quanto riguarda il primo filone ritengo si sia ancora in una fase iniziale, per ora i numeri sono troppo bassi; solo quando crescerà il numero di oggetti interconnessi si creerà quel ciclo virtuoso, come è successo per gli smartphone, che consentirà di aprire nuovi mercati.

Credo invece moltissimo negli altri due trend. In particolare tutta la parte di smart machine, machine learning, intelligenza artificiale rappresenta un ambito molto interessante ed è un po’ la conseguenza di tutto quello che viene dal mondo dei big data: ci sono tutti questi dati, ma per poterli utilizzare, anche solo per capire come poterli utilizzare, è necessario uno sforzo enorme sia dal punto di vista economico sia da quello delle competenze. Le smart machine non solo possono elaborare questi dati, ma anche immaginare molto rapidamente nuovi scenari grazie all’autoapprendimento frutto dell’applicazione dell’intelligenza artificiale. Quello che ho fatto prima delle chatbot è un esempio eclatante: il 60% dei quesiti che vengono posti a qualsiasi tipo di azienda troverebbe risposta semplicemente leggendo quanto è scritto nei siti e una macchina intelligente può rispondere benissimo al posto di una persona; quando poi viene implementata la tecnica dell’autoapprendimento vi è un vero e proprio salto di qualità.

Anche il terzo filone per me è importantissimo, soprattutto in relazione al mercato in cui opero. Il settore bancario soffre di un problema molto antico e che sta diventando sempre più grave: le banche tradizionali sono di fatto basate su architetture degli anni ’70 e ’80 e la digitalizzazione per questi istituti ha significato mettere un ulteriore silos (un sito mobile) per rendere disponibili le funzionalità su smartphone oppure creare interfacce basate su Api. Ma è chiaro che rimane il problema di avere sotto un’architettura molto costosa e poco flessibile. Un dato fra i tanti è molto significativo: il costo dell’IT in una banca tradizionale europea è di 200 euro per utente, il costo dell’IT per Google è di 8 euro per utente. Ovviamente stiamo parlando di un settore, quello bancario, molto complesso e fortemente normato ma il confronto non regge comunque. Per questo stanno nascendo nuovi player in Europa che stanno partendo da zero con queste architetture estremamente flessibili; alcuni di questi sono di proprietà di istituti tradizionali che possono così offrire microservizi più performanti con l’intenzione di migrare poi la propria clientela verso queste nuove realtà.

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