La solitudine dell’informatico

Pubblicato il 11 Mag 2011

Dall’euforia alla depressione in dieci anni: è questo il mood che aleggia, e non da poco tempo, nella nostra professione.
Dai fasti della net revolution alla quaresima di questi tempi avari di soddisfazioni. Cosa è successo e soprattutto cosa succederà all’informatica italiana nel prossimo futuro?
Torniamo indietro di qualche anno, a quel terribile 2001 segnato dal doppio choc dello scoppio della bolla e della caduta delle Torri, fatti naturalmente non collegati ma che hanno segnato uno dei punti più bassi della fiducia nel sistema economico e politico mondiale, e più marcatamente in quello occidentale.
Se torno con i ricordi a quel periodo, mi viene in mente un episodio significativo del ruolo e delle aspettative che l’economia tutta, dagli imprenditori ai manager, ai piccoli investitori, riversava sull’informatica come formidabile strumento di creazione di ricchezza.
Mi trovavo con il Ceo di una grande azienda assicurativa in attesa del proprietario di una società di software che proprio quel giorno doveva quotarsi a Piazza Affari, dopo una campagna ben orchestrata che aveva trasformato l’azienda in un (falso) campione della web economy. Oggetto dell’incontro era la firma di un contratto per la fornitura di servizi, valore qualche centinaio di milioni, che avevo sfortunatamente ereditato da una precedente gestione. L’imprenditore si presentò con quasi due ore di ritardo e la giustificazione fu che la sua presenza era stata richiesta in Borsa per le difficoltà riscontrate all’atto della quotazione: eccesso di rialzo. L’azienda riuscì a fatica a quotarsi il giorno dopo e in pochi mesi raggiungeva una capitalizzazione non distante da quella del Gruppo Fiat. Due anni dopo falliva, l’imprenditore veniva arrestato e i cocci sono ancora in giro sul mercato.
La discesa verticale della fiducia nei confronti dell’It comincia esattamente a valle di quel periodo di follia, che a dire il vero ha visto la partecipazione congiunta di pirati appartenenti a diverse categorie professionali, dalle banche d’affari ai venditori di fumo tecnologico [tra questi mettiamoci pure l’incompetenza e la tendenza modaiola di alcuni media ndr], dagli speculatori professionali ai piccoli investitori avidi di facili guadagni. Le colpe del mondo professionale dell’It in realtà erano molto limitate e a mio parere da ricercarsi nell’incapacità di fare barriera di buon senso rispetto alle stupidaggini che venivano periodicamente presentate come occasioni della vita. Da quel momento, si è passati da un livello di autonomia, posizionamento aziendale e budget gestito di tutto rispetto ad una libertà vigilata ai margini della stanza dei bottoni. Oggi il Cio, salvo eccezioni, si trova quasi sempre a dipendere dal Cfo o dal Personale, ma anche quando ha la possibilità di essere a riporto del Ceo di fatto ha scarsa autonomia e ancora minore considerazione.
La crisi dei subprime ha poi fatto il resto: il budget già risicato ed in continua riduzione ha subìto un brusco calo e la parola d’ordine è diventata cost saving, lacrime e sangue su tutta la linea, in trincea con l’elmetto in testa a difendere il perimetro dell’operatività, ma niente balzane idee di innovazione, risparmio a tutta birra!
L’altra faccia della luna è naturalmente costituita da fornitori senza più margini, costretti ad una corsa ai ribassi che nel migliore dei casi li ha obbligati a contrarsi o ad abbassare il livello di qualità, nel peggiore a fallire o ad essere comprati dalle poche aziende robuste ancora in circolazione.
Ma qual è la situazione dell’It oggi in Italia, aldilà dei dati che tutti conoscono e che costituiscono solo il sintomo ma non la causa della malattia? Andiamo con ordine.
– La spesa informatica: in calo da diversi anni; piccola ripresa nell’hardware, per ovvi motivi di svecchiamento, e ancora riduzione nel software.
– Occupazione: in contrazione; per la prima volta nella storia dell’It c’è un massiccio ricorso ai licenziamenti, alla cassa integrazione o, nel migliore dei casi, ai contratti di solidarietà. La riduzione del personale colpisce indifferentemente clienti e fornitori, anche quando i risultati economici non sono così negativi; ma l’It ha smesso da tempo di essere una zona franca rispetto alle ristrutturazioni aziendali.
– Istruzione: sono in fortissimo calo le iscrizioni ai corsi di laurea in informatica, alcune facoltà stanno persino rinviando le lauree pur di mantenere il numero minimo di studenti necessario per evitare la chiusura dei corsi.
– Non c’è stata l’auspicata concentrazione dei fornitori; continuiamo ad avere una miriade di piccole aziende con scarso potere contrattuale e qualità in calo; al contrario, la crisi del settore ha portato gli espulsi dai vecchi contesti a creare nuove piccole aziende, aumentando l’entropia del sistema.
– L’It non ha un livello di rappresentatività adeguato alle sue dimensioni, non c’è concertazione fra le associazioni di settore, malgrado il numero di addetti sia ai primi posti nel mondo del lavoro.
Potrei continuare per un po’, ma temo che il mood depressivo assalga anche me e quindi metto la barra verso le domande.La prima è ovviamente se questo quadro fosco sia destinato a durare e la mia opinione è che l’ultima crisi abbia segnato una discontinuità strutturale rispetto al passato, un salto verso il basso dal quale è difficile pensare ad un rimbalzo, almeno in tempi brevi.
Le aziende clienti si sono accorte che era possibile ottenere servizi a costi nettamente più contenuti rispetto al passato e che potevano tranquillamente sopravvivere anche dopo una energica strizzata ai costi interni, stabilendo quindi nuovi paradigmi di costo/prestazioni che costituiranno il benchmark per i prossimi anni.
Naturalmente il baco nascosto sta nel livello qualitativo del servizio, ma prima che questo emerga con chiarezza passerà del tempo. Ma l’informatica nel suo complesso costava davvero troppo? Io credo di si, naturalmente in rapporto al valore generato.
C’è anche un fatto non marginale da tener presente: la Business It, quella dei grandi sistemi Erp o Crm, è vecchia di una generazione, non vive più di grandi innovazioni ma di puro mantenimento e il suo costo di gestione è da tempo sproporzionato rispetto ai vantaggi percepiti; in un certo senso è diventata un’area normalizzata, una commodity non diversa da altri settori e pertanto sottoposta a Kpi di puro costo.
L’area innovativa dell’It, ed i relativi investimenti, si è gradualmente spostata verso il mercato consumer, sulle applicazioni per smartphone, sull’iPad e i Tablet suoi fratelli, sul social gaming, tutte aree con un mercato immenso di clienti pronti a spendere per avere o usare l’ultima novità. Peccato che lo sviluppo di queste applicazioni sia praticamente assente in Italia, e non a caso il nostro paese è stato il peggiore sia nella caduta sia nella (piccola) ripresa economica.
Quindi non abbiamo speranze? Non è detto; sotto la superficie c’è comunque movimento, in alcuni casi reale ed in altri un po’ gonfiato, ma credo che davvero alcune novità possano far smuovere il mercato, creando opportunità per le nostre imprese, clienti o fornitori che siano.
Il Cloud ad esempio, ma non solo, potrebbe innescare un circolo virtuoso, dando la possibilità alla miriade d’imprese ancora lontane dall’It di accedervi a basso costo, superando tutti quei problemi di costo, certo, ma soprattutto di capacità di gestione, che finora hanno costituito una barriera all’ingresso invalicabile.
C’è poi movimento anche tra i fornitori: un paio di “campioni” nazionali stanno cercando insistentemente di espandersi all’estero, ma anche aziende di dimensioni più ridotte, magari al seguito delle nostre multinazionali tascabili, stanno provandoci e per quanto ne so con un certo successo.
Diciamocela tutta: non è facile per le nostre aziende acquisire mercato in Francia, Germania o Inghilterra; c’è un problema più generale di credibilità del sistema paese che non ci favorisce, ma non è la capacità tecnica o manageriale che ci manca perché chi riesce a svilupparsi nel nostro contesto deve essere per forza bravo e i primi successi di queste iniziative non possono che rallegrarci.
Capire dove stanno i problemi è tuttavia il primo ed indispensabile passo per tentare di risolverli.
L’obiettivo che mi porrei in questa rubrica è di provare ad affrontare insieme ai lettori le difficoltà che affliggono la nostra categoria professionale e tentare di dare qualche suggerimento per uscire dal guado, nella convinzione che il nostro sia ancora uno dei più bei mestieri del mondo.

* = Marco Forneris è un professionista che opera nel campo dell’informatica e dell’organizzazione dagli anni ’70.
Laureato a Torino, ha insegnato nella locale Università per un paio d’anni prima di cominciare la sua carriera in Olivetti.
Ad inizio degli anni ’80 ha fondato insieme ad alcuni ex compagni di corso una delle più importanti società italiane nell’ambito dell’automazione industriale, ceduta in seguito ad una multinazionale francese per la quale ha ricoperto importanti incarichi in Europa.
È stato successivamente Chief Information Officer di: Il Sole 24 Ore, Assicurazioni Generali, Gucci, Fiat e Telecomitalia.
Attualmente si occupa di Merge&Acquisition e Business Development per aziende di Information Technology, per Private Equity e per Banche d’affari.

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