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Appian e Amadori: “Il low code vince la sfida del manufacturing”



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Il percorso di digital transformation avviato da Amadori con Appian sta migliorando il suo business e la qualità di vita lavorativa di dipendenti, clienti e fornitori. La vera sfida è stata il change management, la vera vittoria potrà essere il dimostrare al settore manufacturing che ci si può innovare

Pubblicato il 1 mar 2024

Marta Abba'

Giornalista



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Ci sono casi di successo fini a sé stessi, il cui impatto resta circostanziato all’interno della schiera di relazioni e della supply chain dei protagonisti. Ci sono casi di successo che, invece, aprono nuove porte e sbloccano potenzialità rimaste sepolte sotto i tanti “si è sempre fatto così” e i “non si può fare”. È questa la prima considerazione che emerge dalla lettura che Amadori, celebre gruppo agroalimentare italiano, fa del suo percorso di digitalizzazione. Un segnale che, anche nel manufacturing più complesso e intricato, ci sono spazi di miglioramento digitale.

La seconda, invece, è che la tecnologia può ottimizzare ciò che già si fa, almeno all’inizio, per poi eventualmente creare nuove opportunità e prospettive. Molto dipende da chi decide internamente se e come sfruttarla, ma anche dall’affiatamento che si crea con il partner di digital transformationche si sceglie.

Il bisogno di orchestrare semplificando

Amadori ha iniziato cinque anni fa la propria evoluzione IT e lo ha fatto con Appian, diventando un pioniere non solo per la sua provenienza “diversa” rispetto al tradizionale target dell’azienda, ma anche per il coraggio di puntare sul cloud e su alcune funzionalità “fresche di mercato”.

“Avevamo bisogno una piattaforma per gestire il nostro percorso di digitalizzazione in modo semplice, coprendo tutte quelle aree che restavano escluse dai gestionali tradizionali – racconta Sandro Salvigni, IT & Digital Transformation Manager di Amadori – dovevamo intervenire sui numerosi processi non strutturati e su quelli che coinvolgevano soggetti esterni, propedeutici alla fase di consolidamento dei dati nei nostri ERP. È sempre importante orchestrarli comunque, perché impattanti sul business anche se non al centro della strategia aziendale”.

Quella di Amadori, sottolinea Salvigni, non è stata una scelta dettata dal semplice obiettivo di potersi definire “azienda all’avanguardia”, ma una necessità fortemente sentita. La mancanza di integrazione tra sistemi rendeva infatti difficile sia monitorare operazioni manuali e attività complesse, sia reperire informazioni sui processi. La mancanza di visibilità tra le operazioni alzava inoltre i tassi di errore e le ridondanze, creando forti attriti all’avvio di ogni possibile collaborazione interna.

“C’era la necessità di creare rapidamente un front end per interagire sia sulla base dati su Appian, sia su quella del nostro backend” spiega Salvigni, chiarendo gli obiettivi con cui l’azienda ha iniziato il percorso con Appian. Semplificare il lavoro di dipendenti, partner e clienti, ma anche velocizzare la distribuzione delle applicazioni, modernizzando l’intera infrastruttura tecnologica.

Low code e low profile: un’innovazione step by step

Partendo “dall’edge” aziendale, senza toccare il suo core business, Amadori e Appian hanno iniziato a rivoluzionare la gestione delle riparazioni delle flotte aziendali di auto e mezzi industriali. Un processo che richiedeva scambi continui di documenti cartacei con una trentina di officine esterne. Un “via vai” ad alta probabilità di errore e intoppo che, una volta portato su piattaforma, Salvigni descrive come “un ordinato flusso di operazioni semplici, tracciate e agilmente accessibili a tutti i protagonisti”.

Dopo questo primo step, ne sono seguiti altri, abbracciando numerosi e differenti ambiti di applicazione. Dai processi di acquisto e dall’innovation management, alla gestione dei contratti, dell’IT e dei file clienti, oltre che del packaging label management.

È il momento del competence center

Nelle parole dei protagonisti, il processo viene descritto come un percorso di digitalizzazione graduale e collaborativo, lato aziende, ma anche partecipativo, lato dipendenti. “Questa esperienza è stata per noi una cartina tornasole. Abbiamo trasformato le sfide per noi nuove del manufacturing in punti di forza, intervenendo per migliorare sia l’operatività dell’azienda sia l’esperienza dei suoi clienti e fornitori” racconta Silvia Speranza, Regional Vice President di Appian Italia.

La vera sfida, però, per Appian come per la stessa Amadori, è stata l’adoption. “Siamo riusciti a dare aiuto a 360 gradi mantenendo intatto il core preesistente in un contesto non monolitico, innovando senza creare incompatibilità o attriti” racconta Speranza, spiegando come tale aspetto abbia favorito il change management.

Secondo Salvigni è merito anche del “metodo di lavoro” adottato: “Abbiamo tradotto le esigenze del business in processi sviluppati poi sulla piattaforma – spiega – questo ci ha permesso di tenere a bordo tutti. Utile e funzionale anche l’implementazione di interfaccia facili per tutti. Un risultato importante perché abbiamo potuto rompere i silos tra funzioni aziendali che bloccavano o rallentavano il flusso di lavoro, appesantendo alcune funzioni”.

Nei prossimi mesi, Amadori punta ad accelerare sulla robot process automation già sperimentata con successo e a cogliere l’occasione di esplorare i benefici dell’AI. Due possibili evoluzioni della collaborazione con Appian, a cui Salvigni vorrebbe affiancare la creazione di un competence center interno.

“Adesso il nostro obiettivo è diventare più autonomi in termini di sviluppo, per non fare troppo leva sui fornitori. Prima non avevamo le risorse umane necessarie, ora possiamo e dobbiamo impegnarci su questo fronte, anche per sfruttare al meglio gli investimenti IT e non perdere il passo in un percorso di trasformazione digitale per ora di grandi soddisfazioni”.

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