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Osservatorio Ambrosetti: luci e ombre della transizione digitale italiana

Il monitoraggio dell’avanzamento del PNRR, l’Intelligenza Artificiale nelle PMI italiane e come l’Italia affronta la sicurezza sono parte dei dati presentati dall’Osservatorio sulla Trasformazione Digitale dell’Italia

Pubblicato il 12 Dic 2023

Immagine di Harvepino su Shutterstock

Nel contesto digitale italiano esiste un dualismo simile alla psiche umana tra luci di innovazione e ombre rappresentate dal divario e dalle lacune. In questo labirinto digitale, come nell’animo di junghiana memoria, si intrecciano successi e recessi che ci spingono a fare un balzo verso un progresso digitale equilibrato e inclusivo.

L’Osservatorio sulla Trasformazione Digitale dell’Italia risultato della collaborazione tra The European House-Ambrosetti (TEHA) e Fondazione IBM Italia, nasce per analizzare e sostenere la transizione digitale italiana nel contesto europeo, secondo principi di maggiore inclusione, oltre che etici e sostenibili.

Un’analisi dal forte valore strategico, che osserva più nel dettaglio il posizionamento dell’Italia rispetto a quanto fatto dagli indicatori del DESI (Digital Economy and Society Index), avvicinandosi molto alla metodologia presente nel Rapporto sullo stato del Decennio Digitale che, di fatto, oggi integra il DESI.

Quello che fa l’Osservatorio è tenere conto di criteri e di ambiti di sviluppo calati su dimensioni più specifiche come possono essere le diversità tra territori. Allo stesso tempo, segue i progressi delle aree di intervento pubbliche e private del nostro paese come l’andamento del e-commerce (48,1 milioni di euro nel 2022) oppure l’adozione del Fascicolo Sanitario Elettronico (98% della popolazione).

“I progressi del nostro Paese sono molti, come dimostra il Tableau de Bord dell’Osservatorio che delinea un quadro ricco di opportunità a partire dal PNRR e dalle molte possibilità che offrono tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale. Ma è necessario accelerare la transizione e promuovere competenze ed ecosistemi di collaborazione pubblico-privato” spiega Lorenzo Tavazzi, Partner e Responsabile Scenari & Intelligence di The European House – Ambrosetti.

Luci e ombre: un’Italia ancora inconsapevole

Secondo il rapporto, l’Italia è ultima in Europa per numero di laureati in discipline ICT: 1,4% con un valore di 2,8 volte inferiore rispetto alla media europea. Ed è al sedicesimo posto per crescita nel triennio 2019-2022.

Nonostante nell’ultimo anno sia migliorata di 1,1 punti nella dimensione legata al capitale umano (la media europea è di 1,2 punti), l’Osservatorio ha stimato che al ritmo attuale servirebbero 9 anni per colmare il gap e raggiungere il valore europeo. Inoltre, esiste un divario maggiore (78%) rispetto alla media europea (73%) per livelli di istruzione tra chi utilizza Internet.

Ma il dato che più di tutti colpisce è come, nel nostro paese, ci sia poca consapevolezza sul digitale. Alla domanda: “Immaginandoti nel 2030, ritieni che l’utilizzo degli strumenti digitali e di Internet ti porteranno più vantaggi o svantaggi?” Solo il 36% ha risposto che porterà più vantaggi che svantaggi.

Il processo di trasformazione digitale dell’Italia è frenato da carenze nelle competenze digitali diffuse, ma anche nel data sharing: solo un terzo delle aziende scambia dati con la pubblica amministrazione o con stakeholder.

Perché il PNRR è una opportunità?

In Italia, i fondi destinati alla totalità delle misure a sostegno del digitale, presenti nel PNRR, sono maggiori rispetto a quelli di Francia, Germania e Spagna messi assieme: 48 miliardi di euro rispetto a 41,3 miliardi (con quote rispettivamente di 19,6 mld, 8,4 mld e 13,3 mld). Secondo i dati dell’Osservatorio, gli impatti strutturali abilitati dal PNRR al 2026, sono stimati a +1,9% del PIL, di cui +1,2 % connesso agli investimenti in digitale e tecnologie. Sempre secondo il rapporto, l’impatto complessivo potrebbe arrivare a +13% rispetto a uno scenario senza PNRR.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi di digitalizzazione. Secondo la relazione dello stato di avanzamento del PNRR, a novembre 2023, delle 40 condizioni in scadenza appartenenti alla Missione 1, ne sono state già raggiunte 5 e al momento, il 76% degli investimenti sono in corso.

Negli ultimi 20 anni l’Italia ha accumulato un enorme gap di produttività nei confronti dei competitor europei. Rispetto ai livelli del 2000, abbiamo il livello di PIL pro-capite più basso. Fattore frenante è la performance legata alla produttività multifattoriale che in Italia rappresenta un contributo negativo alla crescita.

La produttività multifattoriale, conosciuta come energia del sistema, misura il contributo alla crescita derivante da diversi fattori tra cui anche la digitalizzazione. L’Osservatorio stima che nei prossimi 5 anni, l’adozione del cloud ha il potenziale di generare un livello di produttività multifattoriale superiore del 3,5% per un’impresa media.

Connettività, sicurezza e sostenibilità

L’Italia è prima tra i paesi UE per copertura 5G e ha lanciato la nuova strategia per la Banda Ultra Larga (2023-2026) da 2,8 miliardi di euro. Prima anche per la copertura 5G nelle aree rurali. Resta indietro, però, per il livello di adozione della banda larga fissa tra le famiglie (24° posto).

La nuova strategia per la banda ultra larga con una buona parte dei finanziamenti legati al PNRR, spinge molto sulle reti mobili (dopo Israele, l’Italia è il paese al mondo dove la navigazione in mobilità costa meno). Punta alla creazione di una rete di backhauling in fibra ottica di proprietà pubblica e sullo sviluppo di connettività fissa con attenzione ai piccoli comuni. Ma la necessità importante è spingere il passaggio dalla disponibilità alla vera adozione. In Italia le reti moderne sono sottoutilizzate: 20% di utilizzo, rispetto al 64% della Francia e all’86 % della Spagna.

In tema di sicurezza, le imprese italiane che hanno definito o aggiornato le policy di sicurezza ICT negli ultimi due anni superano la media europea (8° posto).
Bene anche il numero di imprese che informano i dipendenti sugli obblighi di sicurezza ICT (9° posto). Considerando che le imprese che adottano misure di sicurezza sono al di sopra della media europea, l’Osservatorio ritiene che la cybersecurity debba essere vista come valore aggiunto e competitivo per le stesse organizzazioni.

L’adozione di tecnologie sostenibili all’interno delle aziende è ancora scarsa: l’Italia è al 15° posto per imprese che utilizzano Internet of Things per la gestione del consumo energetico (8%). Il numero di imprese che utilizzano le tecnologie digitali a supporto della sostenibilità è inferiore rispetto alla media europea (60% contro il 66%). L’Italia resta sopra la media solo per diffusione di smart meter (contatori intelligenti).

AI: il punto di svolta frenato dalla fiducia nell’applicabilità

La rilevanza strategica dell’intelligenza artificiale, non solo è indiscussa, ma è legata a una previsione di crescita annua stimata del +39% entro il 2030. Crescita venti volte più veloce rispetto al 2021. Nonostante l’Europa rappresenti un’eccellenza scientifica, il livello di investimento in AI è ancora irrisorio: solo il 7% di investimenti a livello globale contro un 80% proveniente dall’insieme di USA e Cina.

Eppure, le opportunità per il nostro paese sono estremamente rilevanti. Secondo i dati dell’Osservatorio ampliati con il contributo di Microsoft, a parità di ore lavorate, l’AI generativa è in grado di produrre 312 mld di valore aggiunto annuo (18,2% di PIL) o di liberare 5,7 miliardi di ore di lavoro sempre annue.

Ma sui vantaggi pesano altrettante difficoltà. Gli aspetti da governare sono tanti: dati e privacy quando ci si trova a dover addestrare dei modelli su dati per cui non si dispone della proprietà intellettuale oppure la gestione di bias come i risultati che non sono equi oppure non affidabili.

Ma andando a guardare al tessuto imprenditoriale italiano emerge un aspetto importante. Oltre un’azienda italiana su cinque (21,8%) non sta utilizzando tecnologie di AI e non prevede di farlo, soprattutto perché non ne vede l’applicabilità. C’è, di fatto, una mancanza di un chiaro utilizzo di business. Un dato che può influire sulla crescita “intelligente” delle aziende più dei possibili rischi normativi o della stessa mancanza di competenze.

Le PMI italiane hanno un peso molto alto all’interno del tessuto economico italiano ma hanno ancora bisogno di accedere a tecnologie e competenze di base prima ancora di pensare a sistemi avanzati.

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