Mentre le grandi imprese avanzano con decisione verso lo smart working, secondo i dati di un report recentemente presentato dal Politecnico di Milano, lo stesso non si può dire delle Pmi: “Rispetto all’anno scorso, nel 2016 la percentuale di quelle che hanno iniziative strutturate è rimasta ferma al 5% (figura 1)”, spiega Mariano Corso, Responsabile Scientifico, Osservatorio Smart Working, che prosegue: “Non esistono ostacoli legati ad attività o a costi di implementazione; la barriera è nella cultura della nostra Pmi tradizionale, basata sul presenzialismo e sulla gerarchia, di una rigidità che contrasta con quelle che saranno le sfide che queste realtà dovranno affrontare nei prossimi anni entrando in una competizione globale”.
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Solo un dato positivo: sono quasi dimezzate le realtà che si dicono disinteressate al fenomeno; adottando una prospettiva a lungo termine, la speranza è che sia l’inizio di un percorso.
Altrettanto critica è la situazione della Pa, su cui si è largamente discusso durante l’evento di presentazione del Report. Per quanto da un punto di vista normativo, attraverso la Riforma Madia, siano stati fatti degli sforzi per suggerire un’apertura verso lo smart working, non c’è ancora stato un cambiamento importante, fatta eccezione per pochi casi virtuosi.
“E tuttavia la Pa dovrà necessariamente muoversi”, dice Corso, che quindi spiega quali sono le tre ragioni per cui il lavoro agile è irrinunciabile anche in questo settore:
- consente alti risparmi e miglioramenti sulla produttività dei lavoratori;
- è un modo per motivare dipendenti pubblici spesso frustrati dall’attuale rigidità degli enti;
- è una leva fondamentale per risultare attrattivi verso i talenti.
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