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Ethereum passa alla proof of stake ma il futuro della blockchain è multilayer

Il cambio di meccanismo di consenso di Ethereum resterà nella storia, perché effettuato in corsa e garantendo massima continuità. Il suo abbandonare la proof of work per la proof of stake agita i mercati e interroga gli utenti sulla propria carbon footprint. Intanto gli esperti guardano a scenari più lontani e possibilmente in grado di preservare la natura inclusiva e decentralizzata della blockchain. La condizione necessaria per immaginarli è un’interoperabilità ancora tutta da costruire. 

Pubblicato il 15 Set 2022

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Sostituire il motore in corsa con 183 miliardi di dollari in gioco. Anche dopo mesi e mesi di test interni e discussioni al contorno, la scommessa di Ethereum ha tenuto il mondo blockchain con il respiro sospeso. Il cambio di meccanismo di consenso (deciso forse addirittura dalla sua nascita) non poteva essere fatto resettando tutto. L’unica opzione era affrontare questa “acrobazia” puntando a garantire che i diversi client utilizzati dai validatori potessero funzionare insieme al momento del Merge.

“Si tratta di effettuare tutti i passaggi in modo adeguato, è una sfida operativa, non tecnologica perché entrambe le tecnologie sono ben note. Resta un momento cruciale, una ‘prima volta’ storica” spiega Marco Vitale, presidente e co-founder di Quadrans.

Nuovi scenari “appesi” all’ipotesi di fork

La preparazione al Merge per il team Ethereum è iniziata nel dicembre 2020, quando gli sviluppatori hanno creato una nuova blockchain parallela chiamata beacon chain. Basata sul meccanismo di consenso proof of stake, era già praticamente il nuovo Ethereum. Per 18 mesi è stata sottoposta a stress test e validazioni, funzionando in modo isolato fino al grande giorno. Il 15 settembre tutti i dati saranno riversati su questa nuova blockchain, incrociando le dita per la presenza dei classici bug, non sempre risolvibili in tempi brevi.

“Fino a quel momento non è possibile capire se la community apprezzerà. Uno scenario probabile è la creazione di un fork. Se il 50% + 1 aggiorna i propri sistemi convertendoli alla proof of stake, il passaggio avviene, ma il restante 49% ha la piena libertà di continuare a operare con il proof of work creando un nuovo network parallelo. Sarebbe l’unico modo di continuare a guadagnare per chi ha fatto grossi investimenti per la proof of work e, con il merge, si troverebbe tra le mani ‘pezzi di ferro’ inutili” spiega Vitale.

Secondo il presidente di Quadrans, l’ipotesi di fork è anche ciò che ha reso il mercato altalenante nei giorni pre-merge. “Nel caso di reti parallele, i possessori di wallet potrebbero anche registrare un duplice guadagno molto interessante. Molti hanno quindi cambiato bitcoin in ethereum affossando il prezzo dei primi e facendo stock dei secondi. Una mera operazione finanziaria scommettendo sul merge e sul fork”.

Oltre che sul mercato, il cambio motore in corsa di Ethereum potrebbe migliorare anche la “fama” della blockchain, mostrandone l’agilità di adozione e di gestione. Nessuno impatto invece sul rapporto con Bitcoin. Dipinti spesso come avversari, soprattutto dopo la scelta di cambio meccanismo di Ethereum, questi due player hanno obiettivi diversi e non sono “paragonabili”.

Vitale spiega inoltre che, “non si è mai visto nel mondo crypto/open source che il “figlio superi il padre”. Visto che Ethereum è nata nel 2015 partendo dalle basi di Bitcoin, reputo che quest’ultimo resterà per sempre il riferimento per il mercato crypto. Dal punto di vista tecnologico, l’orizzonte a cui bisogna realisticamente guardare è invece quello di una blockchain ibrida, POS e POW. Ci sono peculiarità su POW che non sono colmabili con la POS, quindi l’ideale sarebbe poterle avere entrambe”.

Centralizzazione e discriminazioni: un rischio di governance, non di tecnologia

Pur tenendo tutti con il fiato sospeso, il Merge non ha evitato di accendere un dibattito sui possibili rischi legati alla proof of stake. La concentrazione della ricchezza su pochi, la nascita di centri decisionali e il pericolo di manipolazione in primis. Tre minacce alla natura decentralizzata della blockchain. A parer di Vitale si tratta di rischi non legati alla tecnologia POS, ma al modello di governance.

“Per partecipare al nuovo meccanismo di consenso e attivare un nuovo validatore, oggi è necessario bloccare sul nodo 32 Ethereum, pari al cambio attuale a circa 56.000 euro. È la scelta di questo elevato quantitativo, e non la proof of stake in sé, che rischia di mettere il potere nelle mani degli exchange permettendo loro di ri-centralizzare andando contro alla filosofia della blockchain.

Ethereum potrebbe diventare una rete remunerativa solo per ricchi ed early adopter. Chi, infatti, è entrato più tardi nel mercato non ha ancora potuto raggiungere un quantitativo di Ethereum sufficiente per poter far parte del meccanismo di consenso e validare le transazioni. Una sorta di ‘discriminazione’ a discapito delle regole principe di inclusione e decentralizzazione con cui nasce la blockchain”.

La scelta dei 32 Ethereum è presto spiegata dal bisogno di garantire sicurezza, anche con il nuovo meccanismo. Mentre un malintenzionato ha bisogno del 51% della potenza di calcolo per superare un sistema proof of work, avrebbe bisogno del 51% del totale degli ether puntati per superare il sistema proof of stake. Più Ethereum totali vengono puntati, più la rete diventa sicura, poiché il costo per raggiungere il 51% del capitale aumenta.

Scelta obbligata, quindi? Secondo Vitale esiste un’alternativa. “Creare due tipologie di minatori con due soglie di ingresso differenti, per chi può allocare e tenere bloccati molti soldi e per chi resta invece più operativo. Con questi due layer, tutti possono partecipare al network e guadagnare qualcosa. Quadrans è sviluppata in questo modo e la soglia di entrata più bassa per partecipare al meccanismo di consenso corrisponde alla valorizzazione attuale del Token poco più di 150 euro. Il pericolo di centralizzazione e discriminazione non è legato alla scelta della proof of stake”.

La svolta green e i nuovi orizzonti multilayer

Da quando gli enigmi crittografici non faranno più parte del sistema, secondo la Fondazione Ethereum il consumo di elettricità diminuirà di circa il 99,65%. Anche questo aspetto ha fatto discutere il mondo blockchain, che oggi si trova spesso etichettato come energivoro “a priori” e accusato di greenwashing quando si difende. In questo caso si tratta di cifre attendibili, secondo Vitale, che nella “sua” Quadrans ha calcolato un impatto ambientale irrisorio: “ogni transazione da validare con proof of stake richiede un ottavo di energia rispetto a una ricerca su Google”.

Dati alla mano e crisi energetica all’orizzonte, i player si interrogano ma la svolta, secondo Vitale, partirà dagli utenti. “La maggior parte delle aziende, oggi, presta molta attenzione ai temi energetici e ambientali. E non può permettersi di scegliere una blockchain con alti consumi ed emissioni di CO2. Questi diventeranno elementi sempre più fondamentali di competitività, ciascun settore effettuerà scelte in linea coi propri valori, ma il trend globale è chiaro”.

Non si tratta di un braccio di ferro tra proof of work e proof of stake, però, perché c’è un proliferare di meccanismi “green” di consenso che, seppur di nicchia, hanno la loro utilità. La proof of capacity ne è un esempio: si basa sulla quantità di storage che i miners possono mettere a disposizione e chiede loro “solo” di condividere parti di hard disk.

Saranno queste nuove “proof” le future protagoniste di merge stile Ethereum, ora che è dimostrato sia possibile effettuarne? Vitale non prevede un futuro costellato di annunci di merg,e ma una grande blockchain multilayer. “In ogni livello potranno valere meccanismi di consenso differenti ma saranno tutti collegati tra loro e ciascuno si potrà posizionare dove desidera. Si tratta di una sorta di interoperabilità tra blockchain. Oggi non esiste ma la raggiungeremo”.

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