Scenari

Cloud e CIO italiani, i dubbi non sono più sul “se”, ma sul “come”

L’obiettivo è mettere a punto una “enabling infrastructure”, in grado di far convivere sistemi on premise e utilizzo sempre più marcato di servizi soprattutto di Public Cloud. Per arrivarci occorre lavorare sull’architettura applicativa, sul fronte infrastrutturale, e su quello di gestione dei device. I risultati di un’indagine dell’Osservatorio “Cloud & ICT as a Service” del Politecnico di Milano

Pubblicato il 12 Gen 2015

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Per diversi anni in Italia il Cloud Computing, e in particolare i servizi “Public Cloud”, sono stati visti con diffidenza da molte aziende e organizzazioni, ma oggi il quadro è decisamente cambiato. Questa una delle conclusioni cruciali del più recente report dell’Osservatorio “Cloud & ICT as a Service” della School of Management del Politecnico di Milano, secondo il quale la spesa in servizi Public Cloud sta fortemente aumentando, e le interviste dirette con i CIO confermano l’ormai ampio consenso sul fatto che il Cloud sia un elemento di profonda trasformazione per il Sistema informativo aziendale.

L’indagine effettuata dall’Osservatorio su oltre 530 CIO e responsabili IT di imprese italiane infatti fa concludere che per la maggior parte di essi non vi sono più dubbi nella scelta tra adottare o meno soluzioni di Public Cloud. Il dubbio principale riguarda il “come” adottarle, con quali modalità e con quale percorso. Occorre infatti capire da un lato come comporre il proprio Sistema informativo, complementando e integrando parti On Premise con parti Cloud, e dall’altro come dovranno evolvere le competenze interne alla direzione ICT e le modalità con cui quest’ultima deve interagire con le Line of Business.

Dal punto di vista tecnico, si legge nel report dell’Osservatorio, il Cloud comporta per la direzione ICT il rischio di perdita di controllo e di visione complessiva sulla propria architettura infrastrutturale e applicativa, creando ulteriori “isole” difficili da gestire e da far convivere con i sistemi esistenti. Per evitare questa problematica la maggior parte delle aziende deve porsi come punto d’arrivo un Sistema Informativo “ibrido”, in grado cioè di far convivere i sistemi On Premise con quelli Cloud, gestendo nel contempo una progressiva transizione sempre più marcata verso il Cloud.

Il compito della direzione ICT diventa allora di selezionare, integrare, orchestrare e gestire un insieme di servizi interni ed esterni. La configurazione del Sistema informativo ibrido deve essere progettata valutando in maniera oggettiva e attenta i trade-off fra costi e benefici della migrazione verso il Cloud e le caratteristiche intrinseche dei diversi ambiti applicativi. Per arrivare a costruire un Sistema informativo ibrido occorre avviare un percorso interno di evoluzione dell’architettura IT su tre fronti: quello infrastrutturale, quello relativo all’architettura applicativa, e quello riguardante la gestione dei device, secondo un modello composto da diverse fasi che i ricercatori del Politecnico battezzano “Cloud Journey”.

L’obiettivo è arrivare a creare una “Cloud enabling infrastructure”, con tutte le condizioni abilitanti per poter sfruttare al meglio le opportunità del Public Cloud. Un obiettivo che secondo l’Osservatorio ad aziende e organizzazioni italiane è costato in termini di investimenti circa 860 milioni di euro nel 2014, il 28% in più dell’anno prima.

La Cloud enabling infrastructure si basa su tre punti chiave. Il primo è la realizzazione di Software Defined Data Center (comprendenti potenza computazionale, storage e networking), totalmente virtualizzati e gestibili via software, con tutte le normali procedure sistemistiche automatizzate, e in grado di integrarsi con diversi servizi IaaS esterni. Oggi il 9% delle aziende del campione è già pronto per affrontare questo passo, molte di più (36%) sono ferme al passo immediatamente precedente (razionalizzazione e consolidamento). La possibilità di utilizzare in maniera trasparente diversi servizi infrastrutturali (interni ed esterni), migrando con facilità fra gli stessi, è oggi un punto importante delle più moderne realizzazioni e diventa sempre più fattibile grazie all’imporsi di standard di interoperabilità.

Il secondo punto è la standardizzazione delle modalità di integrazione e orchestrazione applicativa, a livello più semplice sul front-end e nei modelli più maturi sul back-end. Il primo passo però spesso è la migrazione degli applicativi legacy, con progetti di “re-platforming” o di vera e propria riscrittura, che oggi possono riguardare il 18% del parco applicativo del campione. Il fronte dell’integrazione applicativa si dimostra senz’altro il più complesso e non ha visto nell’ultimo anno progressi significativi, con il 26% dei casi che si accontenta di un’integrazione di front-end, creando portali in grado di aggregare servizi interni ed esterni, mentre solo l’8% dei casi vede sistemi di integrazione di back-end. Oggi quindi l’integrazione applicativa è ancora uno scoglio, aggirabile solo con integrazioni ad-hoc e richiederà un’ulteriore fase di investimenti e di maturazione.

Il terzo punto è l’introduzione di sistemi di mobile device management (MDM), che consentono di gestire centralmente i device aziendali abilitando politiche di BYOD (Bring Your own device). Questa è stata senz’altro l’area di maggiore crescita nell’ultimo anno, con il 6% del campione che ha già completato questo percorso e con un interesse sempre crescente da parte dei CIO, che vedono nell’abilitazione all’utilizzo dei nuovi device un elemento strategico per l’evoluzione del proprio Sistema informativo.

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