Software e Servizi It italiani: la piaga delle basse tariffe

Pubblicato il 16 Mar 2012

SCRIVETELO VOI

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Le osservazioni che seguono non hanno alcuna pretesa di sviscerare a fondo l’argomento; ci vorrebbero interi tomi, e non si riferiscono ad alcuna azienda in particolare, tantomeno la mia. Le domande sembrano scontate, anzi retoriche, ma non lo sono: mi piacerebbe proprio che qualcuno avesse la risposta.
Lo stato di salute delle società di Software e Servizi IT italiane non è particolarmente buono, e non lo è neppure quello di molte delle filiali italiane delle multinazionali del software.
A stare peggio sono le società di servizi o in cui la componente di servizi è predominante rispetto al software pacchettizzato: è il quadro che scaturisce dall’analisi condotta da Nextvalue per il Rapporto Assintel 2011, quadro del resto confermato dalle cifre che provengono anche da Assinform Confindustria.
Leggendo quelle pagine non mi sono affatto stupito. Sono dati che in qualche modo mi aspettavo visto che parlo quotidianamente con colleghi di Milano, Torino e Roma. L’Ebitda a due cifre è un miraggio, gli utili, quando ci sono e non sono il frutto di alchimie di bilancio, sono comunque scarsi e insufficienti a garantire crescita e innovazione, la situazione finanziaria fa sovente rabbrividire.
Ma perché siamo in questa situazione? Come sempre le cause sono molteplici, ma ne voglio evidenziare una, la più semplice, a mio avviso la più importante: tariffe troppo basse (e progetti e servizi valorizzati sulla base delle tariffe troppo basse).
Perché se vado a Nizza, Marsiglia, Monaco o Stoccarda un idraulico, un dentista, un consulente amministrativo lo pago esattamente come a Torino o Genova o Roma, mentre un analista programmatore, un sistemista, un esperto SAP lo pago il doppio?
Perché vengono bandite e aggiudicate gare, in particolare dalla Pubblica Amministrazione, a tariffe giornaliere insufficienti a coprire il solo costo della risorsa umana derivante dall’applicazione dei principali contratti di lavoro nazionali?
Siamo convinti tutti ormai della necessità di “digitalizzare l’Italia”; ne è convinto il Governo, lo sono Confindustria e le altre associazioni di categoria; esistono anche stime sui risparmi, sull’incremento del Pil che potrebbe derivarne, sull’incidenza sulla competitività delle nostre aziende.
Ma se aziende ed enti pubblici ne sono veramente convinti, perché non spendono qualcosa in più nell’IT?
Per poter supportare adeguatamente il processo di digitalizzazione, le nostre aziende di software e servizi IT devono cambiare, innovarsi, crescere da un punto di vista dimensionale, altrimenti nelle attività di digitalizzazione del nostro Paese verranno coinvolte e trarranno vantaggio le sole multinazionali straniere oppure, e lo ritengo più probabile, il processo stesso verrà abortito. E lo stato di salute in cui versano le nostre aziende, vedi sopra, non sembra compatibile.
Un’altra conseguenza negativa derivante dalle tariffe troppo basse è l’impossibilità di garantire un adeguato livello retributivo alle risorse, anche a quelle di valore che costituiscono il motore delle azioni di rinnovamento.
A puro titolo di esempio, mi è capitato recentemente di entrare in contatto con studenti torinesi che avevano appena conseguito una doppia laurea, a Torino e a Nizza (Sophia Antipolis): le offerte economiche che avevano ricevuto a Nizza, come primo impiego, erano esattamente una volta e mezza quelle che avevano ricevuto qui a Torino  e che avremmo potuto fargli noi come azienda italiana.
Perché non siamo in grado di offrire adeguate prospettive di carriera (retributive in special modo) alle risorse indispensabili per attivare il processo di modernizzazione che diciamo tanto di voler intraprendere?
* Andrea Giacardi, Presidente Consoft Sistemi

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