Tavola Rotonda

Tecnologie, organizzazione e vere partnership per la business innovation

Una Tavola Rotonda, organizzata da ZeroUno in collaborazione con Elmec Informatica, per incontrare alcune aziende, Liu Jo, Barilla, Chiesi Farmaceutici, Davines, Intesa Sanpaolo e Spencer e capire i loro percorsi digitali. Journey di trasformazione che iniziano da un riconoscimento del valore dell’IT nell’impresa e proseguono con l’adozione di nuovi paradigmi in cui i fornitori possono essere partner.

Pubblicato il 20 Dic 2018

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PARMA – Se è vero che l’innovazione del business passa sempre più attraverso la trasformazione digitale, è altrettanto vero che per avviare il cambiamento occorre ripensare davvero a un disegno strategico correlato direttamente a questi obiettivi: un quadro entro il quale l’IT e il business collaborino nella definizione di obiettivi e processi in cui l’IT non è più semplice supporto ed elemento di automazione (per non dire un costo), ma una componente essenziale dei nuovi prodotti, servizi e go-to-market. In questa rivoluzione, non cambiano solo i rapporti fra business owner e tecnologi aziendali, ma anche quelli con i vendor e i service provider, dai quali non ci si aspettano più solo prodotti e servizi, ma anche consulenza e partnership in processi di co-innovation. Del resto, un approccio simile molte aziende pionieristiche nei rispettivi settori lo stanno adottando anche nei confronti di altre imprese e attori esterni, sulla base di quella filosofia che viene definita open innovation.

Di queste problematiche si è discusso recentemente a Parma nel corso di una Tavola Rotonda organizzata da ZeroUno con la collaborazione della società IT Elmec Informatica, Managed Service Provider di servizi e soluzioni IT. All’evento hanno partecipato Cio e Innovation Officer di Liu Jo (noto marchio di abbigliamento, scarpe e accessori per donna e uomo), Barilla, Chiesi Farmaceutici, Crédit Agricole, Davines, Intesa Sanpaolo e Spencer.

Dall’abbattimento dei silos all’orchestrazione

Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno

Nell’introdurre i lavori, Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, ha ricordato come “il contesto di business in cui le aziende si trovano ad operare è diventato rapido, complesso, orientato a rispondere in modo sempre più personalizzato alle esigenze dei clienti. Per essere competitive, le imprese hanno bisogno di agilità tecnologica, organizzativa, mirante ad eliminare ogni tipo di silos. E più le barriere fra queste isole si abbassano – ha continuato il direttore – più emerge la necessità di orchestrazione fra tutto ciò che prima agiva o esisteva in modo separato. Secondo un recente studio McKinsey, attualmente il 76% dei progetti di digital transformation si arena proprio su difficoltà di integrazione, complessità, mancanza di competenze in grado di supportare una vera innovazione. Anche l’Osservatorio Cloud Transformation 2018 del Politecnico di Milano pone l’integrazione fra i prerequisiti di un modello di orchestrazione della nuova era multicloud dell’IT. Fra gli altri ingredienti figurano l’automazione, la sicurezza, la governance, un nuovo modo di gestire i budget e il sourcing, l’acquisizione di nuove competenze nel dipartimento IT e l’adozione di logiche di sviluppo e gestione delle operation di tipo DevOps e Agile. Questi cambiamenti definiscono per l’IT una direzione inevitabile da seguire, per non rimanere, come ancora accade in molti casi, il dipartimento che fa funzionare le macchine e che si preoccupa di una governance di basso livello. In passato – ha concluso il direttore di ZeroUno – nelle direzioni IT si è investito molto in acquisizione di soft skill [capacità di interloquire con altre figure professionali, abilità di negoziazione e team building, e così via, ndr]: ora è il momento di affiancare a questi skill anche l’acquisizione e la messa in pratica di nuove competenze tecnologiche e di orchestrazione servizi orientate ad una marcata prospettiva business”.

Reinvestire in innovazione

Questa auspicabile evoluzione dell’organizzazione IT e del modo di collaborare fra IT e stakeholder non IT nell’era della digitalizzazione del business deve rispecchiarsi anche nel modo di proporsi e operare dei partner esterni.

Alessandro Ballerio, socio e direttore tecnico di Elmec

“Se devo riassumere le caratteristiche di Elmec – è intervenuto Alessandro Ballerio, socio e direttore tecnico del managed service provider (azienda famigliare, guidata dalla seconda generazione, con un fatturato di circa 140 milioni di euro nel 2017 e circa 700 dipendenti) – posso dire che offriamo le cose che propongono tutti, ma lo facciamo in modo diverso dalla maggior parte dei nostri competitor. Come è tipico delle aziende italiane a matrice familiare, tendiamo a reinvestire la maggior parte dei profitti. Nel nostro caso, indirizzandoli sia nell’ambito del core business dei servizi gestiti (da cui deriva circa il 60% del fatturato), sia in aree parallele, ma comunque sempre legate al mondo tecnologico. Due esempi sono la stampa 3D e le energie rinnovabili. Come si può notare, a guidare le nostre scelte è sempre la passione per l’innovazione. Per restare nel settore dei managed service, siamo impegnati a rinnovare continuamente la nostra infrastruttura – che ruota intorno a un data center Tier 4 gestito da oltre 400 tecnici certificati, di cui siamo dotati anche perché svolgiamo attività di system integration – e integriamo i device più innovativi, perché oggi la nuova frontiera in cui c’è possibilità di offrire nuovi servizi è il workplace, sono le persone. Inoltre abbiamo piani d’assunzione di persone con skill innovativi”. Ma qual è oggi effettivamente lo stato dell’arte dei processi di innovazione tecnologica nelle aziende?

Più digitalizzazione, più personalizzazione

“Il nostro prodotto – ha raccontato Andrea Veroni, CIO di Liu Jo, realtà italiana fondata dai fratelli Marchi negli anni Novanta nel distretto della maglieria di Carpi, in provincia di Modena, diventata un caso internazionale di successo – è fortemente innovativo. Ormai si sta andando sempre di più verso una personalizzazione del prodotto. I nostri articoli sono molto di più dell’aspetto materiale e del design: sono costituiti anche dalla comunicazione, dall’immagine, dalla distribuzione. Tutte tematiche che necessitano di precisi supporti tecnologici: in pratica, per noi il digitale è entrato nella distinta base dei prodotti.

Foto di Andrea Veroni
Andrea Veroni, CIO di Liu Jo

Tuttavia, il business non chiede soluzioni IT, ma di implementare una tecnologia che abiliti nuove proposte di business.

Sebbene se ne parli da anni, il tema della capacità e della disponibilità a parlare linguaggi comuni fra persone di business e IT, resta ancora attuale in molte aziende. Il problema di questa difficoltà di comunicazione è minore nei business in cui l’aspetto informatico è da sempre abilitante del servizio o del prodotto. Un esempio sono i servizi bancari e finanziari: ogni nuovo servizio bancario o prodotto finanziario non può prescindere, fin dall’inizio della sua progettazione, da un’analisi dei dati, dei programmi e delle infrastrutture IT che dovranno essere utilizzati o acquisiti. Il coinvolgimento dell’IT fin dall’inizio della definizione di una nuova offerta è scontato in questo mondo. Ma i tecnologi più innovatori delle banche non si accontentano di questo tipo di engagement, che finora ha riguardato tutto sommato processi di business tradizionali e ben noti: “Il nostro obiettivo come IT oggi è riuscire ad anticipare le esigenze del business in un’epoca in cui anche nell’ambito bancario la digitalizzazione sta compiendo passi in nuove direzioni e in modo più rapido che in passato”, ha spiegato Michele Vignali, Progettazione Infrastrutture per l’estero di Intesa Sanpaolo.

Michele Vignali, Progettazione Infrastrutture per l’estero di Intesa Sanpaolo

“Se non conosciamo il business e non sappiamo parlare il suo linguaggio, inteso soprattutto come esigenze strategiche e di rapida trasformazione di modelli, rischiamo di non essere allineati. È fondamentale essere parte del processo di innovazione fin dall’inizio, per non rischiare poi di essere travolti da una valanga di richieste quando il business coinvolge l’IT molte volte anche all’ultimo momento”.

L’importanza dell’IT in crescita dappertutto

Per tornare al mondo industriale, come abbiamo già visto con il caso di Liu Jo, aumentano le aziende in cui il ruolo dell’IT cresce e si ripensano gli investimenti da effettuare in questo campo. Con il risultato, in alcuni casi, anche di rimettere in discussione le scelte di fornitura compiute nel passato. “Da qualche tempo – ha testimoniato Massimo Bernini, IT manager di Spencer, altra eccellenza italiana della provincia di Parma specializzata in prodotti per il trasporto sanitario, l’immobilizzazione, la rianimazione, l’ossigenazione e altre soluzioni medicali – abbiamo iniziato un percorso di innovazione digitale. Stiamo continuando ad investire nell’aggiornamento del nostro data center on premise ma al contempo abbiamo deciso di analizzare quali opportunità ci può offrire il cloud per aumentare la scalabilità e l’affidabilità delle nostre applicazioni, oltre che per fruire di soluzioni che normalmente si acquisiscono as-a-service”.

Massimo Bernini, IT manager di Spencer

Altro esempio di azienda che ha deciso di abbracciare i nuovi paradigmi IT, con conseguente crescita del ruolo delle persone esperte di Information Technology, è Davines. Anch’essa è un’impresa familiare fondata a Parma, in questo caso specializzata in prodotti di cosmesi, oggi venduti in oltre settanta paesi del mondo: “L’azienda ha deciso di adottare tecnologie per il Manufacturing 4.0 – ha raccontato Stefano Oggianu, IT manager – e da allora il nostro dipartimento lavora molto insieme a chi si occupa di business”.

Stefano Oggianu, IT manager di Davines

Largo al cloud, AI e open innovation

Ma l’innovazione IT che genera direttamente valore di business è vitale anche per aziende industriali di dimensioni maggiori, che anzi spesso fanno da apripista nel settore: “Da più di 15 anni – ha spiegato per esempio Marco Rossi, VP per gli IT Global Process di Barilla – abbiamo iniziato ad appoggiarci su un service provider esterno per l’outsourcing del Data Center, precedentemente gestito in house. L’evoluzione ora propende per una diversificazione dei fornitori di servizi basati in cloud”. Una strategia multicloud, insomma. “Questa scelta – ha puntualizzato Rossi – ha imposto di dotarci di un’architettura in grado di affrontare problematiche di integrazione e di sicurezza di maggiore complessità che in passato. Ma, d’altra parte, in un’era in cui devi innovare i business model e le applicazioni in continuazione, ed effettuare lo scale up di queste ultime molto in fretta, un’architettura che governi ambienti ibridi è diventata indispensabile”.

Marco Rossi, VP per gli IT Global Process di Barilla

Per Chiesi Farmaceutici, invece, in questo momento due delle nuove frontiere della digital trasformation sono l’intelligenza artificiale e l’IoT (Internet of Things). “Nel mondo farmaceutico – ha esordito Umberto Stefani, CIO dell’azienda parmense – assistiamo alla nascita di medicinali che possiamo definire digitali, in quanto alla base ci sono algoritmi che consentono la modulazione della terapia in modo personalizzato. Per elaborare questi algoritmi è necessaria l’artificial intelligence (AI). Stiamo lavorando all’introduzione sul mercato di una nuova generazione di inalatori, per il trattamento dell’asma e della bronchite cronica, dotati di tecnologia (sensori e connettività Bluetooth) in grado di controllare l’aderenza dei pazienti alle terapie prescritte e a permettere ai medici di monitorare puntualmente l’evolversi della patologia”.

Umberto Stefani, CIO di Chiesi Farmaceutici

IoT e intelligenza artificiale sono due mondi dove, come nel cloud e in tutte le più recenti innovazioni tecnologiche, è importante la creazione di ecosistemi in una logica di open innovation in cui si condividono problemi che prima si affrontavano individualmente, provando poi a cercare soluzioni in comune. Un atteggiamento che si può sviluppare anche nel rapporto fra aziende e partner IT.

GDPR, un’occasione da non perdere

Un terreno su cui questa relazione potrebbe portare a nuovi frutti è quello dell’adeguamento alla normativa GDPR. “Mi aspettavo che, dopo un iniziale maggiore coinvolgimento degli studi legali da parte delle aziende arrivassero anche a noi partner It maggiori richieste di collaborazione” ha fatto notare Ballerio di Elmec”. Le aziende presenti hanno confermato che, nell’affrontare il tema GDPR, i top manager hanno finora ricorso soprattutto ai consulenti esperti di diritto. “Ora noi abbiamo una voce di costo specifica per la gestione IT del GDPR”, ha precisato però Rossi di Barilla.

“Il tema GDPR va affrontato sia on-premises sia in cloud”, ha ricordato Stefani di Chiesi. La scelta giusta dei partner cloud diventa cruciale: “In questo processo – ha sottolineato Bernini di Spencer – puntiamo molto sull’affidabilità”.

“Affrontando il GDPR – ha aggiunto nuova carne al fuoco Veroni di Liu Jo – le aziende scopriranno che è possibile trasformare questo obbligo in una opportunità per creare nuovi business”. Di qui la necessità di rendere la compliance di applicazioni e dati sicuri a prova di open innovation e multi-cloud. Oggianu di Davines, “Ogni nuovo progetto o processo dovrà essere sicuro by-design. Le risorse in grado di garantire ciò non possono che essere It”.

Ma non necessariamente tutte interne: “Su determinati progetti – ha sostenuto Vignali di Banca Intesa – i partner esterni esperti su determinati temi possono aiutarci ad accelerare i tempi di innovazione, e portare nuova conoscenza tra le nostre risorse”.

“Riuscire a sapere in occasioni informali come queste cosa avviene dietro le quinte delle aziende – ha concluso alla fine della tavola rotonda Ballerio di Elmec – per noi è molto importante. Un primo passo per poter in futuro fare DevOps fra l’azienda e noi fornitori di servizi gestiti”.

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